L’artemisia, vanto dell’almanacco medioevale di settembre
Dell’artemisia vi abbiamo già accennato nel trattare il “cugino” assenzio, ad agosto. Merita, tuttavia, un articolo a sé stante, perché era una delle erbe maggiormente apprezzate tra quelle dell’almanacco medioevale.
Odone di Meung, il probabile autore del trattato De viribus herbarum, sceglie proprio l’artemisia come prima tra le 77 piante che descrive. E non procede affatto in ordine alfabetico. Anzi, la introduce con parole davvero lusinghiere. “Dovendo esporre alcune proprietà delle erbe, credo che sia giusto mettere al primo posto la loro madre (Artemisia la chiamò, chi si esprime in greco)”.
Qui tuttavia il nostro autore commette un errore perché ne collega il nome alla dea Artemide che, secondo lui, ne fu la scopritrice. Evidentemente aveva letto troppo in fretta Plinio che, con ragione, lo faceva derivare dalla regina erborista Artemisia, moglie del re Mausolo di Caria. Fu lei, nel IV secolo a.C., a far erigere in memoria dello sposo defunto il Mausoleo di Alicarnasso, considerato una delle sette meraviglie del mondo antico.


L’artemisia, il rimedio universale secondo Odone
Ma torniamo alla proprietà strabilianti dell’artemisia, secondo Odone di Meung. La considera un’erba molto femminile e sostiene che provochi le mestruazioni e favorisca il parto (specie nel caso di bimbi prematuri). Ne definisce il decotto diuretico, capace di espellere i calcoli e di offrire giovamento agli itterici. Forse esagera un poco nelle frasi seguenti. Dopo aver riferito che è il rimedio d’elezione per chi ha assunto una dose eccessiva di oppio, la trasforma in antidoto universale. “Taluni ritengono che chiunque l’abbia assaggiata non riceverà danno da alcuna sostanza nociva e nessuna belva lo assalirà per sbranarlo”.
Come se non bastasse, scrive inoltre che, tenendone al collo la radice, l’artemisia allontani rospi e rane nocive. Per fortuna, conclude riportando il discorso sul piano fitoterapico e indicando le ottime virtù del vino dal sapore eccellente, in cui sia stata macerata la pianta. Tale bevanda risana stomaco e visceri ed è utile per molti altri malanni.


Tradizioni d’Irlanda e di Francia
In Irlanda, anziché aggiunta al vino, l’artemisia si usa da secoli per aromatizzare la birra. E da sempre è ritenuta l’erba dei viandanti. Perché chi ne mette una foglia in ciascuna scarpa al mattino, sarà in grado di percorrere siano a quaranta miglia, prima di sera. Prende il nome gaelico di Mongach meisce, dal quale risulta che era la pianta selvatica per far passare la sbornia agli ubriachi. Nelle campagne, s’infilavano rametti di artemisia nel cuscino di un malato. Pare che se questi si fosse addormentato comunque, sarebbe presto guarito. Se, al contrario, l’aroma dell’artemisia avesse disturbato il suo sonno, non si sarebbe più ripreso.


C’era, infine, una leggenda legata alla notte che precede la festa liturgica di san Giovanni Battista (24 giugno). Era diffusa la credenza che, solo in quella notte, comparisse sulle sue radici un carbone molto particolare. Se raccolto e portato al collo, permetteva di scampare tanto la peste quanto i fulmini. Tale credenza era diffusa anche in alcune regioni francesi, come la Bretagna, dove era chiamata couronne de saint Jean, ossia “corona di san Giovanni”. Ma in Francia l’artemisia è soprattutto un’apprezzata spezia per le carni arrostite e ancora oggi viene usata per farcire l’oca.


Le caratteristiche botaniche di una specie assai diffusa
L’artemisia, che appartiene alla famiglia delle Composite, è stata catalogata come Artemisia vulgaris L. È frequente nei terreni gerbidi ricchi di nitrati, lungo le sponde dei fiumi o sui margini dei sentieri e si trova in Europa e in Asia. Si tratta di una specie erbacea aromatica che può vivere sino a una decina d’anni. Presenta un rizoma piuttosto grande e un fusto eretto e rossiccio, ben ramificato e scannellato, che raggiunge il metro e mezzo d’altezza. Le foglie sono in posizione alterna e sono mono-bipennate, verdi scuro sulla pagina superiore e biancastre su quella inferiore. I fiori sono piccoli capolini giallo-bruni, riuniti in fitte pannocchie piramidali, e sbocciano tra luglio e settembre. I frutti sono acheni piccini. Per riconoscere l’artemisia in natura, è sempre meglio ricorrere alle chiavi botaniche, evitando di utilizzare soltanto fotografie, che possono essere artistiche e, quindi, poco esaustive.


L’artemisia in fitoterapia
Pur avendo un utilizzo fitoterapico simile a quello dell’assenzio, l’artemisia è un’erba decisamente più tranquilla. Le controindicazioni principali riguardano, tuttavia, l’utilizzo in gravidanza (permane il sospetto che sia abortiva) o in caso di infiammazioni digestive e uterine. Sconsigliato comunque l’uso eccessivo e il parere di un medico è sempre auspicabile. La droga è costituita sia dalle sommità fiorite, sia dal suo rizoma. I principali costituenti sono l’olio essenziale contenente cineolo, tannini, sostanze amare e resina. Per fortuna non c’è il famigerato tuione dell’assenzio, che è velenoso.


L’infuso delle sommità fiorite si ottiene portando a bollore due cucchiai rasi di droga in mezzo litro d’acqua. Si lascia riposare sotto coperchio per un quarto d’ora, si filtra e si dolcifica. Si beve lungo la giornata al posto del comune tè, essendo una bevanda alimentare. Giova alle donne che soffrono di amenorrea e che sono in menopausa. Ma è pure un buon rimedio antispasmodico, eupeptico (induce l’appetito) e digestivo. La radice contrasta le affezioni nervose ed è prescritta dai medici naturalisti persino nel trattamento dell’epilessia. Di solito si mescola la polvere del rizoma essiccato con il miele (pari quantità) e se ne prendono pochi cucchiaini nella giornata. Forse non sarà la madre di tutte le erbe, come sosteneva Odone di Meung, ma, assunta con moderazione, l’artemisia può essere senz’altro un’alleata della nostra salute.


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