La menta, presso gli antichi egizi
La menta è certamente una delle Labiate più popolari, conosciuta e amata sin dall’antichità. I suoi semi sono stati ritrovati in insediamenti preistorici dell’Età della Pietra. I primi estimatori ne furono gli egizi, che l’avevano consacrata alla dea Iside e al dio Thot, preposto alla medicina. Per questo motivo, soltanto i sacerdoti si tramandavano in segreto le sue proprietà curative. Era citata nel celebre papiro di Ebers, risalente al XVII secolo a.C. e alla XVIII dinastia, durante il regno di Amenhotep I.
Inoltre, serviva per preparare un unguento chiamato kiphi, del quale tuttavia non si sa molto, se non che era composto da una cinquantina d’ingredienti. Era una sorta di panacea universale, che era in grado di curare in modo quasi miracoloso la maggior parte delle malattie.


La ninfa Myntha presso i greci
Tra i miti greci, c’è quello della bellissima ninfa Myntha, da cui la pianta trarrebbe il nome. Era la figlia del fiume infernale Cocito, affluente dell’Acheronte. Di lei si era invaghito il dio dell’oltretomba Ade e ne aveva fatto la sua amante. Ma la dea Persefone, moglie di Ade, la uccise per gelosia, facendola letteralmente a pezzi. Addolorato, Ade volle che fosse trasformata in una pianta dal profumo intenso ed evocativo. A prescindere dal mito, Ippocrate e gli altri medici greci ne apprezzavano le virtù terapeutiche e i sacerdoti ne indossavano corone durante le cerimonie.


Il significato di mens presso i romani
Convinti che la menta riuscisse ad acuire la memoria, i romani ne facevano derivare il nome non tanto dalla ninfa greca quanto dal sostantivo mens. Esso si traduce con mente e della menta gli oratori bevevano l’infuso sia per ricordare meglio i loro discorsi sia per schiarire la voce. Nel I secolo, Plinio sosteneva che curasse le affezioni polmonari e il mal di stomaco, di fegato e di testa.
La consigliava come ingrediente nelle salse, per l’aroma e per evitare che inacidissero. Del resto, i romani facevano grande uso della menta come alimento ma, come pure i greci, solo in tempo di pace. Erano, infatti, convinti, che fosse un potente afrodisiaco. In caso di guerra, avrebbe rammollito i soldati con i piaceri del talamo, rendendoli meno destri nel maneggiare le armi. Era addirittura vietato seminare e coltivare menta, se scoppiava un conflitto.


Nel Medioevo e nel Rinascimento
Nel IX secolo, secondo la Scuola Salernitana, la menta era utilizzata per eliminare i vermi intestinali. Fu amatissima dai medici arabi ed è attualmente tradizione delle popolazioni del Nord Africa preparare come bevanda un tè di menta da offrire agli ospiti. Nel secolo XI, Odone di Meung dedicò a questa pianta una pagina interessante del De viribus herbarum. Riprese quanto già indicato da Plinio e aggiunse che serviva pure contro il mal d’orecchio e per lenire il morso dei cani. Scrisse anche che il suo succo impediva al formaggio di marcire. Nel XVI secolo, collegandosi alla convinzione romana, Andrea Mattioli era certo che la menta fosse un’ottima alleata di Venere.


Usi e tradizioni irlandesi
Nell’Isola di Smeraldo, la menta è specie autoctona (in riferimento alla menta acquatica) e ha il nome gaelico di Mismín mionsach o Mismín dearg. L’aggettivo mionsach significa “minore” e l’aggettivo derg vuol dire “rosso”. Un tempo, nelle campagne si cospargeva il pavimento delle case di rametti di menta, prima di un viaggio o in previsione di un periodo d’assenza. Questo avrebbe impedito che si annidassero e proliferassero topi e insetti. Secondo un’altra tradizione, in una famiglia in cui il marito è succube della moglie, la menta seminata nell’orto si rifiuta di crescere e in breve secca.
In altre contee, gli irlandesi sostenevano che dopo averne trapiantato un cespo, non bisognava guardarlo per almeno un mese, per farlo ambientare senza essere disturbato. Gli apicultori ci strofinavano le arnie perché le api non le abbandonassero facilmente. Infine, i tosatori lavavano con acqua in cui erano state macerate foglie di menta la lana sucida delle pecore, per migliorarne l’odore.


