Gli esami di maturità compiono 100 anni

Era il 1923 quando Giovanni Gentili introdusse gli esami di maturità per tutti gli studenti dei licei italiani. A 100 anni di distanza, com’è cambiata la maturità? E perchè si chiama(va) “maturità”?

I maturandi di oggi, soprattutto quelli del recente periodo pandemico, per dirla in gergo “ce l’hanno grassa” rispetto a come si svolgeva la maturità, anche solo qualche decennio fa.

Il caso eccezionale del 2020, dove gli scritti furono sospesi per via della pandemia, è un caso a sè che, però, ha rischiato di essere un pericoloso precedente, poichè il ritorno agli esami in presenza, è stato un elemento di protesta da parte di un congruo numero di maturandi dell’anno successivo.

Se oggi si lamentano di dover affrontare due prove scritte (la prima di italiano e la seconda prova nelle materie d’indirizzo) e un colloquio orale, dovrebbero sapere che non è lontano il tempo in cui le prove erano tre, e prima ancora quattro.

Oggi, a giudicare gli studenti, c’è una commissione mista, cioè composta da docenti interni ed esterni, mentre, anche qui, non è lontano il tempo in cui nessun professore interno era parte della commissione.

Ma ripercorriamo brevemente questi 100 anni di esami di maturità.

Perchè si chiama(va) Maturità?

L’etimologia della parola sta nel suo significato intrinseco. Con questo termine, nel 1923, si scelse di definire un esame che non prevedeva solo la fine di un percorso di studi, ma indicava anche la raggiunta maturità, appunto, dell’individuo, il suo passaggio da adolescente ad adulto. La presa di coscienza di essere pronto a far parte del mondo che lavora, che produce, che ricerca, che scopre. L’esame di maturità era circoscritto a chi frequentava il Liceo e non a tutti gli Istituti di quella che oggi chiamiamo “scuola secondaria”.

Con gli esami finali lo studente era pronto per un’istruzione superiore che lo avrebbe perfezionato nelle professioni, ovvero l’Università.

Essere maturi era uno status sociale raggiunto, oltre che un traguardo scolastico.

Correva l’anno 1923

Come abbiamo già detto poc’anzi, all’epoca solo i liceali potevano accedere alle facoltà di Università, pertanto dovevano arrivare con una preparazione che fosse degna del percorso univarsitario scelto.

La Commissione d’esame era costituita esclusivamente da membri esterni al Liceo e per la maggior parte erano professori universitari.

Gli esami di maturità non si svolgevano in tutte le sedi dei licei, ma in alcune sedi distribuite sul territorio italiano.

Gli esami prevedevano quattro prove scritte e una orale, su un programma che comprendeva quanto appreso negli ultimi tre anni di studi. Non esisteva una votazione in centesimi o sessantesimi, ma ogni materia era votata singolarmente e lo studente aveva tanti voti quante erano le materie d’esame e chi non passava la maturità con la sufficienza aveva la possibilità di fare un esame di riparazione.

Tutto rimase così fino agli anni della Seconda Guerra Mondiale dove, per semplificare un pò le cose, Giuseppe Bottai decise, dopo aver apportato alcune modifiche, di ricorrere a dei semplici scrutini finali.

Gli anni del Boom Economico

Negli anni cinquanta, gli esami di maturità riprendono esattamente come da formula originale del ’23, con qualche piccola variazione. Prevedono sempre quattro scritti e un orale, ma sul programma dell’ultimo anno e con solo alcuni cenni ai due anni precedenti. Si introducono nella commissione i membri interni, cioè due professori dello stesso Istituto.

Alla fine degli anni Sessanta è Fiorentino Sullo a dare la svolta. La ripresa economica, unita alla ricostruzione, indirizza il governo ad estendere la maturità anche agli studenti di tutti gli istituti superiori. I ragazzi hanno voglia di sapere, sono affamati di cultura, considerando anche che la campagna di alfabetizzazione dell’era fascista aveva portato sui banchi di scuolaanche i giovani delle zone rurali.

