Come si fa a diventare influencer e quanto si guadagna? I creator e la digital economy sono il futuro del mondo del lavoro? Editoriale di Tina Rossi
Il meraviglioso magico mondo dei social assomiglia, forse pure troppo, all’America della corsa all’oro, dove nulla sembrava impossibile e i sogni di facili ricchezze potevano diventare realtà, solo che la nuova febbre dell’oro oggi non porta la gente in cerca di pepite, ma di followers.
Oggi come allora, per illudersi, basta crederci.
I 15 minuti di Andy Warhol
Troppo spesso dimentichiamo che il web – così come i social – è un mare magnum, e per chi aspira a vendere è uno sconfinato mercato con miliardi di bancarelle. Una landa piana e desolata senza alcun punto di riferimento e dove tutti gli aspiranti “ambulanti”, ognuno con la propria mercanzia e convinzione, crea con facilità una propria vetrina nel nulla più assoluto, perché essere trovati non è così semplice: dalla casalinga che si fa i selfie nel bagno come le bimbeminkia di 13 anni, al sessantenne tostato e palestrato convinto di essere seducente come un ventenne, passando per tutti quei giovani scaldabanchi che “ce la sanno solo loro” come si vive, e con l’ossessione – perché non si parla più di aspirazione, ma di vera ossessione – di diventare famosi.
Ma il web non promette solamente autostima, anche se oggi i quindici minuti di celebrità di Warhol non bastano a nessuno, ma profetizza ricchezze e fama. Ai nuovi santi della “digital economy dei poveri” il web offre infatti anche reali opportunità di guadagni e, per alcuni, la possibilità di farne un vero e proprio lavoro: così, diventare influencer è il nuovo mito dell’oro perché quelli che ce la fanno trovano davvero il santo graal nel guadagnare senza fare un tasso, e spesso, senza pagare le tasse…
Facile ironia a parte, il web ed i social sono, oramai da molti anni, una realtà stabile e consolidata dell’economia reale e forse – oggi come oggi – sono divenuti il media più importante. Per questo vale la pena valutare qualche numero della creator economy, che si sta consolidando come uno dei pilastri principali del marketing, per poi capire come fare l’influencer e come questa professione sia diventata concreta, per alcuni, ed un sogno irraggiungibile per la maggior parte degli altri.
La Creator Economy
Nel 2025 la creator economy europea non è più un fenomeno di nicchia, ma una vera e propria industria culturale. Una passione individuale che si è trasformata in una professione strutturata, basata sulla creazione di contenuti online, ed è diventata parte integrante del mercato del lavoro digitale.
A dirlo è il report “La Creator Economy nel 2025” pubblicato da Kolsquare, una ricerca che fotografa un mondo in rapido mutamento, fatto di opportunità, precarietà e trasformazioni profonde. L’indagine, condotta in collaborazione con NewtonX, ha coinvolto quasi 800 creator professionisti provenienti da sei Paesi europei — Italia, Francia, Germania, Spagna, Regno Unito e Paesi nordici — per capire chi sono, come vivono e dove sta andando la loro professione.
La prima cosa che emerge è un dato di fondo: la creator economy è ormai una realtà consolidata, ma con ancora tante fragilità e, di fatto, con una legislazione in divenire. Cresce in visibilità, fatturato e competenze, ma resta segnata da incertezze economiche, instabilità lavorativa e forti pressioni psicologiche. Fare il creator oggi significa vivere in equilibrio costante tra libertà, stress e ansia da prestazione, tra riconoscimento pubblico e precarietà privata.
La pubblicità che funziona oggi
Kolsquare descrive un ecosistema in pieno fermento dove i confini tra intrattenimento, informazione e pubblicità si fanno sempre più sottili. I creator non sono più solo “influencer”, ma veri produttori: raccontano storie, costruiscono comunità e spostano opinioni, spesso con una credibilità che supera quella dei media tradizionali.
Il rapporto rivela anche un cambiamento di mentalità. L’era dei numeri e dei like sta lasciando spazio a una nuova idea di influenza basata su autenticità, etica e fiducia. I brand non cercano più solo visibilità e i grandi numeri, ma collaborazioni credibili, durature e coerenti con i propri valori.
Cercano influencer che abbiano un rapporto con i propri followers molto più stretto e molto più verticale, anche se meno “famosi” ma che abbiano un pubblico che condivide con loro principi etici, morali, connotazioni geografiche o relazionali, condivisione di gusti e mode, classe generazionale e affinità quasi elettive; requisiti che sono alla base della fiducia che rendono efficaci le suggestioni di consumo proposte di volta in volta.
Anche il pubblico è più maturo: accetta la pubblicità quando è chiara, sincera e integrata nel racconto personale del creator. In altre parole, la trasparenza è diventata la nuova moneta di scambio dell’influencer marketing.
