Jova Beach Party: una Woodstock moderna

Jova Beach Party

Una Woodstock dei nostri giorni. Così è stata definita la prima data del nuovo tour di Lorenzo Cherubini “Jova Beach Party” che sta invadendo gli spazi estivi per eccellenza: le spiagge più amate dagli italiani.

Dopo le serate Jova Beach Party di sabato 6 luglio e mercoledì 10, la squadra del ragazzo fortunato è tornata a far divertire migliaia di persone ieri sera, sabato 13 luglio, a Castel Volturno. Accanto a lui l’immancabile bassista e amico Saturnino che, proprio ricordando i 50 anni dal Festival di Woodstock che dal 15 al 18 agosto 1969 portò musica e cultura hippie a Bethel, nello stato di New York, ammette «le persone che vi hanno partecipato hanno cambiato per sempre la loro vita. Tra loro c’era anche Rob Brezsny che oggi cura l’oroscopo di Internazionale e non credo sia un caso riesca ad arrivare a così tante persone».

Abbiamo intervistato Saturnino qualche tempo fa, prima che partisse il Jova Beach Party. Ci ha parlato della passione per la musica, delle sue scelte di vita e del sodalizio con l’amico e collega Lorenzo. Ecco l’intervista.

Saturnino e Lorenzo

Lei e Lorenzo Cherubini siete una cosa sola, ma quanto c’è di Saturnino in Jovanotti e quanto di Jovanotti in Saturnino?

Per me Lorenzo è il fratello maggiore che non ho mai avuto. Da quando ci siamo incontrati c’è stato subito un grande affetto e negli anni ci siamo arricchiti a vicenda. Ciò che impreziosisce il nostro rapporto è l’assenza di un contratto. Per lui sono semplicemente un professionista a cui viene rinnovata la fiducia. Il nostro è un sodalizio puro che cerco di preservare e proteggere: questo è il nostro plus.

A conferma, quindi, che anche nel mondo dello spettacolo si possano coltivare rapporti umani sinceri.

Certo, ma dipende sempre da te e dal modo in cui vuoi essere ricordato. Se ci tieni e non vuoi fregartene, allora puoi vivere questo lavoro con passione e umanità.

Saturnino non è solo il bassista dei grandi palchi, ma anche il dj dei Navigli milanesi. Come concilia le due vite?

Faccio dj set da 15 anni e mi piace perché è uno strumento con cui riesco a far divertire le persone. È iniziato per gioco e ora negli ultimi anni ho deciso di collaborare con una vera agenzia per fare booking. Quello che amo di questa mia altra attività è l’atto performativo dell’improvvisazione: seleziono musica per le persone che vogliono ascoltare e mi diverto io per primo. Per questo ho sempre un timore referenziale nel farlo, perché c’è chi nasce dj e non è il mio caso, ma è anche vero che non esistono albi di performer: la professionalità è solo una conseguenza. Più che un lavoro preferisco definirlo una passione remunerata.

Non solo musica

Lei d’altronde ha tante passioni e una di queste la lega al grande Lou Reed. Il suo interesse per gli occhiali oggi confluisce nella nuova impresa “Saturnino Eye Wear”. Cosa le rimane, invece, dell’incontro con il cantautore statunitense?

Lou Reed era un personaggio eclettico, aveva mille interessi diversi, ma tutti accomunati dagli unici sentimenti che contano davvero, curiosità ed empatia, gli stessi che ha dimostrato di avere nel giorno in cui ci siamo conosciuti. Ero andato a prenderlo all’aeroporto per portarlo da Noah Guitars (l’azienda produttrice di chitarre e bassi in alluminio da cui Saturnino ha acquistato per Jovanotti il primo strumento della storia italiana regalato da un musicista a un altro musicista, ndr). Era venuto a Milano per inaugurare una mostra di fotografia, altro suo interesse, e voleva passare da Noah Guitars da cui aveva acquistato uno strumento grazie all’amico in comune Davide De Blasio (proprietario della pelletteria “Tramontano” che costruiva gli spallacci delle chitarre di Lou Reed, ndr).

Abbiamo trascorso mezza giornata insieme e conservo con cura tutto quello che mi è rimasto di lui, una persona che ha vissuto davvero.

Il ricordo di Lou Reed

Mi racconti qualche aneddoto di quella giornata.

Mi ha stupito sin da subito il suo atteggiamento. Sono andato a prenderlo con un’auto molto semplice e lui con incredibile umiltà si è seduto sul sedile posteriore chiedendomi se fossi il tassista. Quando gli ho detto di essere un amico di Davide De Blasio è sceso dalla macchina ed è salito davanti, dimostrando un’incredibile empatia scaturita prima di tutto da quella curiosità che l’ha portato a interessarsi a me. È una regola che dovremmo seguire tutti: se si è a cena con persone sconosciute non ha senso stare in silenzio, ma bisogna inizia a parlare per conoscersi. Bene, lui quel giorno ha iniziato a parlare e così la conversazione è continuata sulla musica e gli strumenti. Poteva stare zitto, ma non l’ha fatto.

Mi ha parlato anche della fotografia. Non sembra c’entrare molto con la musica.

