L’origano, ovvero quel gran selvatico di Martino

L’origano, che non è secondo a nessuno

L’origano sconta la colpa di essere troppo simile alla maggiorana. Per questo è stato spesso considerato una varietà selvatica, di minor valore. D’altronde, le due piante non solo appartengono alla stessa famiglia botanica, quelle della Labiate, ma sono due specie dello stesso genere. E qui l’origano si riscatta, perché è suo il nome di tale genere, mentre la maggiorana rappresenta soltanto un aggettivo. Furono infatti classificati da Linneo rispettivamente come Origanum vulgare L. e come Origanum majorana L. Dell’origano vi parliamo questa settimana, cercando di riabilitarlo del tutto ai vostri occhi, e dedicheremo alla maggiorana il prossimo articolo.

cucchiaio bianco su fondo nero pieno di origano secco

Una breve descrizione botanica

Si tratta di una pianta perenne aromatica e semiarbustiva, che attecchisce bene nel sottobosco, nelle radure e nei terreni incolti, sia in Europa sia in Asia. Il fusto è eretto, alto sino a 80 centimetri circa, e ci appare spesso screziato di rosso. Anche le foglie opposte e picciolate hanno le nervature rossastre e sono punteggiate di ghiandole. La loro forma è ovata, dal margine intero. I fiori, che sbocciano tra luglio e settembre, sono riuniti in glomeruli o, meglio, secondo il linguaggio tecnico, in infiorescenze collettive apicali a corimbo composto. La corolla rosa pallido è a due labbra, tipica delle Labiate: quello superiore ha due lobi, mentre quello inferiore tre. Il frutto contiene 4 semi, che sono piccoli acheni bruni, lucidi e lisci. Per riconoscerlo in natura consigliamo sempre di affidarsi alle chiavi botaniche e non a semplici fotografie.

foglie e fiori in primo piano rosa pallido

Attraverso la storia antica

Il suo nome deriva dal greco origanos, che significa “splendore dei monti”. Secondo gli antichi greci, era una pianta sacra alla dea dell’amore Afrodite, che la usava per combinare matrimoni. Per questo gli sposi, a quell’epoca, venivano incoronati con serti d’origano. La tradizione viene ripresa nei versi di Virgilio. Nell’Eneide, infatti, leggiamo  che Venere, versione latina di Afrodite, stese Ascanio, figlio di Enea, su un letto di origano, affinché si rimarginassero le sue ferite. 

Diversa era l’opinione degli egizi, secondo cui l’origano era simbolo di distruzione e di rovina. A questo proposito, era spesso rappresentato vicino alle formiche, perché si era notato che posto accanto a un formicaio, le piccole inquiline lo abbandonavano. Così, c’era l’abitudine di mescolarne rametti essiccati ai cereali che si conservavano nei magazzini, per allontanare le formiche.

Come specie medicinale, Plinio ne vantava le virtù diuretiche ed emollienti per l’intestino e quale rimedio contro mal di gola, di denti e d’orecchie e foruncoli vari. Columella lo consigliava per guarire la scabbia e curare la stitichezza dei cavalli. Dioscoride ne sosteneva l’efficacia contro la malinconia, la tosse, l’idropisia, la rogna, i dolori d’orecchie e i morsi di animali velenosi.

rametto con fondo di prato

L’origano nel Medioevo

In epoca medioevale, l’origano era noto come rimedio contro la tosse e per i disturbi di stomaco. Nell’XI secolo, lo studiarono tanto santa Ildegarda di Bingen quanto Odone di Meung. Ildegarda lo consigliava per lenire il catarro di petto, pur avvertendo che un uso eccessivo potesse nuocere a fegato, pelle e polmoni.

Nel De viribus herbarum, Odone di Meung, invece, ne fu un più entusiasta sostenitore. Scrisse: “Sorbirne il succo fa bene a tutti gli organi interni”. Mescolato con vino o idromele, ne caldeggiava l’uso come diuretico, espettorante, emmenagogo, vermifugo e digestivo. E riprendeva l’impiego antico per lenire il mal di denti e i morsi degli animali. In applicazione esterna, ne sosteneva la validità in caso di sciatalgia e contusioni.

origano in piena firitura

Máirtín fiáin, in lingua irlandese

L’origano in Irlanda è un’erba autoctona, più frequente nella contea di Clare e, in particolare, nel cosiddetto, pietroso Burren. Come spesso è accaduto con altre erbe, gli irlandesi del tempo che fu le diedero un nome di persona. In lingua gaelica è, infatti, Máirtín fiáin, che significa… Martino selvatico!