Sullo modifica anche il numero di prove per gli studenti. Diventano due quelle scritte, italiano per tutti e la seconda in funzione dell’indirizzo scolastico dell’istituto, e due materie agli orali, di cui una scelta dallo studente. La votazione non è più per materie separate ma si introduce il sistema a sessantesimi. Per avere il diploma di maturità bisogna raggiungere almeno 36/60 e il massimo è 60/60, ma non sarà più possibile fare esami di ripazione in caso di insufficienza.

Questo sistema resterà operativo fino al 1997.

La maturità dei millennials

E’ Luigi Berlinguer nel dicembre del 1997 a sconvolgere l’antico concetto di “maturità” e anche il sistema di conseguimento. Innanzitutto cambia il nome e diventa “Esami di Stato”. La scelta vuole proprio fare una netta distinzione tra il percorso personale e quello scolastico. Gli esami di Stato sono dunque una verifica e certificazione delle conoscenze, competenze e capacità acquisite (cit. MIUR).

Diventano tre le prove scritte (di cui una scelta dalla commissione) e un colloquio su tutte le materie. Ma la vera novità introdotta da Berlinguer è il sistema di crediti scolastici e crediti formativi che gli studenti accumulano a partire dal terzo anno e che vanno a sommarsi al punteggio finale, espresso in centesimi. Il massimo punteggio ottenibile dalle prove scritte è 45, all’orale 35 e 20 per i crediti.

Nel 2001 Letizia Moratti aggiungerà una chicca in più: la commissione costituita da soli membri interni e un Presidente esterno.

Notte prima degli esami

Siamo all’alba dei 100 anni di maturità. Tra poche settimane migliaia di studenti italiani si confronteranno con l’esame di Stato e dovranno dimostrare di aver raggiunto conoscenze, competenze e capacità scolastiche.

Ma nessuno gli chiederà di essere maturi.

Per noi che la maturità l’abbiamo fatta negli anni ottanta, tra le lotte operaie, la fine degli anni di piombo e le stragi di mafia, non c’erano talent da sognare, ne isole dei famosi, ne carriere da influencer.

Conseguire la maturità era un vanto e non solo un impegno scolastico, fedeli al significato intrinseco che la parola portava con sè. Cercavamo davvero di essere degni del futuro che avevamo sognato, disegnato e appeso alle pareti delle nostre stanze che condividevamo ancora con i nonni, i più fortunati con i fratelli.

Per noi la maturità non era solo chiudere il capitolo della scuola superiore; era diventare finalmente maggiorenni, era acquisire il diritto al voto per poter esercitare quel pensiero politico di libertà e giustizia che avevamo difeso nelle linee dei cortei, con i cartelli in mano tra le cariche della polizia.

La maturità era il portone che si spalancava sul lavoro a tempo indeterminato, fosse anche solo per fare la segretaria dell’avvocato. C’era chi inseguiva la carriera in banca, chi alle Poste, e c’era chi andava a fare il cameriere per pagarsi l’Università o il Conservatorio, e onorare i sacrifici dei genitori che avevano inquadrato quel diploma come se fosse una riconoscenza del Presidente della Repubblica.

Ognuno aveva chiaro il suo destino da quell’ultima campanella in poi, strade diverse e carriere diverse.

Ma qualunque istituto si frequentasse, che fosse il liceo classico, artistico o scientifico, che fosse ragioneria o perito aziendale corrispondente in lingue estere o magistrali, tutti gli studenti che dovevano fare la maturità, in quegli anni, avevano una cosa in comune: la notte prima degli esami.

Tina Rossi
Tina Rossi
(a.k.a. Fulvia Andreatta) Editrice. Una, nessuna e centomila, il suo motto è “è meglio fingersi acrobati, che sentirsi dei nani” Dice di sé:” Per attimi rimango sospeso nel vuoto,giuro qualche volta mi sento perduto, io mi fido solo del mio strano istinto, non mi ha mai tradito, non mi sento vinto, volo sul trapezio rischiando ogni giorno, eroe per un minuto e poi...bestia ritorno...poi ancora sul trapezio ad inventare un amore magari...è solo invenzione, per non lasciarsi morire...”