Guerra, industria bellica e profitti: chi ci guadagna e quanto? – Editoriale di Tina Rossi
Quello che andiamo ad analizzare oggi, è il settore redditizio delle armi, ovvero l’industria bellica e i suoi profitti. Chi ci guadagna e quanto?
Certo, è solo una parte di un discorso molto più ampio. A tutti è noto, poichè la storia lo insegna, che il vero business della guerra non è la guerra in sè ma la ricostruzione. Una potente macchina economica, politica e sociale che si metterà in moto dopo il disastro, non prima e non durante, ma che prima e durante è l’obiettivo in sè del conflitto.
Un affare internazionale che darà soldi e potere a chi siederà al tavolo dei vincitori, sempre e comunque, a discapito di chi quella guerra l’ha vissuta sulla pelle e le cui ferite si replicheranno come un trasfer genetico per generazioni e generazioni, rivoluziondo, trasformando e condizionando per sempre la cultura, gli usi e i costumi di quel popolo.
Ma lasciando da parte il “poi” e occupandoci del presente, chi guadagna e quanto dall’industria bellica?
La fonte e l’ispirazione di questo articolo arriva da “Profitti di guerra – Analisi degli utili delle Imprese militari in Italia“, uno studio molto scrupoloso che analizza costi e ricavi dell’industria bellica italiana da cui si evincono riflessioni interessanti. Riflessioni che a livello personale, sintetizzerò come al mio solito, con la musica, assegnando un brano ad ogni paragrafo.
Il mio nemico (Daniele Silvestri) – La spesa militare
La spesa militare globale ha raggiunto livelli record negli ultimi anni, spinta da conflitti internazionali come la guerra in Ucraina e l’escalation in Medio Oriente. Questi eventi hanno provocato una corsa al riarmo da parte dei Paesi occidentali, accelerando una tendenza già in atto e portando la spesa globale a 2.443 miliardi di dollari solo nel 2023. Tuttavia, per le istituzioni come la NATO e l’Unione Europea, tali sforzi non sono ancora sufficienti, tanto che entrambe richiedono ulteriori aumenti della spesa militare ai loro Stati membri.
A beneficiare della crescita della spesa militare sono soprattutto le aziende del settore della difesa, che hanno visto un aumento significativo dei loro profitti, specialmente in Europa, dove la corsa al riarmo è diventata sempre più intensa. Questa dinamica, però, non sembra destinata a risolvere i conflitti, ma piuttosto a destabilizzare ulteriormente l’ordine internazionale, riducendo la sicurezza globale e aumentando le vittime civili. In questo scenario, mentre poche aziende e i loro azionisti si arricchiscono, molte persone continuano a soffrire.
War! (Edwin Starr) – La crescita dell’industria bellica italiana
Un esempio lampante di questa dinamica è rappresentato dall’Italia, dove le dieci principali aziende esportatrici di armi hanno registrato profitti in forte aumento negli ultimi anni. Un’analisi condotta da Greenpeace Italia ha dimostrato che, dal 2021 al 2023, i profitti netti delle principali compagnie italiane del settore sono cresciuti del 45%, pari a 326 milioni di euro. Parallelamente, il flusso di cassa disponibile è salito del 175%, per un totale di 428 milioni di euro. Questo significativo incremento è stato alimentato dall’aumento dell’export di armi e delle commesse nazionali.
Anche i ricavi complessivi delle aziende del settore bellico italiano hanno registrato un aumento rilevante, con una crescita del 13% tra il 2021 e il 2023, per un incremento totale di 2,1 miliardi di euro. Tuttavia, i dati aggregati non permettono di scorporare con precisione gli “extraprofitti” generati dal comparto militare da quelli civili. Nel caso del gruppo Leonardo, una delle principali aziende del settore, il comparto militare ha rappresentato il 75% del fatturato nel 2023 e l’83% nel 2022, a dimostrazione dell’importanza cruciale che il settore della difesa riveste per l’azienda.
W l’Italia (Francesco De Gregori) – Il ruolo di Leonardo e l’impatto dei conflitti
Il gruppo Leonardo, il cui principale azionista è il Ministero dell’Economia italiano, con il 30% delle azioni, è uno degli attori principali della crescita del mercato bellico.
