La marmotta, un animale? No, pianta da briganti!

Dire “marmotta” evoca un simpatico roditore cicciottello, affine allo scoiattolo, che popola le regioni montane di Europa, Asia e America settentrionale. Ma per chi si occupa di fitoterapia, con il termine marmotta s’intende soprattutto la pianta omonima! Appartiene alla famiglia delle Rosacee ed è stata catalogata con il nome latino di Prunus brigantiaca Villars (o Prunus brigantina Villars). Se consideriamo la botanica sistematica, non tutti gli autori concordano che questa specie sia associabile al genere Prunus, come il prugnolo, il ciliegio o il susino. Per questo c’è chi l’ha classificata tra gli albicocchi, con il nome latino di Armeniaca brigantiaca. E di conseguenza è ritenuta dai primi l’unico Prunus autoctono in Europa, senza essere stato importato dall’Asia, e dagli altri l’unico albicocco con la stessa prerogativa.

Al di là del mistero ancora insoluto, è assai interessante l’aggettivo brigantiaca che determina la specie. Ci rimanda infatti all’esiguo territorio in cui vegeta spontanea. È il Delfinato francese, tanto che la marmotta, in francese marmottier, è anche conosciuta come “pruno del Delfinato”. È presente pure in Italia, soprattutto in Val di Susa. Ma, allora, perché brigantiaca? L’aggettivo deriverebbe dal sostantivo celtico brig, ossia luogo elevato. Esso portava a definire gli abitanti celto-liguri della regione montuosa compresa tra le Alpi Marittime e Briançon come brigantes, in quanto gente che vive sulle vette. Dato che si trattava di popoli di confine, dediti a commerci non sempre leciti, la parola brigante entrò nel vocabolario italiano quale sinonimo di ladro, predone. Ma pure su tale termine ci sarebbe molto da disquisire, perché si potrebbe farlo risalire a briga, nel senso di compagnia…

Foglie verdi di marmotta a margine dentellato.
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Breve descrizione botanica della marmotta

Si tratta di un alberello (a volte anche solo arbusto) che non supera i 6 metri d’altezza. È la pianta da frutto che vanta il primato di vivere in luoghi assai più elevati di tutte le altre, fino a 1800 metri! Predilige i pendii soleggiati, con terreno siliceo-marnoso, le boscaglie e i bordi di sentieri e pascoli. Oltre che nelle Alpi Marittime francesi, è spontanea anche in Piemonte occidentale. I rami angolosi non sono spinosi e quelli più giovani presentano un tipico colore rossastro. Le foglie sono alterne, ovato-ellittiche, a volte cordate, piuttosto aguzze e con margine irregolarmente dentato.

I fiori primaverili – sbocciano prima della comparsa delle foglie – sono a 5 petali bianchi e sono riuniti in infiorescenze a glomerulo di 2-5 elementi ciascuna. I frutti sono drupe globose, di colore giallo a maturazione, lisce e glabre, con polpa verdastra e di sapore aspro. Contengono un unico seme, piuttosto grande.

Disegno scientifico di un ramo con foglie e frutti gialli.
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Usi tradizionali di montagna

A causa del sapore non proprio gradito, i frutti della marmotta non sono mai stati apprezzati e mangiati dalle popolazioni di montagna. Erano i semi simili a mandorle, al contrario, a giustificarne la massiccia raccolta. Al loro interno c’è un nocciolo che contiene circa il 48% di sostanze grasse, oltre che un’esigua percentuale di acido cianidrico. Tali noccioli venivano tritati e poi pressati nei mulini, per ricavarne un olio alimentare. Era chiamato olio di marmotta, proprio come quello ricavato dall’omonimo animale e che serve per lenire  dolori muscolari e articolari. Ma il suo impiego era prettamente culinario.

Molto profumato, dall’aroma mandorlato, s’impiegava per condire verdure cotte e crude, come comune olio da tavola. In uso esterno, aveva anche un utilizzo terapeutico come olio da massaggio in caso di reumatismi. Il problema è che servivano ingenti quantità di noccioli, pari circa a due chilogrammi per ottenere un solo litro di olio. L’olio vegetale di marmotta è oggi pressoché scomparso perché ormai ci sono pochi mulini ancora attivi. La pianta, invece, è stata spesso scelta per il rimboschimento dei pendii montani e per fini decorativi. Produce, infatti, molti frutti che, con il loro colore dorato, ogni estate ne illuminano i rami.

Molti  frutti gialli di marmotta in un piatto bianco.
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Maura Maffei
Maura Maffei
Maura Maffei è da trent’anni autrice di romanzi storici ambientati in Irlanda, con 17 pubblicazioni all’attivo, in Italia e all’estero: è tra i pochi autori italiani a essere tradotti in gaelico d’Irlanda (“An Fealltóir”, Coisceim, Dublino, 1999). Ha vinto numerosi premi a livello nazionale e internazionale, tra i quali ci tiene a ricordare il primo premio assoluto al 56° Concorso Letterario Internazionale San Domenichino – Città di Massa, con il romanzo “La Sinfonia del Vento” (Parallelo45 Edizioni, Piacenza, 2017) e il primo premio Sezione Romanzo Storico al Rotary Bormio Contea2019, con il romanzo “Quel che abisso tace” (Parallelo45 Edizioni, Piacenza, 2019). È a sua volta attualmente membro della Giuria del Premio Letterario “Lorenzo Alessandri”. Il suo romanzo più recente è “Quel che onda divide” (Parallelo45 Edizioni, Piacenza 2022) che, come il precedente “Quel che abisso tace”, narra ai lettori il dramma degli emigrati italiani nel Regno Unito, dopo la dichiarazione di Mussolini alla Gran Bretagna, e in particolare l’affondamento dell’Arandora Star, avvenuto il 2 luglio 1940, al largo delle coste irlandesi. In questa tragedia morirono da innocenti 446 nostri connazionali internati civili che, purtroppo, a distanza di più di ottant’anni, non sono ancora menzionati sui libri di storia. Ha frequentato il corso di Erboristeria presso la Facoltà di Farmacia di Urbino, conseguendo la massima votazione e la lode. È anche soprano lirico, con un diploma di compimento in Conservatorio. Ama dipingere, ha una vasta collezione di giochi di società e un’altrettanto vasta cineteca. È appassionata di vecchi film di Hollywood, quelli che si giravano tra gli Anni Trenta e gli Anni Sessanta del secolo scorso. Tra i registi di allora, adora Hawks, Leisen e Capra. Mette sempre la famiglia al primo posto, moglie di Paolo dal 1994 e madre di Maria Eloisa.
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