Uno degli usi più arcaici riguarda la tintura della lana, cui il decotto di origano conferiva un sfumatura bruno-rossiccia. Pure la birra irlandese prendeva un bel colore rosso se aromatizzata con i suoi rametti, che ne favorivano una più lunga conservazione. Le sue foglioline, mescolate al tè, gli conferivano lo stesso colore, creando una bevanda chiamata tae dearg, che significa appunto “tè rosso”. Dai suoi fiori, le api ricavavano un miele aromatico e pregiato. In alcune contee, infine, quando una persona soffriva di mal di denti, fumava un sigaro preparato con origano essiccato e pare che tutto passasse. 

piccole foglie in orizzontale in primo piano

Linguaggio dei fiori e simbologia

Nel linguaggio dei fiori, l’origano rappresenta il conforto, la consolazione. Per questo, viene regalato volentieri a chi è depresso o ha patito dispiaceri e delusioni. È anche il simbolo della Medicina, intesa come branca scientifica. Secondo la tradizione e gli antichi bestiari, quando le cicogne non stanno bene, mangiano origano. E sempre per questo motivo, la cicogna è spesso raffigurata insieme con un suo rametto.

fiori lilla su fondo dorato estivo

Principi attivi e impiego fitoterapico

Vi anticipiamo subito che l’origano, di cui si utilizzano le sommità fiorite, è un meraviglioso antisettico, molto simile per composizione chimica al timo. Tra i principi attivi, troviamo l’ottimo olio essenziale con carvacrolo, timolo, cariofillene e terpinene. Ci sono inoltre tannini e sostanze amare. L’infuso si beve al posto del tè, quale semplice bevanda alimentare, o del caffè, dato che è anche digestivo. Si prepara ponendo due cucchiai rasi di droga in mezzo litro d’acqua. Si porta a bollore, si spegne e si lascia riposare sotto coperchio per una decina di minuti. Si filtra e si dolcifica a piacere.

per chi volesse approfondire la pianta del timo, può cliccare sul titolo qui sotto

Il timo, fiore di miele, fiore d’amore e fiore di morte

Giova in tutti i disturbi delle vie respiratorie, perché decongestiona i bronchi e fluidifica il catarro, nelle forme influenzali e in caso di raffreddore. A fine pasto, aiuta la digestione, limita l’acidità di stomaco, l’aerofagia, essendo pure carminativo, e le fermentazioni intestinali. Il decotto concentrato e non zuccherato si ottiene facendo bollire qualche minuto in più la tisana che vi abbiamo già indicato. Imbevendone garze, è utile come impacco su piaghe ed eczemi. Oppure si usa per disinfettare il cavo orale, facendone gargarismi, o nell’acqua del pediluvio, per defatigare e deodorare i piedi. Facendone suffumigi, calma il dolore causato dalla sinusite.

fiori e foglie

Una spezia prelibata in cucina

L’origano è assai salutare anche nell’impiego culinario. Si sposa bene con i piatti della dieta mediterranea, perché esalta il sapore del pomodoro sulla pizza e nei sughi. Ma rende più amabili anche le acciughe conservate sotto sale e più digeribili le carni insaccate o cotte sulla griglia. È gradevole in zuppe e minestre, sulle patate, sulle uova al tegamino e nei primi piatti a base di riso. Come scrisse Nicolas Lémery nella “Nuova raccolta dei più bei segreti della medicina” (XVIII secolo), è “una delle spezie più sane di cui ci si possa servire”.

origano su fette di pomdori crudi

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Maura Maffei
Maura Maffei
Maura Maffei è da trent’anni autrice di romanzi storici ambientati in Irlanda, con 17 pubblicazioni all’attivo, in Italia e all’estero: è tra i pochi autori italiani a essere tradotti in gaelico d’Irlanda (“An Fealltóir”, Coisceim, Dublino, 1999). Ha vinto numerosi premi a livello nazionale e internazionale, tra i quali ci tiene a ricordare il primo premio assoluto al 56° Concorso Letterario Internazionale San Domenichino – Città di Massa, con il romanzo “La Sinfonia del Vento” (Parallelo45 Edizioni, Piacenza, 2017) e il primo premio Sezione Romanzo Storico al Rotary Bormio Contea2019, con il romanzo “Quel che abisso tace” (Parallelo45 Edizioni, Piacenza, 2019). È a sua volta attualmente membro della Giuria del Premio Letterario “Lorenzo Alessandri”. Il suo romanzo più recente è “Quel che onda divide” (Parallelo45 Edizioni, Piacenza 2022) che, come il precedente “Quel che abisso tace”, narra ai lettori il dramma degli emigrati italiani nel Regno Unito, dopo la dichiarazione di Mussolini alla Gran Bretagna, e in particolare l’affondamento dell’Arandora Star, avvenuto il 2 luglio 1940, al largo delle coste irlandesi. In questa tragedia morirono da innocenti 446 nostri connazionali internati civili che, purtroppo, a distanza di più di ottant’anni, non sono ancora menzionati sui libri di storia. Ha frequentato il corso di Erboristeria presso la Facoltà di Farmacia di Urbino, conseguendo la massima votazione e la lode. È anche soprano lirico, con un diploma di compimento in Conservatorio. Ama dipingere, ha una vasta collezione di giochi di società e un’altrettanto vasta cineteca. È appassionata di vecchi film di Hollywood, quelli che si giravano tra gli Anni Trenta e gli Anni Sessanta del secolo scorso. Tra i registi di allora, adora Hawks, Leisen e Capra. Mette sempre la famiglia al primo posto, moglie di Paolo dal 1994 e madre di Maria Eloisa.