“2 marzo 1927. L’ammalato è stato riconosciuto dai familiari per il Professor Giulio Canella di Verona. E’ dimesso come migliorato ed affidato alla moglie“. Cosi annota il fascicolo “Giudizio clinico e medico-legale sulle condizioni mentali e sul grado di pericolosità del ricoverato n° di matricola 44170 del Regio Manicomio di Torino (Collegno)” disposto con decreto 26 maggio 1927 dal Presidente del Tribunale civile e penale di Torino, redatto da Alfredo Coppola e consegnato l’8 settembre 1927. Così pare finire, almeno quel giorno, la storia dello Smemorato di Collegno. In realtà si apre, con quella dimissione, un caso che terrà per più di 90 anni l’Italia sospesa in dubbi amletici sulla vera identità dello Smemorato.


del ricoverato n° di matricola 44170 del Regio Manicomio di Torino (Collegno)” foto da
Archivio storico della psicologia italiana Fondo Archivio Alfredo Coppola
10 marzo 1926 lo Smemorato di Collegno è internato nel Regio Manicomio
La vicenda dell’uomo senza memoria e senza nome inizia un anno prima. “Ricoverato il giorno 10 marzo 1926 nel manicomio di Torino (casa Collegno). Nulla egli è in condizione di dire sul proprio nome, sul paese d’origine, sulla professione. Parla correntemente l’italiano. Si rileva persona colta e distinta dell’apparente età di anni 45”. Il 2 aprile 1926 il tribunale ne dispone l’internamento definitivo con il numero identificativo 44170.
“Nei primissimi giorni– come risulta dalla perizia formulata dal Professor Ponzo – rifiuta il cibo, non parla. Quando gli si avvicina sobbalza. Scrive una lunga lettera al medico nella quale dimostra una certa coltura di lingue classiche e promette di rimanere tranquillo. Nello scritto è conservato il nesso logico. Ponzo sintetizza il suo giudizio clinico sullo Smemorato di Collegno con questi termini: “ansioso, confuso, amnesico, negativista, molto depresso, emotivo”.
Nei documenti dell’epoca si legge che il paziente 44170 lavora e legge. Sceglie dalla biblioteca del Manicomio le critiche di De Sanctis e i libri di Balzac. Si occupa di giardinaggio, di botanica e non manca di un certo senso pittorico. Nel Manicomio, si legge sempre nel giudizio clinico di Coppola, è sottoposto alla pratica della cloroformizzazione per tentare di carpire, nel sonno, qualche indizio o parola per la sua identificazione. Si occupa di lui il dottor Carlo Ferrio.


da Archivio storico della psicologia italiana Fondo Archivio Alfredo Coppola
Chi sono io?
“A volte quando leggo un libro, — dichiara lo Smemorato di Collegno in un intervista a La Stampa pubblicata il 06 febbraio 1927 — provo l’impressione che quanto vi è scritto io lo abbia appreso già in precedenza. Se esamino un album di fotografie di paesi e città, mi sembra che quelle immagini non siano nuove al mio occhio. Ma le ho già proprio viste, io? Vi sono stato? Ecco quanto non posso controllare. Sono in buona salute, ho energie e volontà di lavorare. Fuori di qui potrei certamente vivere indipendentemente di qualche occupazione, ma un uomo non si può presentare a chiedere un impiego senza un nome.
Chi sono io? Ecco la domanda che da tanti mesi inutilmente mi rivolgo. Immaginano quale dramma sta chiuso in questa domanda ? Il pensiero che si pubblicherà il mio caso mi rattrista; tutti sapranno che io sono al manicomio e guarderanno con curiosità, sia pur pietosa, ma sempre con curiosità, la mia fotografia. Eppure questa umiliazione lo l’ho sollecitata poiché il desiderio di poter ritrovare una famiglia ,l’avrò bene anche io una famiglia ? E’ più forte di tutto. Qui dentro mi chiamano « Carlin ». Ho accettato questo nome dal momento che non conosco il mio, per poter rispondere ad una chiamata, per non essere, almeno qui, assolutamente diverso dagli altri“.


Lo Smemorato è Giulio Canella!
Passa quasi un anno e, nel febbraio del 1927, per cercare quindi di dare un nome allo Smemorato, la direzione del Manicomio di Collegno consegna alla stampa un annuncio e una foto. Quattro persone lo riconoscono come il professor Giulio Canella di Verona. Sono il dottor Cantalupi, maggiore della Scuola di Guerra di Torino che dichiara di aver fatto con Canella il corso da ufficiale, il professor Meneghetti, già direttore del Manicomio di Cremona, il dottor Ugo Guarienti, ed il conte Francesco Debesi presidente della giunta diocesana di Verona. Tutti avevano avuto rapporti di amicizia o collaborazione con lo scomparso.


