Una lotteria di beneficenza a Cercemaggiore (Molise) fa insorgere gli animalisti per il premio un pò particolare. Editoriale di Tina Rossi
Ricordo benissimo quei venerdi sera in cui mio padre si preparava di tutto punto e si mangiava presto perchè alle 20 e trenta cominciava il torneo di scopa alla bocciofila della Barauda, una piccola frazione, ma veramente piccola, quasi dimenticata da Dio, nella campagna che collegava Moncalieri a La Loggia, ma a Torino tutti sapevano dov’era perchè di lì passa il Chisola, ed era la spiaggia dei poveri che in estate non potevano permettersi di andare in ferie.
Il torneo era un’istituzione del posto e a volte partecipavano anche campioni italiani. Erano le occasioni in cui mio padre non poteva assolutamente mancare. Ma per batterli bisognava essere allenati, e il venerdi era la “palestra” ideale per arrivare pronti alla “final battle” della stagione.
Quando nel bar entravano lui e il suo “socio” calava il silenzio. Erano forti e lo sapevano tutti.
Il torneo prevedeva premi in natura e ogni venerdi la società (così si chiamavano ancora i circoli ricreativi di mussoliniana memoria) organizzava questi tornei di carte, mettendo in palio panieri con derrate alimentari e il primo premio, di norma, prevedeva la vincita di una faraona, o di un tacchino. Vivi, ovviamente. Ricordo che una volta il premio fu addirittura un’oca. Viva anche quella.
Il pranzo della domenica
Per farvela breve, ho mangiato tacchino, faraona e oca praticamente tutte le domeniche, per tutta l’infanzia e l’adolescenza, con buona pace di mia madre che tirando giù tutti i santi, ogni sabato mattina, spiumava queste povere bestie chinata nella vasca del giardino.
Erano i tempi dei contadini, tempi lontani. Tempi in cui si usciva dalla fame della guerra e si incontrava il progresso, mantenendo però salde le radici nelle tradizioni contadine che dominavano la nostra cultura.
Per completare i ricordi del giorno, vi dico solo più che il latte si prendeva dalla cascina di fronte con il bidoncino e lo si pagava con conigli e verdure di campo a fine mese.
Funzionava così: i contadini coltivavano, i fattori allevavano. Tutti mangiavano e nessuno si lamentava.
Il bianco era bianco, il nero era nero. Oggi c’è il politically correct e i colori arcobaleno.
Tutto è cambiato
Il Novecento, che secolo…
Guerre, industrializzazione, migrazione dalle campagne e stile di vita cambiano il mondo e trasformano intere società. Nessun settore resta fuori dal processo di trasformazione dominato delle dinamiche economiche. Arrivano così l’industria alimentare, i supermercati, il Mac Donald’s e tutto cambia, soprattutto la mentalità e l’ideologia.
Gli allevamenti intensivi, la macellazione e la distribuzione diventano un processo produttivo spaventoso che non tiene più conto del rispetto delle regole di base e gli animalisti imperano, giustamente, ovunque.
La legge definisce finalmente “esseri senzienti” tutti gli animali e la tutela della loro esistenza e del loro benessere diventa la battaglia più controversa del secolo.
Da una parte, i consumatori di carne, dall’altra, i vegani. Il consumo di carne diventa un problema di coscienza e di educazione, oltre che di salute.
Ma non voglio divagare, perchè questo è un altro discorso, lungo e complesso che affronteremo un’altra volta. Resto sul tema e torno al torneo di scopa, o meglio, ai premi in palio della gara anche se, in questo caso, parliamo di lotteria di beneficenza.
Una lotteria di beneficenza non gradita
Durante la festa patronale di San Vincenzo Martire a Cercemaggiore (CB), gli organizzatori hanno deciso di mettere in palio un maiale vivo come primo premio della lotteria di beneficenza del 15 settembre.
La scelta ha provocato forti proteste da parte degli animalisti. Era già successo qualche anno fa a Marzabotto (Bo), quando un bar mise in palio un vitello come primo premio per una gara di briscola. Anche all’epoca fu immediata la mobilitazione dell’Oipa che, con l’intervento dell’Azienda Unità Sanitaria Locale di Bologna, impedì che il vitello diventasse un trofeo di una gara di carte.
Nel caso di Cercemaggiore, la presidente della Lega Nazionale Animal Protection, Piera Rosati, ha scritto al sindaco, all’ASL regionale e agli organizzatori per chiedere di annullare l’iniziativa.
Nel suo intervento ha ricordato che la legge europea e quella nazionale riconoscono gli animali come esseri senzienti, e che trasformarli in premi significa trattarli come oggetti di consumo, privandoli di dignità.
Secondo Rosati, l’episodio trasmette anche un messaggio diseducativo ai giovani, perché normalizza la mercificazione della vita animale in un contesto pubblico e religioso. Oltre alle motivazioni etiche, la presidente ha richiamato possibili violazioni normative e ha avvertito che, se il premio non verrà revocato, l’associazione valuterà azioni legali a tutela degli animali.
