L’edera terrestre e l’edera rampicante: che ci azzeccano?
L’edera terrestre, in realtà, non c’entra nulla con l’edera rampicante, di cui vi abbiamo già parlato a proposito del calendario arboreo irlandese. Non sono neppure lontane parenti. L’edera vera e propria, infatti, appartiene alla famiglia botanica delle Araliacee, mentre quella terrestre appartiene alle Labiate, che vi stiamo descrivendo in queste settimane. Ed è stata classificata come Glechoma hederacea L. Alcuni autori ipotizzano che il nome simile richiami la forma delle foglie o il fatto che entrambe le specie non le perdono in inverno. In ogni caso, sarebbe riduttivo considerare quest’erba una sorta d’edera minore, perché per storia e proprietà non ha nulla da invidiare alla più nobile omonima.


Per chi si fosse perso l’articolo sull’edera rampicante o volesse approfondire quest’erba può cliccare sul titolo qui sotto
L’edera che è il mese di Gort nel calendario arboreo irlandese
Qualche curiosità attraverso la storia
L’edera terrestre è una pianta medioevale per eccellenza, molto amata ad esempio da Ildegarda di Bingen (1098-1179). La santa erborista tedesca la consigliava, ad esempio, per curare le ferite e per lenire la tosse ostinata. Anche nel XV secolo s’impiegava per detergere piaghe e ulcere. Nel Rinascimento, il suo decotto era considerato l’unico valido rimedio contro la pazzia. Si versava su fogli di carta assorbente, che venivano applicati sulla testa di colui che era ritenuto demente.


Il “padre delle piante”, in Irlanda
A differenza di altre Labiate descritte in precedenti articoli, l’edera terrestre è autoctona e comune in Irlanda, tanto da meritare il nome gaelico di Athair lusa. Esso significa “padre delle piante” e ci rivela l’alta stima che ne hanno sempre avuto gli irlandesi. Nelle campagne, compresse del suo decotto si usavano contro i disturbi di acufene, ossia di ronzio alle orecchie. Polvere delle sue foglie era mescolata alla biada dei cavalli, ma solo quando soffrivano di vermi intestinali perché l’edera terrestre è tossica per questi animali.
I contadini ci aromatizzavano sia l’idromele sia un tipo di birra che era assai apprezzato. Birra che, tuttavia, non doveva gradire affatto il celebre scrittore Jonathan Swift, autore de “I Viaggi di Gulliver”. Uno scritto riporta una sua lamentela, riguardo a una taverna. Là fu costretto a pranzare per dieci pence, con birra di edera terrestre, brodo gramo e tre costolette di montone.


Breve descrizione dell’edera terrestre
È una piccola pianta perenne, che ci appare strisciante e coricata. Predilige come habitat il sottobosco, le siepi, i prati e gli orti. I suoi stoloni radicali, che si allungano sino a un metro, sono superficiali ed emettono radici ai nodi. Emettono pure fusti fioriferi eretti, che raggiungono i 30 centimetri d’altezza, dalla tipica sezione quadrangolare delle Labiate. Le foglie opposte presentano lunghi piccioli e sono tondeggianti, cuoriformi o reniformi. Il loro margine è dentellato e spesso assume una sfumatura rossastra.


I fiori, che sbocciano tra marzo e giugno, sono posti a due o tre, in radi verticilli all’ascella fogliare. Sono intubati, con lungo calice e con corolla che varia dal blu al violetto, a doppio labbro lobato e cinque denti uguali. La disposizione delle antere ravvicinate sotto il labbro superiore è caratteristica e, mediante le chiavi botaniche, permette di identificare facilmente la specie. Sono infatti disposte a due a due, formando due distinte croci di sant’Andrea, una sopra l’altra.


Studi clinici e proprietà fitoterapiche
È almeno dal XVI secolo che ci si occupa di edera terrestre in maniera scientifica. L’agronomo e botanico francese Olivier de Serres asseriva di risolvere i disturbi all’apparato respiratorio versando nel naso il suo succo. Altri medici della sua epoca affermavano di curarci addirittura la tubercolosi. Nel 1850, Cazin sosteneva di aver guarito con il suo infuso concentrato diversi casi di catarri polmonari cronici. Con lo sciroppo, Chomel assicurava di trattare con buoni risultati l’asma. La moderna fitoterapia ha isolato vari principi attivi nella droga di quest’erba, rappresentata dalle parti aree essiccate. Essi sono: colina, acidi organici marrubina, tannini, saponine, sali minerali, gomma e, soprattutto, olio essenziale. È quest’ultimo, di colore verde, che agisce come espettorante, fluidificando il catarro.


L’infuso di edera terrestre giova quale stimolante bronchiale, bechico per tutte le affezioni polmonari, diuretico, lassativo, tonico e antispasmodico. Si prepara come un tè casalingo, ponendo due cucchiai rasi di droga in mezzo litro d’acqua. Si porta a bollore e si spegne subito, lasciando riposare sotto coperchio per una decina di minuti, Si filtra e si dolcifica a piacere. È una bevanda alimentare che si può sorseggiare lungo la giornata, in supporto naturalmente alle cure mediche che non devono mai essere abbandonate. Cataplasmi di decotto (che si ottiene facendo bollire un po’ più a lungo quanto sopra indicato) fanno maturare foruncoli e ascessi. A conferma dell’uso vulnerario già scoperto da santa Ildegarda di Bingen.