La moglie viene immediatamente chiamata per dare o meno un nome definitivo allo Smemorato di Collegno. Dalle cronache dell’epoca si legge che Giulia Canella esprime il desiderio di poter osservare l’uomo non vista per studiarne i lineamenti, le mosse, la voce. Collocata dietro un paravento da cui può vedere, attraverso apposite fessure, tutto quanto avviene nella sala, guarda ansiosamente lo Smemorato di Collegno. A ruota in un drammatico incontro vis à vis sotto il portico del giardino del Manicomio Giulia riconosce, senza ombra di dubbio che lo Smemorato è suo marito Giulio Canella.
Lo Smemorato, dopo altre constatazioni, e un regolare verbale di riconoscimento è dimesso ed affidato alla signora Canella che lo accompagna in convalescenza in una villa sul Garda.


.da Archivio storico della psicologia italiana Fondo Archivio Alfredo Coppola
Giulio Canella
Ma chi è il noto professore Giulio Canella? Di lui si sa che è un filosofo italiano, nato a Padova nel 1882. Laurea in filosofia nel 1904 con la tesi su Il nominalismo e Guglielmo d’Occam, fonda nel 1909 la Rivista di filosofia neo-scolastica. Nel 1907 consegue una seconda laurea con la tesi Appunti da servire ad una monografia sull’opera di R. Bonghi.
Nel 1913 sposa la giovanissima cugina Giulia Canella. Richiamato alle armi l’8 maggio 1915, è esonerato dal servizio militare perché direttore della Scuola normale. Nel maggio 1916 riceve una nuova chiamata e venne mandato in Macedonia con la brigata Ivrea. Scompare a Monastir, durante un combattimento, il 25 novembre 1916.


No! Lo Smemorato è Mario Bruneri!
Tutto sembra scorrere felicemente, ma, pochi giorni dopo la dimissione arriva a Renzo Canella, una lettera anonima, in cui si dichiara che il fratello Giulio da lui riconosciuto non è suo fratello, ma un intrigante di bassa lega :il tipografo torinese Mario Bruneri che risulta scomparso da sette anni dopo due tentati suicidi. Ad affermarlo davanti alle autorità la moglie, le sorelle, il fratello e il figlio del Bruneri. Nei fascicoli della polizia il Bruneri risulta anche ricercato per losche faccende. I dati segnaletici e le impronte digitali non mentono: indice, medio e anulare della mano destra, danno riscontro positivo.
Lo Smemorato di Collegno è dunque prelevato in fretta e furia dalla villa sul Garda e identificato come Mario Bruneri, nato a Torino il 18 giugno 1886, professione di tipografo. Sposato e poi separato con Rosa Negro e padre di Giuseppe. Chiamato alle armi nel 1915 e congedato nel 1918. Incarcerato tre volte per truffe e false personalità. Bruneri infatti dimostrata una spiccata tendenza al “trasformismo” assumendo via via i nomi di Ettore Micozzi, Enrico Mantaut, Raffaele Lapegna e Adolfo alias Ziolfo Mighetti.


Il Comunicato della Questura: è stato identificato
L’11 marzo 1927, nove giorni esatti dopo la dimissione dello smemorato di Collegno ecco uscire il comunicato stampa della Polizia di Torino. “Indagini eseguite sotto la personale direzione del questore di Torino comm. Chiaravalloti e dei commissari dott. Palma e Finucci hanno rivelato trattarsi di un emerito simulatore identificato nel pregiudicato Mario Bruneri, tipografo, da Torino, ricercato per condanne subite per truffa e ancora da scontare.
L’identificazione riposa, oltreché su inconfutabili dati scientifici, quale il confronto dei rilievi dattiloscopici eseguiti direttamente dalla Scuola superiore di polizia, anche da confronti di segni caratteristici, nonché da ricognizione di congiunti e conoscenti. Della vicenda si occupa attualmente l’autorità giudiziaria, cui l’affare Bruneri è stato rimesso”. Tra i segni caratteristici compare un accurato esame delle orecchie dello Smemorato di Collegno e di quelle dell’autentico prof. Giulio Canella, che come risulta dalle fotografie qui sotto, riscontrano diversità palesi ed evidenti.


