Una nuova puntata di “Side A – Storie a 45 giri” dedicata a John Miles e “Music”: troppa classe per il pop?
C’è una canzone che non urla, ma lascia il segno. Che non insegue le mode, ma le guarda passare, dall’alto. È il 1976, anno denso, contraddittorio, creativo. In Italia impazza l’estate rovente delle radio libere, le piazze si dividono tra dischi e politica, il cinema rincorre la realtà e la trasforma.
In questo scenario così acceso e confuso, Side A – Storie a 45 giri rispolvera “Music”, brano manifesto di un artista sottovalutato ma potentissimo: John Miles.
“Music”: la dichiarazione d’amore che diventa sinfonia
“Music was my first love, and it will be my last.”
Così inizia “Music”, e basta una sola frase per capire che siamo davanti a qualcosa di diverso. Il brano è una ballata sinfonica travestita da canzone pop, costruita su tre movimenti musicali: piano delicato, crescendo orchestrale, esplosione rock.
John Miles, cantante, pianista, chitarrista, autore, costruisce un brano come fosse un’opera, caratterizzata da forti contrasti. Le strofe sussurrano, i fiati si gonfiano, il ritornello travolge. Il brano non ha una struttura classica, eppure riesce a rimanere perfettamente pop: orecchiabile, potente, duraturo.
La produzione è affidata ad Alan Parsons, lo stesso degli Abbey Road Studios, il sound-engineer di “The dark side of the moon” dei Pink Floyd, e in seguito degli Alan Parsons Project. Non è un caso: c’è lo zampino di una scuola sonora raffinata, meticolosa, capace di rendere eterno ciò che altri avrebbero lasciato effimero.
La canzone diventa l’inno delle “radio libere” che cominciano a vedere la luce e nel corso degli anni a venire sarà una delle più programmate nelle emittenti che fanno della “Nostalgia” il proprio palinsesto musicale.
1976: tra rivoluzioni e fughe in avanti
Il 1976 è un anno che cambia pelle.
In Italia, la musica si emancipa: nascono le radio libere, Radio Alice, Radio Popolare. Il Festival di Sanremo si svolge a febbraio con un impatto sempre più marginale, mentre i 45 giri dominano la scena.
Nel mondo, l’aria è tesa: gli USA sono reduci dallo scandalo Watergate, la Gran Bretagna è nel pieno di una crisi economica e sociale che prepara il terreno al punk. I Sex Pistols sono ancora ai margini, ma la miccia è accesa.
Al cinema, arrivano “Taxi Driver”, “Rocky”, “Carrie”, mentre la musica cerca nuove direzioni. Queen, Genesis, Eagles, Electric Light Orchestra… e tra loro, John Miles, che decide di puntare in alto con una ballata sinfonica su un singolo da 45 giri. Una scommessa in controtendenza, ma vincente.
John Miles: troppo raffinato per essere pop?
Miles non diventa una star globale, ma lascia un segno profondo. La sua carriera si snoda tra dischi di culto e collaborazioni eccellenti, da Tina Turner a Joe Cocker, da Jimmy Page ad Alan Parsons. “Music” resta il suo marchio più riconoscibile, una dichiarazione d’amore alla musica che attraversa i decenni.
Negli anni, il brano ha ispirato numerose reinterpretazioni: nel 1984, Karel Gott ne pubblica una versione in tedesco, “Musik, das ist mein Leben”, con testo adattato da Bernd Mann dei Die Strandjungs; il cantante power metal Oliver Hartmann ne incide una versione intensa e drammatica nel suo DVD live Handmade, successivamente inclusa nella raccolta “The Best is Yet to Come”; nel 1993, Fargetta firma una sorprendente versione dance, “Music My First Love”, che rilegge il brano in chiave club. Anche il metal gli rende omaggio: i Metalium lo inseriscono nell’album “State of Triumph – Chapter Two” (2000). C’è spazio anche per la scuola melodica italiana: nel 2001, I Camaleonti ne registrano una versione italiana dal titolo “Musica e memoria2, con testo di Oscar Avogadro. Infine, nel 2009, i belgi Sylver lo ripropongono in un duetto tra Silvy De Bie e lo stesso John Miles, sigillando l’intramontabile attualità del pezzo.
L’artigiano del rock sinfonico
Nato a Jarrow, nel nord-est dell’Inghilterra, nel 1949, John Miles è uno di quei musicisti che attraversano più stagioni musicali senza mai perdere coerenza. Cantautore, polistrumentista e, soprattutto, architetto di melodie dal respiro epico, Miles emerge a metà anni Settanta con un sound che unisce l’anima rock a una sensibilità orchestrale inconfondibile. “Music”, il suo brano più iconico, non è un caso isolato, ma la sintesi perfetta di una carriera costruita sulla fusione tra pathos e potenza, tra romanticismo barocco e ritmo pulsante.
Il suo album di debutto, Rebel (1976), prodotto da Alan Parsons, lo consacra subito tra le promesse del rock britannico, grazie anche a brani come “Highfly” e “Remember Yesterday”. Seguiranno dischi come Stranger in the City (1977), Zaragon (1978) e More Miles Per Hour (1979), in cui la sua visione sonora si fa via via più ambiziosa, pur senza mai rinunciare all’accessibilità melodica. Miles alterna poi la carriera solista con quella di collaboratore: diventa presenza fissa nelle tournée di Tina Turner e membro stabile del progetto Alan Parsons Live. Il suo timbro vocale, pulito e intenso, diventa un marchio di fabbrica per chi ama il rock colto, il pop che osa.
Scompare nel 2021, ma la sua musica continua a parlare a chi cerca un’emozione autentica, stratificata e universale.
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