Nel linguaggio dei fiori
Regalare un bouquet che contenga rametti di menta serve a richiamare un ricordo comune. Proprio perché, nel linguaggio dei fiori, essa conserva l’antica valenza di memoria. Secondo altri autori, trattandosi di una specie umile e poco appariscente, essa è collegata alla sobrietà e alla saggezza. I cinesi, al contrario, ne hanno fatto un simbolo di riservatezza e timore.


Menta, sì, ma quale specie?
Ormai la menta più nota è quella piperita, che è sicuramente la più aromatica e ricca di principi attivi. Ma non è affatto una specie esistente in natura ed è un’erba prettamente coltivata! In realtà, la Mentha piperita L. è un ibrido spontaneo che fu classificato per la prima volta a metà del XVIII secolo. Essa deriva quindi dall’incrocio tra la Mentha aquatica L. e la Mentha viridis L. o addirittura la Mentha viridis L. Di conseguenza, per la descrizione botanica e l’impiego fitoterapico, abbiamo scelto di proporvi la Mentha aquatica L. perché più comune da reperire in campagna. È quella che i romani coltivavano già due millenni orsono.
Per identificarla, occorrono come sempre le chiavi botaniche ma si riconosce con facilità per le sue caratteristiche. È diffusa negli ambienti umidi, presso stagni, acquitrini e corsi d’acqua, in Europa e in Asia. Come anticipato, appartiene alla famiglia delle Labiate ed è una pianta perenne eretta, con lunghi stoloni radicali. I fusti, a sezione quadrangolare, sono rossastri, rigidi e pelosi, alti sino a 90 centimetri. Le foglie sono anch’esse pelose su entrambe le pagine, peduncolate e di forma ovata, con margine dentellato-dentato.


I fiori, che sbocciano tra giugno e settembre, sono riuniti in capolini globosi, tipici della menta acquatica e adagiati su una coppia di foglie. Altre specie di menta hanno infiorescenze a spiga. Le corolle differiscono da quelle proprie delle Labiate, perché sono divise in quattro lobi: uno superiore, a sua volta bilobato, due laterali e uno inferiore. Il loro colore è lilla, che varia dal rosato al celeste. Il frutto è composto da quattro piccoli acheni ovoidali


L’ottimo infuso di menta
L’infuso di menta è una bevanda molto gradevole e rinfrescante, indipendentemente dalle sue proprietà medicinale. Queste, tuttavia, sono tutt’altro che trascurabili. Prendendo sempre in considerazione la menta acquatica, la droga è rappresentata dalle sue foglie. Essa è costituita soprattutto da olio essenziale con mentofurano e mentolo, oltre che da tannini. Ha proprietà stimolanti per tutto l’organismo, digestive, carminative (riducendo l’aerofagia), balsamiche, calmanti, analgesiche e antispasmodiche. Calma la nausea, le nevralgie, l’irritazione nervosa e i crampi addominali.


La tisana si prepara esattamente come il tè, ponendo mezzo litro d’acqua bollente in una teiera contenente già due cucchiai rasi di droga. Si lascia riposare una decina di minuti, si versa in tazza e si dolcifica a piacere. Per uso esterno, l’alcolato di menta o il mentolo (essenza solidificata che per primi ricavarono i giapponesi) alleviano il mal di testa e i dolori reumatici. La menta è impiegata nei più svariati utilizzi: come spezia di cucina e pasticceria, in profumeria, come ingrediente di dentifrici, caramelle e chewing gum e in liquoreria. Quale conclusione, vogliamo ancora fare un accenno alla cosiddetta “prova della menta”. Si applica in medicina quando c’è il sospetto di un polmone perforato. In questo caso, s’introduce essenza di menta nella cavità pleurica. Se il paziente avvertirà, inspirando, uno spiccato profumo, gli sarà purtroppo diagnosticata tale perforazione.


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