Il gruppo Leonardo ha registrato una crescita progressiva degli ordini dal 2021 in poi. Se tra il 2020 e il 2021 gli ordini non erano cresciuti, nel 2022, l’anno dell’invasione russa dell’Ucraina, sono aumentati del 5,57%, seguiti da un ulteriore incremento del 5,39% nel 2023. Nel primo semestre del 2024, gli ordini sono cresciuti del 10,81% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, dimostrando la forza e la continuità della domanda di armamenti. Questo aumento costante degli ordini è un indicatore positivo per i ricavi e i profitti futuri dell’azienda, poiché tali ordinativi sono generalmente evasi su un arco temporale superiore a un anno.
In definitiva, tra la fine del 2021 e il primo semestre del 2024, gli ordinativi di Leonardo sono aumentati del 22%, raggiungendo un totale di 43,35 miliardi di euro, un vero e proprio record per l’azienda.
Io non mi sento italiano, ma per fortuna o purtroppo lo sono (Giorgio Gaber) – Il vantaggio dei conflitti bellici
La spesa per le armi, in particolare in Europa, sta portando il continente verso un’economia di guerra, con una corsa al riarmo che difficilmente risolverà i conflitti esistenti. Al contrario, questa dinamica rischia di destabilizzare ulteriormente l’ordine internazionale, riducendo la sicurezza globale e aumentando le vittime innocenti. Tuttavia, con un portafoglio ordini che garantisce una copertura produttiva per almeno 2,5 anni, Leonardo sembra destinata a beneficiare ulteriormente di questa tendenza.
Questa impennata nei profitti è strettamente legata all’aumento della spesa mondiale per armamenti, conseguente agli eventi geopolitici recenti. La maggior parte delle entrate di Leonardo proviene infatti dal settore militare, e il portafoglio ordini al 30 giugno 2024 garantisce alla società una copertura di produzione superiore a 2,5 anni. Questa solida base di ordini fa prevedere che l’azienda continuerà a generare profitti record anche negli anni a venire.
In questo contesto, Greenpeace Italia ha espresso forti critiche verso l’industria bellica e la sua capacità di trarre vantaggio dai conflitti globali.
Sofia Basso, research campaigner per il settore Pace e Disarmo di Greenpeace Italia, ha dichiarato: «L’economia di guerra seguita al conflitto ucraino sta portando profitti record nelle casse di Leonardo e delle altre aziende militari, che si trovano a beneficiare delle stragi di civili». Greenpeace chiede un’immediata inversione di tendenza, fermando la corsa al riarmo che non può fare altro che causare ulteriori vittime innocenti. Inoltre, propone di tassare gli “extraprofitti” dell’industria bellica, utilizzando l’extra gettito per investimenti in settori prioritari come la sanità, la transizione ecologica e la giustizia sociale.
State of the Nation (Industry) – L’aumento delle esportazioni di armi italiane
Secondo la Relazione MAECI-UAMA ex legge 185/90, nel 2023 il valore totale delle autorizzazioni per l’esportazione di armamenti rilasciate dai 146 operatori italiani è stato pari a 4,76 miliardi di euro, rispetto ai 3,83 miliardi del 2022, con una crescita del 24%. Le dieci maggiori aziende italiane del settore assorbono l’85% di queste commesse, per un valore di 4,06 miliardi di euro.
Quasi la metà delle autorizzazioni (46,37%) riguarda esportazioni verso Paesi dell’Unione Europea e membri europei della NATO. Un altro 12,71% si riferisce a esportazioni verso Paesi europei non appartenenti all’UE o alla NATO, e Paesi OSCE extraeuropei. Tra questi, spiccano le esportazioni verso l’Ucraina, che sono aumentate in modo significativo dal 2021 al 2023. Nel 2023, infatti, l’Italia ha esportato armamenti per un valore di 417,26 milioni di euro verso l’Ucraina, rispetto ai soli 3,8 milioni del 2022 e ai 92.000 euro del 2021.