e un ritratto di profilo del figlio di Giulio Canella, Giuseppino, 1927 da Archivio storico della Psicologia Italiana Fondo Archivio Alfredo Coppola
I due processi per arrivare all’identificazione dello Smemorato di Collegno
Insomma per evitare ulteriori questioni lo Smemorato torna al manicomio di Collegno, per poi essere affidato, in attesa di giudizio, a Giulia Canella. Il tribunale civile di Torino con sentenza del 5 novembre 1928 stabilisce l’identità dello sconosciuto in Mario Bruneri. Il 7 agosto 1929 la Corte d’appello di Torino conferma la sentenza. Il 24 marzo 1930 la Corte di cassazione annulla la sentenza della corte d’appello per un vizio formale, e cioè per non aver ammesso le prove contrarie richieste dal ricorrente, senza motivare se tale non ammissione fosse per inconcludenza o inutilità.
Il procuratore Longhi, la tesi Canella suscita simpatia
A questo punto la “patata bollente” passa alla Corte d’appello di Firenze. Il Procuratore Generale Silvio Longhi, nella sua arringa (Giur. It., 1932, I, 1, 89-102) così esordisce. “La Corte è in presenza di una causa di eccezionale carattere. Guardano ad essa non solamente coloro che vi sono direttamente interessati ma tutto un mondo di persone (…). La maggior parte di questo pubblico, ignaro dei misteri eleusini dei nostri processi, crede che la Corte sia chiamata a dire, con riesame a fondo, se lo sconosciuto “è o non è quel desso” (…). Molte opinioni sono errate perché si ignorano gli elementi del giudizio, o perché gli elementi noti sono mal noti.”
“Molti credono, perché si crede facilmente a ciò che si desidera. Bisogna riconoscere che la tesi Canella anche attraverso la diffidenza, suscita viva simpatia. Io stesso avrei desiderato di poter concludere per questa, se il raziocinio me l’avesse consentito. Ma non posso”.


Firmo Bruneri ma ricordatevi che sono Canella
La Corte si divide esattamente a metà: sette per la cassazione, sette per il rigetto, con il Presidente D’Amelio che alla fine fa pendere la bilancia per il rigetto definitivo. Il 1º maggio 1931 arriva quindi la conferma della sentenza di primo grado. Il 5 giugno 1931 lo Smemorato di Collegno, ormai identificato inequivocabilmente come il tipografo Mario Bruneri, è condannato con un cumulo di reati pregressi a tre anni, undici mesi e diciassette giorni dl reclusione e trasferito al carcere di Pallanza. Viene rilasciato, grazie ad un’amnistia il 1 maggio 1933, uscendo dal carcere dichiara: “Firmo col nome di Bruneri ma ricordatevi bene che sono Canella“.


Alla ricerca di me stesso Giulio Canella si autodifende in tre volumi
Lo Smemorato di Collegno, con un tempismo impressionante, fa uscire nel 1930, a cavallo della prima sentenza di Cassazione, che lo riabilita come Giulio Canella, il primo dei tre volumi del Libro Illustrato Alla ricerca di me stesso – Autodifesa – Volume I del Prof. Giulio Canella. 310 pagine edito dalla Scuola Tipografica CASA BUONI FANCIULLI.


Anche Pirandello si appassiona alla vicenda e porta in scena Come Tu mi Vuoi
Ad essere affascinato dal dramma dello Smemorato di Collegno e dal professore scomparso in guerra, è Pirandello che trova nella vicenda Bruneri – Canella la sua storia più pirandelliana e, se vogliamo, una riedizione più intrigante e da feuilleton del suo romanzo Il Fu Mattia Pascal . La prima di Come tu mi vuoi si tiene a a Milano, il 18 febbraio del 1930, ancora in piena vicenda giudiziaria a cavallo tra i processi di Appello e Cassazione.


La fuga in Brasile e la continua difesa
Mario Bruneri e Giulia Canella, nel frattempo, dopo la sentenza cercano la fuga lontano dai riflettori. Lasciano l’Italia il 19 ottobre sul transatlantico Conte Biancamano insieme ai cinque figli, Peppino e Rita, nati prima della scomparsa, e gli altri tre nati successivamente all’uscita dal Manicomio.
In Brasile vanno ad abitare presso il padre di Giulia, il commendator Francesco Canella, presidente della Compagnia brasiliana del carburo di calcio, della compagnia di forza e luce di Palmyra e sposato in seconde nozze la figlia del Presidente della Repubblica del Cile. Lì Mario Bruneri continua la sua strenua difesa del nome Canella. Si fa iscrivere all’anagrafe come Giulio Canella e invia ai quotidiani brasiliani scritti e atti a comprova che lui, lo Smemorato di Collegno, è Giulio Canella.
L’ex Smemorato cerca e trova nuove persone che lo riconoscono per tale, richiama l’attenzione del pubblico sullo straordinario caso, e spedisce tutto il materiale della stampa brasiliana in Italia. Muore a Rio de Janeiro l’11 dicembre 1941, ed è sepolto con il nome di Giulio Canella. Giulia Canella muore a Rio de Janeiro il 24 luglio all’età di 85 anni.