Dietro la superficie patinata dei social si nasconde, però, un mondo di contraddizioni. La maggior parte dei creator europei lavora in autonomia, gestendo ogni aspetto del proprio business — dalla produzione dei contenuti alla contrattazione con i brand — spesso senza tutele o supporto. E se da un lato cresce la consapevolezza professionale, dall’altro aumentano lo stress, la competizione e il rischio di burnout, ma di questo parleremo un’altra volta.
Chi sono i creator
Il report di Kolsquare non è solo un’analisi economica, ma anche un ritratto umano di una generazione che cerca di costruirsi un futuro nel mondo digitale, reinventando il concetto stesso di lavoro creativo.
È il segnale che la creator economy non è più solo una tendenza, ma una realtà che definisce il presente e anticipa le sfide del lavoro di domani.
Chi lavora oggi nella creator economy europea è ben lontano dallo stereotipo dell’influencer frivolo e improvvisato. Il profilo medio tracciato dal report di Kolsquare mostra una categoria eterogenea, consapevole e sempre più professionale.
Parliamo di uomini e donne — in prevalenza donne, oltre il 55% — che operano in settori diversi, dal lifestyle al fitness, dalla moda al gaming, passando per la tecnologia e l’educazione. La maggior parte ha alle spalle almeno tre anni di esperienza e gestisce community che vanno da poche migliaia a centinaia di migliaia di follower, soprattutto su Instagram, che resta la piattaforma regina dell’influencer marketing europeo.
Come lavorano i creator?
Il ritratto geografico è interessante. In Francia e Italia domina la dimensione “artigianale” del mestiere: creator che lavorano in autonomia curano i propri contenuti come un progetto personale e si muovono spesso tra collaborazioni temporanee e piccoli brand.
In Germania, invece, prevale un approccio più imprenditoriale, con guadagni mediamente più alti e una forte attenzione alla monetizzazione diversificata attraverso abbonamenti, consulenze, corsi, eventi.
Nel Regno Unito la scena è multiculturale e competitiva, con una presenza elevata di creator che operano su più piattaforme e che, pur guadagnando bene, denunciano livelli di stress e di molestie online tra i più alti d’Europa. Infine, la Spagna si distingue per la grande familiarità con la tecnologia: quasi la metà dei creatori spagnoli usa l’intelligenza artificiale ogni giorno per ottimizzare contenuti e strategie SEO.
Ma sono i Paesi nordici ad emergere con un modello più equilibrato e “sostenibile”: meno stress, maggiore stabilità e una professionalità che si fonde con i valori di trasparenza e rispetto per il pubblico.
Un aspetto comune in tutta Europa è la crescita dei micro e nano influencer. Nonostante le star dei social continuino a catalizzare l’attenzione dei media, la forza reale della creator economy si muove ormai nelle fasce medio-piccole, dove la relazione con la community è più diretta e autentica.
Fare il creator o essere un creator?
Dietro i numeri emerge un dato culturale: essere creator oggi è un mestiere, ma anche un’identità. Queste persone non sono semplicemente utenti che “postano”, ma comunicatori che si costruiscono un linguaggio, un pubblico e una reputazione. Operano come freelance digitali, imprenditori di sé stessi, spesso senza strutture di supporto. Eppure, nonostante le difficoltà, la maggior parte guarda avanti con ottimismo. Perché, come suggerisce il report, la vera rivoluzione non è solo economica: è sociale. I creator europei stanno ridefinendo cosa significa lavorare, comunicare e avere voce nel mondo digitale.
Però, dietro il falso mito del facile guadagno, c’è una realtà ben diversa.
Quanto guadagna un influencer marketing?
Molti influencer, in questo mondo di finzione del “vorrei ma non posso” raccontano di guadagni strabilianti che in verità non esistono. Lo studio parla chiaro: “Quasi un creatore su tre in Europa guadagna meno di 500 euro al mese (anche se il numero varia a seconda del Paese). Le donne sono quelle che, in genere, percepiscono meno. Il 38% prende meno di 500 euro (vs. il 23% degli uomini)”.
Certo, esiste una fascia considerevolmente più alta, ma anche qui assistiamo a un divario netto: “il 32% dei creatori maschi guadagna più di 3.000 euro al mese, mentre per le donne solo il 20%. Nonostante la parità di sforzi e professionalità, l’accesso a contratti e guadagni elevati continua a presentare un gran divario”.
La prima riflessione che potrebbe venire spontanea è che anche qui, le donne siano penalizzate in quanto donne: ebbene, non è vero perché il web (almeno lui) ragiona per numeri, non conosce la differenza di sesso e non si fa paranoie o pregiudizi. Le ragioni sono diverse e si focalizzano su attività specifiche e risposta del pubblico. Niente a che vedere con la discriminazione, dunque.