Money for nothing (Dire Straights) – L’importanza dello studio sui profitti dell’industria bellica
Lo scopo della ricerca, realizzata con il contributo della Fondazione Umweltstiftung Greenpeace, è stato quello di comprendere l’entità dei profitti accumulati dalle principali aziende italiane del settore della difesa nel contesto dei recenti conflitti globali. Il periodo analizzato, che va dal 2021 al 2023, coincide con due eventi chiave: la guerra in Ucraina, scoppiata nel febbraio 2022, e l’escalation del conflitto israelo-palestinese nell’ottobre del 2023. Questi eventi hanno avuto un impatto determinante sulla crescita delle commesse militari, in particolare per le esportazioni italiane di armamenti, che hanno visto un incremento significativo.
Uno degli aspetti cruciali della ricerca è stato valutare come il settore militare abbia beneficiato di queste circostanze geopolitiche, mostrando un quadro chiaro di come i profitti delle aziende del settore siano strettamente legati alle dinamiche dei conflitti internazionali. Mentre la domanda di armamenti cresce, in particolare nei Paesi membri della NATO e dell’Unione Europea, si consolida una vera e propria economia di guerra. Tale sistema, come sottolineato nello studio, non si limita ad aumentare i ricavi delle aziende private, ma coinvolge direttamente i governi che, attraverso investimenti pubblici, si posizionano tra i principali beneficiari del boom dell’industria bellica.
Money (Pink Floyd) – La relazione tra governi e industria bellica
Uno degli aspetti messi in luce dallo studio è proprio il legame diretto tra l’aumento delle spese militari e gli interessi dei governi. In Italia, lo ripetiamo, il Ministero dell’Economia è il principale azionista del gruppo Leonardo, possedendo il 30% delle azioni. Questo dimostra come lo Stato abbia un coinvolgimento diretto nei profitti generati dall’industria bellica. Leonardo, infatti, ha beneficiato largamente degli investimenti pubblici e delle commesse militari, vedendo una crescita progressiva degli ordini a partire dal 2021.
Tuttavia, nonostante la presenza statale, molte delle decisioni di politica economica legate all’industria della difesa sollevano questioni di ordine morale e politico. I governi, infatti, si trovano di fronte al dilemma di dover bilanciare la sicurezza nazionale con le richieste di investimenti in settori cruciali come la sanità, la transizione ecologica e la giustizia sociale.
Greenpeace, a tal proposito, chiede una tassazione sugli extraprofitti dell’industria bellica, sottolineando come i fondi raccolti potrebbero essere reinvestiti in servizi di maggiore rilevanza sociale. Secondo il calcolo della ricerca, una tassazione del 100% sugli extraprofitti generati tra il 2021 e il 2023 potrebbe generare un gettito aggiuntivo per lo Stato di circa 326 milioni di euro solo in termini di utile netto, risorse che potrebbero essere reindirizzate verso priorità urgenti per il Paese.
Tra Demonio e Santità (Alberto Fortis) – L’industria bellica italiana: focus su Leonardo
Uno degli elementi chiave emersi dallo studio è il ruolo fondamentale che i governi ricoprono nel sostenere e trarre profitto dall’industria bellica. In Italia, il governo, attraverso il Ministero dell’Economia, non solo è un importante azionista di Leonardo, ma contribuisce direttamente all’aumento delle commesse, sia tramite esportazioni che tramite la crescita della spesa nazionale per la difesa.
Negli ultimi dieci anni, la spesa nazionale per gli armamenti è cresciuta del 132%, trainando il fatturato delle principali aziende della difesa. Questo legame tra investimenti pubblici e profitti privati è emblematico di un modello economico in cui l’industria bellica e le istituzioni statali si alimentano reciprocamente. Se da un lato le aziende beneficiano di ingenti commesse e ordini, dall’altro i governi vedono aumentare i ritorni finanziari attraverso la crescita del valore delle azioni e dei dividendi.
Tuttavia, Greenpeace e altre organizzazioni pongono interrogativi etici e politici riguardo a questo modello. In un momento storico in cui le risorse pubbliche dovrebbero essere dirette verso priorità sociali come la sanità, la giustizia sociale e la transizione ecologica, la scelta di destinare fondi all’industria bellica viene percepita come una manovra controproducente, come suggerisce Greenpeace.
Give peace a chance (John Lennon) – L’economia di guerra e il pericolo per la stabilità globale
Il crescente coinvolgimento dei governi nell’industria della difesa e il loro ruolo da protagonisti negli utili derivanti dalle spese militari sottolineano un paradosso: mentre le nazioni si impegnano a rafforzare le proprie capacità militari, la sicurezza globale sembra allontanarsi sempre di più. La crescente militarizzazione dell’Europa non solo non ha risolto i conflitti in corso, ma ha addirittura contribuito a destabilizzare ulteriormente l’ordine internazionale.
Questo è uno dei temi più importanti messi in evidenza dallo studio: l’aumento della spesa per le armi non solo non rappresenta una soluzione duratura ai problemi di sicurezza, ma può provocare l’effetto opposto. La proliferazione di armamenti e la corsa al riarmo rischiano di alimentare nuove tensioni e aumentare il numero di vittime innocenti, una realtà che è stata drammaticamente confermata dai conflitti in Ucraina e in Medio Oriente.
L’aumento della spesa militare non solo coinvolge direttamente le aziende e i governi, ma ha anche un effetto destabilizzante sull’ordine internazionale. Mentre i conflitti aumentano, l’economia globale entra in una spirale in cui la sicurezza viene garantita solo attraverso il riarmo. Questo approccio, secondo molti analisti, non è una soluzione efficace e duratura.
La crescente militarizzazione non ha portato a una maggiore sicurezza, ma ha alimentato tensioni e conflitti in diverse aree del mondo. L’Europa, ad esempio, ha visto un aumento record delle spese militari, ma questo non ha migliorato la situazione nei teatri di guerra. Al contrario, la proliferazione di armi ha contribuito a peggiorare la situazione, creando più vittime e destabilizzando ulteriormente intere regioni.
La guerra in Ucraina ne è un esempio evidente: la fornitura di armi ha prolungato il conflitto e ha ridotto drasticamente le possibilità di una soluzione diplomatica. Anche nel Medio Oriente, l’escalation del conflitto ha mostrato come la presenza massiccia di armamenti contribuisca a una spirale di violenza senza fine.
Maybe one day (The Creatures) – L’economia di guerra e le sue implicazioni future
La ricerca ha posto l’accento anche su un altro aspetto: l’economia di guerra che sta prendendo piede in Europa, dove le spese militari stanno crescendo a ritmi senza precedenti. Questo scenario, secondo lo studio, porta con sé implicazioni gravi, non solo dal punto di vista economico, ma soprattutto per la stabilità politica e sociale dei Paesi coinvolti.
Nonostante i governi siano in grado di giustificare gli aumenti di spesa con esigenze di difesa e sicurezza, lo studio di Greenpeace evidenzia come tali risorse possano essere utilizzate in modo più sostenibile, promuovendo politiche che puntino alla pace e alla cooperazione internazionale, piuttosto che all’escalation dei conflitti. In un’epoca segnata da crisi ambientali, economiche e sanitarie, le priorità di spesa dovrebbero essere orientate verso la risoluzione di questi problemi piuttosto che verso la proliferazione di armamenti.
Il quadro che emerge dalla ricerca solleva domande cruciali riguardo al futuro delle politiche economiche e militari dei Paesi europei, in particolare dell’Italia. Da un lato, si assiste a un boom economico per l’industria bellica e un aumento dei profitti per le aziende e i governi coinvolti. Dall’altro, però, il prezzo di queste politiche è alto: non solo in termini di vite umane, ma anche per quanto riguarda le risorse economiche sottratte a settori vitali come la sanità e l’istruzione.
Per fare un albero, ci vuole un fiore (Sergio Endrigo) – Le politiche future e il mondo che verrà
Lo studio realizzato da Greenpeace, con il contributo della Fondazione Umweltstiftung Greenpeace, offre una visione chiara e preoccupante del legame tra conflitti internazionali, crescita dei profitti dell’industria bellica e le decisioni politiche dei governi. Mentre le aziende della difesa come Leonardo continuano a registrare record di ordini e ricavi, il prezzo di queste politiche viene pagato da coloro che subiscono direttamente gli effetti dei conflitti, le vittime civili, e dalle società che vedono risorse vitali dirottate verso la spesa militare anziché verso settori di maggiore rilevanza sociale.
In definitiva, è evidente come il rafforzamento dell’industria bellica non rappresenti una soluzione duratura ai problemi di sicurezza internazionale. Anzi, alimenta un circolo vizioso in cui conflitti e riarmo si sostengono a vicenda, con conseguenze sempre più pesanti per il futuro della pace globale.
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