Le lettere svelate postume dello Smemorato di Collegno alla mamma
La vicenda, con la morte dei due protagonisti sembra aver fine. Invece, nel 1960, Felice Bruneri, fratello di Mario, consegna all’ editore Mondadori cinque lettere. Una corrispondenza in cui lo Smemorato chiede alla mamma perdono e anche di non tradirlo nell’identità per le numerose condanne che pendono a suo carico. Le lettere sono pubblicate dal settimanale Epoca integralmente. Questo il testo della prima lettera, spedita dal manicomio alla madre in data 7 aprile 1926.
“Mamma carissima, approfitto della signora che ha suo figlio qui con me, per farvi avere mie notizie. Sarete in pena, non sapendo cosa ne sia di me, e purtroppo fatti tristi e dolorosi mi sono successi, tanto che non so come andrà a finire. Io da oltre un mese sono rinchiuso a Collegno, dove vi figuro come sconosciuto. Ora sarei a pregarvi di muovervi subito, dì trovare un modo qualsiasi per farmi uscire di qui dentro, consigliandovi con qualche persona di vostra fiducia . Ma con ogni prudenza, per non compromettermi. Intanto fatemi avere con lo stesso mezzo una risposta, datemi notizie di Felice e di mio figlio Giuseppino. Tu mamma adorata devi perdonarmi perché morivo di fame. Raccomando ancora ogni prudenza ed appena libero tornerò tra le vostre braccia per non lasciarvi mal più »
Nell’ultima indirizzata dal manicomio alla famiglia Bruneri, lo Smemorato di Collegno afferma di conoscere perfettamente la propria identità di Mario Bruneri, dice che se non potrà avere auto dai familiari cercherà di sbrigarsela da sé pur di tornare libero.


Anche Giulia Canella forse sapeva
Tra le cinque lettere consegnate a Mondadori da Felice Bruneri ne figura anche una di Giulia Canella indirizzata, nel 1929, in pieno processo, alla famiglia Bruneri.: «Torno con questa mia a ripetervi la proposta già fattavi: sarei disposta a versarvi quella tal cifra per una sola semplice cosa: non dovete riconoscere il vostro congiunto. In fondo egli è felice così ». L’invio della lettera è sempre stato smentito da Giulia Canella.


La scrittura è di Canella, indotto a credersi Bruneri
Di fronte a questa evidente prova calligrafica i sostenitori di Canella affermano che le lettere furono scritte dal filosofo Canella chiuso in manicomio, ma indotto con inganno a credersi il pregiudicato Mario Bruneri. Infatti il colonnello Giuseppe Parisi, tenente presso l’Accademia militare di Torino e presidente del comitato nazionale per la revisione del processo Bruneri- Canella così dichiara ai giornalisti dell’epoca.
“Se occorreva una ‘ conferma a quella che per noi è l’indiscutibile verità di questa drammatica vicenda possiamo dire di averla raggiunta. La calligrafia di queste lettere rese note dopo tanti anni di silenzio è quella di Giulio Canella. Abbiamo la possibilità di provarlo attraverso le testimonianze della corrispondenza che Canella tenne prima dì essere disperso in guerra con i famigliari e con gli amici. In questo senso faremo un esposto alla magistratura per chiedere almeno una perizia calligrafica, dopo la quale siamo certi che dovrà essere concessa la revisione del processo ».


2 prove di DNA nel 2014 Chi l’ha visto mette un punto alla vicenda
Dopo circa 80 anni a mettere un punto forse definitivo al tutto la trasmissione RAI Chi l’ha visto?. Due test di Dna, il primo con risultato dubbio, del 2011 affidato ai RIS su francobolli di lettere, e un secondo del 2014 su discendenti di Canella e Bruneri, non confermano che il DNA risponda a Canella.
“Non è il risultato che mi aspettavo, ma questa è una prova come altre, ce ne sono tante a favore e tante contro, per noi non cambia niente“, commenterà Julio Canella, nipote certo del professore in quanto figlio di un figlio di Canella nato prima della guerra.
Ad oggi, dopo quasi cento anni dal primo internamento, la disputa da bruneriani e canelliani è ancora aperta. Nonostante tutto.
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