Al contrario, la macchina fotografica è incredibilmente somigliante a uno strumento musicale. La prima immortala le emozioni, il secondo le fa vibrare e le produce. Quando Lou Reed ha aperto la custodia dello strumento di Noah Guitars ha pensato alla sua Leica scavata in alluminio: questo significa che esiste una stessa scuola di pensiero che viene applicata a progetti differenti con in comune l’emozione. E lui ha dimostrato una grande sensibilità nell’associare le due arti che sembrano tanto distanti, ma in realtà sono collegate.

A proposito di collaborazioni

A proposito di collegamenti, quest’anno ricorre il cinquantenario del Festival di Woodstock, il brano “Il mio nome è mai più” di Jovanotti, Ligabue e Piero Pelù compie 20 anni, “Domani 21/04.2009” spegne 10 candeline. È il segno di un ritorno alla musica di unione e aggregazione?

Sono fermamente convinto che nella musica tutto torni. Non c’è mai nulla di nuovo, perché in fondo il presente attinge sempre dal passato. Per questo non so mai dire cosa mi abbia influenzato nella mia vita artistica. L’ascolto di una canzone è connesso ai sentimenti di quel dato momento, quindi varia in continuazione, ritorna e si rinnova.

Oggi vedo nelle nuove collaborazioni di artisti, come quella tra Charlie Charles, Dardust, Sfera Ebbasta e Mahmood (“Calipso”, ndr) un bellissimo segnale. Sono sempre stato aperto alle collaborazioni. Nel 1997 ho interamente registrato l’album di Franco Battiato: il basso de “La cura” è il mio, ma in pochi lo sanno.

Con una vita così intensa di collaborazioni, però, non prova ogni tanto il desiderio di produrre qualcosa di proprio e autonomo?

Sì, mi piacerebbe fare un disco nuovo da solo, perché essere uno contro tutti permette di misurarsi e crescere. Amo anche stare da solo e suonare per ore: è l’unico modo in cui si è davvero se stessi anche nell’imperfezione. Un po’ come nell’amore: amare una persona significa volerle bene per quello che è e non per quello che tu vorresti lei fosse. In questo senso serve autenticità e oggi penso stia tornando.

Il valore di un amico

È questo il segreto del successo del duo Jovanotti-Saturnino?

Assolutamente. Quando trent’anni fa mi sono presentato al provino di Lorenzo che cercava musicisti per il suo tour lui, mi ha subito chiesto se sarei stato libero per i successivi sei mesi, perché guardava avanti. Io avevo già ricevuto un’altra proposta, ai tempi più allettante per il guadagno immediato, ma qualcosa mi diceva che dovevo scegliere Lorenzo. Così ho fatto e sono ancora qui.

È stato amore a prima vista, un colpo di fulmine, ho seguito l’istinto e ho imboccato la strada giusta. Bisogna sempre essere attenti alle occasioni che si presentano nelle nostre vite: quella buona passa una sola volta e bisogna saperla cogliere.

Ai giovani che vogliono intraprendere la stessa strada, quindi, cosa consiglia?

Di capire dove vogliono andare e fare di tutto per realizzare quello che davvero desiderano. Umanità senza gravità: questo è il mantra. Io da bambino vedevo i grandi palchi e mi immaginavo un giorno di calcarli. A 14 anni sono scappato di casa per andare al concerto dei Pooh e di Battiato e ho conosciuto Flavio Scopaz, bassista amico di Eros con cui anni dopo ho iniziato a lavorare. Questo significa che la tenacia premia.

Una tenacia che accomuna Saturnino al suo fedele collega Jovanotti e che oggi ha permesso loro di realizzare un progetto mai visto in Italia. «Woodstock è stato organizzato da teste pensanti che si riunivano per creare qualcosa che era fuori dalla loro portata. È sempre così: le scoperte all’inizio sono situazioni più grandi di te e, quando te ne rendi conto, la loro portata ti travolge e ti pone di fronte alla tua piccolezza». Cinquant’anni dopo Jova Beach Party sembra essere strumento di grandezza e aggregazione. Se così sarà, dovremo ringraziare Saturnino e Jovanotti per la loro “non piccolezza”.

Saturnino official web site

Giulia Di Leo
Giulia Di Leo
Laureata in Lettere moderne, ha frequentato la scuola di giornalismo all’Università Cattolica di Milano e oggi scrive per La Stampa e Zetatielle. Dice di sé: “ Sono una ragazza di provincia nata col sogno di scrivere, amo la mia città, Casale Monferrato, che mi ha insegnato a vivere di semplicità e bellezza, portandomi, poi, ad apprezzare la metropoli milanese che nella maturità mi ha conquistata. Non riesco a vivere senza musica: nata nel ’95, ho vissuto di riflesso gli anni delle musicassette degli 883. Mi nutro di cantautorato, pop, indie e trap per aprirmi al vecchio e al nuovo. Senza mai averne capito il perché, il giornalismo è sempre stato il sogno della vita, amo scrivere e la mia attitudine è raccontare e raccontarmi, con stile razionale e schietto. Il mio più grande desiderio è fare della mia passione un lavoro, avvicinandomi a tutti i mondi che fanno parte di me”.