“Mille e uno Zero”, le novelle di un cantastorie di quartiere

“Mille e uno Zero”

Finalmente l’ho completata. Infilo “XXXL” nella box e chiudo il coperchio. Mi allontano e orgogliosa e commossa guardo il mio cofanetto con la scritta “Mille e uno Zero”, un mosaico di trentatre tessere che ho cominciato a collezionare poco dopo Natale, precisamente il 28 dicembre. Un appuntamento settimanale con l’edicola e con il cuore.

Ora la mia macchina del tempo è completa. Posso prendere il primo disco e cominciare a viaggiare nei meandri della mia anima, tra i vicoli dei miei anni, per salire su, fino agli angoli più reconditi del cuore.

Non ho voluto ascoltare neanche un cd. Ho voluto attendere fino ad oggi per avere un biglietto di prima classe e di sola andata per Zerolandia.

Sorcina da sempre, il tatuaggio che porto sul polso è un segno distinto di appartenenza, il mio “qrcode” per distinguermi dal resto del mondo.

Tre, due, uno…Zero

Z,E,R,O, una successione di lettere che rappresentano la struttura primaria di una molecola di DNA particolare, un’anomalia nella genetica umana, che genera una razza a parte, una razza di sorcini che nascono malgrado loro, con una marcia in più.

Siamo gli Zeri del mondo.

Psicologicamente labili, fuori dagli schemi, i sorcini sono ovunque. Strafottenti, disperati, ma con un coraggio da Braveheart, anche perché, non si sa bene per quale motivo, la vita ci prende di mira e le prove da sostenere sono degne di un reality show di sopravvivenza.

Siamo sorcini, è il nostro destino. Storie diverse, infinitamente lontane, con un fattore comune: Il coraggio delle idee.

Le origini di una Sorcina

Ricordo il mio primo incontro con Renato: era febbraio, faceva freddo.

Avevo nove anni, avevo il morbillo e piangevo al punto che il vicino di casa venne a vedere cosa stesse succedendo. Per dare un po’ di sollievo a mia madre, mi prese e mi portò a casa sua, mi sedette sul divano di pelle nera, davanti ad un superminkiapower di stereo quadrifonico (stiamo parlando del 1976 e non esistevano ancora neanche i walkman), mise su un LP e il volume al massimo. La puntina si appoggiò sul vinile e dai microsolchi gracchianti sentii queste parole:

“Vedi di farti largo, fra le cose sepolte o abbandonate…Di una solitudine nera… Se non vuoi che sia, il caos!”

Non ho più sentito dolore, ho smesso di piangere e per la prima volta ho sentito la musica entrarmi nelle vene, scorrermi dentro e arrivare al cuore e alla mente.

Il brano finì sfumando, un attimo di buio e poi un battito di cuore…

”Per attimi rimango sospeso nel vuoto, giuro qualche volta mi sento perduto, io mi fido solo del mio strano istinto, non mi ha mai tradito, non mi sento vinto, volo sul trapezio rischiando ogni giorno, eroe per un minuto e poi…bestia ritorno…poi ancora sul trapezio ad inventare un amore magari…è solo invenzione, per non lasciarsi morire…”

E’ li che ho capito cosa avrei fatto da grande, o meglio, chi sarei stata da grande: un mercante di stelle. “Mille e uno Zero”.

La psicologia la chiamerebbe “sindrome di stendhal”, quando si resta talmente colpiti dalla bellezza di un’opera, così tanto da cadere in uno stato effettivo di estasi.

Giuro, non mi drogavo e neanche il mio vicino di casa.

Quelle parole sono state e sono ancora oggi la mia carta di identità.

Dalla collezione "Mille e uno Zero" l'album "Trapezio"
“Mille e uno Zero” – