Il rosmarino, che tra le Labiate ha il nome più poetico
Il rosmarino è una delle più note piante mediterranee. Cresce a ridosso della costa e conserva nel suo profumo l’aroma del sale, del vento e delle onde. Appartiene anch’esso alla famiglia botanica delle Labiate, come le altre erbe che vi presentiamo in questi mesi, ed è classificato con il binomio Rosmarinus officinalis L. Nel nome del genere riecheggia il verso di Orazio, che lo qualificò ros maris, ossia rugiada di mare. Poche altre specie possono vantare una definizione altrettanto poetica ed evocativa.


Nel tempo antico, tra storia e leggenda
Nelle tombe egizie della I Dinastia sono stati trovati rametti di rosmarino, quale testimonianza di un uso assai antico, presso le civiltà del Mediterraneo. Era considerato una pianta sacra tanto ad Atene quanto a Roma ed era già consigliato per contrastare le malattie del fegato da Teofrasto, Dioscoride e Galeno. In epoca cristiana, si diffuse una leggenda legata alla Madonna e alla fuga in Egitto della Sacra Famiglia, al tempo della strage degli innocenti di Erode. Si riteneva che, allora, i fiori del rosmarino fossero in realtà bianchi. Sempre secondo la leggenda, divennero azzurri dopo che la Vergine Maria vi appoggiò sopra, ad asciugare, il proprio mantello, perché ne presero il colore.


Il rosmarino, nel Medioevo e nel Rinascimento
Furono i medici arabi i primi a estrarre il prezioso olio essenziale di rosmarino, che divenne un medicinale assai ricercato tanto nel Medioevo quanto nel Rinascimento. Dal suo legno, si ricavavano talismani che venivano indossati per difendersi dal contagio epidemico e dagli eventuali avvelenamenti. E le sue ceneri si ponevano accanto al letto di chi era malato, affinché guarisse. Era piantato volentieri dagli apicultori, perché dai suoi fiori le api elaboravano un miele eccellente. Si credeva che migliorasse la memoria, per questo se ne intrecciavano corone da mettere sul capo dei sapienti. Castore Durante (XVI secolo) nel suo Herbario Novo riporta una ricetta ritenuta già antica nella sua epoca.
Nella Settimana Santa che precede la Pasqua, si sceglievano rametti teneri di rosmarino. Si tenevano a bagno e poi si infarinavano, cospargendoli infine di zucchero. Si friggevano in padella e, a suo dire, erano “molto soavi di gusto e grati allo stomaco”. Il Giovedì Santo c’era un usanza analoga in Toscana (a Firenze soprattutto). Si preparava il pan di ramerino, ossia una piccola focaccia dolce impastata con uvetta e, appunto, rosmarino. In Gran Bretagna, sotto la dinastia Tudor, fu associato alle spose, che lo inserivano nelle loro corone nuziali. Non era certamente un arbusto spontaneo, ma era spesso coltivato in vaso, come in buona parte d’Europa.


Il marós irlandese
In lingua irlandese, il rosmarino è stato chiamato o marós o rós Mhuire. In quest’ultimo caso, dato che Muire è il nome della Madonna, era stata ripresa la leggenda del suo manto. Nell’Isola di Smeraldo, ci sono tante credenze che lo riguardano, a iniziare dall’abitudine di tenerne una pianta presso la porta di casa. E non per averne i rametti a portata di mano, da impiegare in cucina, ma per tenere lontani fantasmi e streghe, infastiditi dal suo aroma. In alcune contee, si metteva nelle botti della birra, nella convinzione che una birra “purificata” dal rosmarino, non dovesse mai ubriacare, nemmeno dopo molti boccali.
Per evitare gli incubi notturni dei bambini, se ne infilava un rametto nel loro guanciale. Gli uomini ne portavano sovente i fiori all’occhiello, perché pare che agevolassero qualsiasi impresa o affare. Infine, nella notte del solstizio d’estate, le fanciulle in età da marito ponevano un piatto di farina sotto una pianta di rosmarino. Erano certe, infatti, che il mattino dopo vi avrebbero letto il nome del loro innamorato. Secondo tradizione, sarebbe stato un leprecauno a scriverlo con il dito. Ma è molto più probabile che fosse l’innamorato stesso a dichiararsi attraverso questo stratagemma.


Nel linguaggio dei fiori
Abbiamo accennato al fatto che presso i romani il rosmarino fosse una pianta sacra. E, in effetti, era legato ai riti di sepoltura dei defunti, che venivano aspersi con i suoi rami. In epoca cristiana, nelle regioni mediterranee sostituiva spesso l’incenso durante i riti funebri. Tuttavia, nel linguaggio dei fiori ha abbandonato il significato legato alla tristezza per sposare quello della gioia del cuore. Inserito dai fioristi in un bouquet da donare, è simbolo sia d’amore eterno, sia della felicità di rivedere presto la persona amata.


Una descrizione botanica essenziale
Si tratta di un arboscello sempreverde e assai aromatico, dall’altezza che si aggira intorno al metro e mezzo. Coltivato in quasi tutta Europa, soprattutto dove ci sono inverni miti, si può trovare allo stato spontaneo nel bacino del Mediterraneo. Predilige i terreni aridi, sui quali forma cespugli dai rami fitti, che portano piccole foglie sottili, coriacee, sessili e lineari. La loro pagina superiore è verde scuro, liscia e lucida, con i margini paralleli arrotolati verso il basso, mentre quella inferiore è biancastra e tomentosa. I fiori hanno la tipica corolla a due labbra delle Labiate e sono celesti o bluastri. Sono posti all’ascella delle foglie, nella parte terminale dei rami. È piuttosto semplice riconoscere il rosmarino in natura ma, come sempre, vi consigliamo di utilizzare le chiavi botaniche per risalire con certezza alla specie.


Principi attivi e impiego fitoterapico
Il rosmarino non è solo una spezia da cucina. Quale droga medicinale, infatti, si utilizzano le sue foglie o le sommità fiorite. Tra i principi attivi, c’è un olio essenziale portentoso, che contiene borneolo, canfene, canfora, cineolo e pinene. Ci sono poi sostanze amare, resine, tannini, vitamina C e un saponoside acido. Proprio per la ricchezza dei suoi componenti, è meglio evitare un uso fai da te dell’olio essenziale, che richiede una precisa prescrizione medica. A dosi troppo elevate, potrebbe addirittura diventare tossico.
La tisana casalinga è di consumo prettamente alimentare ma anche in questo caso, come per molte altre Labiate, non bisogna esagerare con il numero di tazze quotidiane. Ne bastano una o due per godere degli effetti benefici di questa straordinaria pianta aromatica. Giova a chi soffre di pressione bassa, di debolezza e affaticamento, d’infezioni alle vie aeree, di colite, di disturbi gastrici o epatici, di problemi cardiaci di natura nervosa. Contrasta emicranie, vertigini, mestruazioni dolorose, linfatismo, reumatismi, digestioni difficili e stati influenzali. È tuttavia sconsigliato agli ipertesi, perché alza la pressione arteriosa.
L’infuso si preparata mettendo un cucchiaino di droga per una tazza d’acqua. Si porta a bollore, si spegne e si lascia riposare sotto coperchio per una decina di misura, prima di filtrare e dolcificare a piacere. In uso esterno, il decotto concentrato (si fa bollire più a lungo e non si dolcifica) si usa per lozioni sul cuoio capelluto contro alopecia, pediculosi e forfora. Lenisce dermatiti, scottature e piaghe. Le foglie scaldate e applicate sulle parti doloranti con un telo agiscono su torcicollo, nevralgie, sciatica, contusioni e crampi. Per massaggi, si può anche impiegare un macerato di olio d’oliva e rosmarino.


Un aroma unico in cucina
Molti dei benefici sopra elencati si ottengono mescolando rosmarino fresco al nostro cibo quotidiano. Si addice, infatti, ai pesci grigliati, alla brace o fritti, alle carni arrostite (maiale, agnello), alle patate cucinate in svariati modi e alle minestre di legumi. E nulla ci vieta, a pochi giorni dalla Pasqua, di preparare il pan di ramerino, come gli antichi toscani.
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