Cosa c’è che non capisco?
Cercemaggiore è un paese che conta 3600 anime a poco più di 900 metri sul livello del mare. Un paese di montagna, quindi, che ha tradizioni e usanze radicate nella cultura popolare italiana, quella che ha ancora il profumo della legna che proviene dalle stufe, quella che con la schiena piegata sui campi si scalda al sole cocente dell’estate. Quella cultura fatta di piatti tipici dell’antica ricetta della nonna, piatti poveri ma ricchi di conoscenza del territorio.
Una comunità che affonda le sue radici nella cultura contadina, fatta di pastorizia e transumanza, dove l’animale è sacro perchè è fonte di sostentamento in una terra che ha solo la montagna da offrire. E non è poco, ma che, al giorno d’oggi, sembra uno stile di vita superato che, però, se scompare, porta via con sé buona parte del nostro retaggio sociale e culturale.
In una comunità dove è il gallo a dare la sveglia ancora prima che faccia giorno e che chiude le persiane all’imbrunire, perchè la terra ha i suoi tempi e con lei gli animali che sostengono l’economia di tutto il paese, il fatto di portare un animale in palio ad una lotteria ha un significato culturale.
Il maiale in premio alla lotteria? Un mero oggetto di consumo (?)
La presidente ha motivato il suo sdegno e la sua mozione dicendo che l’animale in palio alla lotteria è trattato “come un mero oggetto di consumo, svilendone la dignità”. (fonte Ansa)
Mi domando: è’ forse peggiore di ciò che non si vede, ma che compriamo ogni giorno in eleganti confezioni incellofanate?
Pur essendo totalmente d’accordo sul fatto che gli animali sono essere senzienti, che la loro tutela è una sacrosanta responsabilità, che la nuova legge finalmente introduce pene più aspre per i maltrattamenti su animali, resta legale macellare animali per scopo alimentare e il consumo di carne non è reato.
Se per la legge, l’animale può essere venduto (e macellato), cosa cambia che sia un premio (gratuito) in una lotteria?
La Rosati poi dichiara che è “un messaggio profondamente diseducativo, soprattutto ai più giovani, che rischiano di vedere normalizzata la mercificazione della vita animale in un contesto pubblico, comunitario e persino religioso”.
Un messaggio diseducativo (?)
“Normalizzata la mercificazione della vita animale…”…sono pieni i banconi dei supermercati…mah!
Comunque, a parte il fatto che la Bibbia è piena di agnelli sacrificali (chiesti addirittura direttamente da Dio in persona – o quasi), mi risulta che a Cercemaggiore il maiale faccia parte della cultura e delle tradizioni del luogo, quando, in tempi più remoti, costituiva il sostentamento primario per la famiglia nell’arco dell’intero anno. E c’era tutto un indotto che sopravviveva proprio grazie a questo animale, perché, si sa “del maiale non si butta via niente”. Il maiale diventava cibo per tutte le stagioni, ma anche filo per cucire le scarpe, grasso per condimenti e persino sapone delle massaie (ringrazio Carla Salvatore che, sul sito ufficiale del Comune ha lasciato una bellissima fotografia scritta di Cercemaggiore).
E se il maiale in palio fosse un’occasione per trasmettere ai ragazzi del posto la storia dei loro avi? Non è forse un modo educativo per vedere da un’altra prospettiva questa iniziativa?
Occhio non vede, cuore non duole
La verità è che facciamo passare per educazione il mero tentativo di continuare a tenere i giovani al riparo da qualsiasi esperienza difficile, invece di prepararli alla vita. Li priviamo perfino della consapevolezza che parte di ciò che mangiano, prima di essere un hamburger o un salame a fette nel loro panino, era un essere vivente e senziente, e non insegniamo loro a riconoscere e rispettare il fatto che per nutrirsi è stato necessario uccidere. Ci limitiamo a comprare carne confezionata al supermercato, tanto al “lavoro sporco” ci pensano altri al posto nostro, dimenticando che siamo noi i mandanti, voraci consumatori finali. Come si dice: lontano dagli occhi, lontano dal cuore.
Mi domando se per la Rosati, sarebbe stato più etico mettere in palio una parte del cadavere dell’animale, magari nella consolante forma di prosciutto o un cesto alimentare colmo di orgoglio made in Italy e di insaccati tipici del territorio.
La verità è che, in un contesto dove si vive di agricoltura e allevamento, non penso che i pastori passino le loro giornate a pettinare pecore e vacche, portandole in passeggiata come si fa con il cane in città, con il solo scopo di amare gli animali. Devo aggiungere altro?
Molto probabilmente hanno più loro – i pastori – da insegnare sul rispetto degli animali di quanto non lo possano fare certi ecologisti da tastiera che, una volta firmata la mozione contro la violenza su animali su petizione.org, vanno tutti a farsi un Mc Donald’s.
Per amor di verità, il premio del vitello di Marzabotto fu sostituito da buoni-spesa.
Sarebbe stata contenta mia madre. Mio padre, un pò meno.
Foto copertina di Alexa da Pixabay
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