Come si guadagna con la digital economy?
Per quel che concerne il “come” si comincia a guadagnare, le strade sono due. Il rapporto afferma che, in linea con l’elevato numero di creator che gestiscono il lavoro in autonomia, la maggior parte sceglie di sviluppare collaborazioni con le aziende senza intermediari. In tutta Europa, inoltre, 7 creatori su 10 affermano che i brand o le agenzie li contattano direttamente. Quasi la metà fa da sé anche il pitch (a dimostrazione del fatto che il contatto proattivo è fondamentale).
Lo studio ci dà anche un quadro dei social che funzionano meglio e parrebbe che Instagram sia la piattaforma dove i creator guadagnano chiaramente di più: oltre la metà dichiara di ricavare qui la maggior parte dei guadagni.
Ma non è tutto oro quello che luccica…
Ricavo o guadagno?
Una precisazione è d’obbligo: se al posto di “guadagno” usiamo il termine corretto “ricavo” e ragioniamo in termini fiscali, il discorso è ancora diverso. Parlando del nostro Paese, considerato che la maggior parte si attesta intorno ai 3000 euro al mese, parliamo di entrate da regime forfettario che oltretutto non prevede di la posibilità di portare in detrazione i costi.
Facendo i conti della serva, togliendo dal ricavo il 15% di IRPEF e il 26% di contributi, Il vero guadagno è comunque inferiore ai 1800 euro, che è considerevole come entrata con questi chiari di luna, ma ben lontana dalla ricchezza.
Se poi consideriamo che, per esempio, la food blogger o la travel blogger non particolarmente affermata, per produrre contenuti deve investire di tasca propria per il ristorante, il viaggio e il soggiorno in albergo, il guadagno è ancora più basso. In buona sostanza, l’influencer che non è sponsorizzata e, quindi, non ha un supporto economico da parte di una azienda, deve pagare tutto il pacchetto vacanze, albergo e ristorante incluso.
Ma la febbre dell’oro è alta, il filone è ancora ricco e sono tanti quelli che pensano “non si sa mai che ci riesco davvero” – la pugnalata al congiuntivo è voluta – e tentano di approfittare dell’occasione con le possibilità economiche che hanno a disposizione. Ecco che scrollando annoiati sui social, troviamo un mondo di selfie nelle più disparate località del pianeta, raggiunte con un volo low cost in un soggiorno mordi e fuggi.
Ma che mestiere è, davvero, quello del digital creator? È un lavoro, una vocazione, o una scommessa quotidiana?
Dal west al web: la corsa all’oro tra sogni, speranze e disillusioni
Il lavoro del content creator esiste da sempre ed è un laboratorio aperto ma, nel tempo, si è trasformato, evoluto e adattato alle nuove tecnologie. Mescola comunicazione, marketing, intrattenimento, arte e psicologia. Chi riesce a emergere guadagna visibilità, influenza, ma il suo successo si rinnova ogni volta. Bastano un cambio di tendenza per perdere il ritmo, o un pubblico che si sposta altrove per ribaltare un modello economico.
A differenza di un pubblicitario, il digital creator non ha un inquadramento chiaro.
È una nuova professione in rapida evoluzione in un mercato – quello digitale – che ci ha recentemente dimostrato la propria imprevedibilità, con l’introduzione dell’intelligenza artificiale che, in circa due anni, ci ha stravolto le esistenze e creato più incertezze delle guerre. Lungi da me voler fare previsioni come i tanti esperti di altrettanti settori che ammorbano la nostra vita in TV con i loro vaticini. Previsioni che vengono, nel tempo, puntualmente smentite dai fatti. Certo è che, se si studia da medico, commercialista o ingegnere, le certezze potrebbero essere maggiori ma, in fondo, chi lo sa…
Lo specchio della società
Il creator è il simbolo di una società che misura il successo sulla visibilità. È un lavoro che riflette la cultura contemporanea: flessibile, individualista ma totalmente dipendente dalla tecnologia e dall’affermazione di sé attraverso il consenso di perfetti sconosciuti.
Sul piano sociale, questo modello spinge verso una nuova forma di autoimprenditorialità diffusa, dove il rischio è di arrivare a un mercato saturo, dove molti competono per pochi spazi di visibilità, e dove il confine tra vita privata e lavoro scompare del tutto.
A spaventare di più non deve essere tanto il futuro delle professioni o gli scenari che si prospettano con l’intelligenza artificiale e gli altri incredibili sviluppi della tecnologia; a preoccuparci devono essere i valori sottesi allo sviluppo morale ed etico di queste professioni, della tecnologia e, in generale, di tutta la società per la quale presentare un’immagine di sé è più importante dell’essere.
Perché, in fondo, Warhol aveva assolutamente ragione…
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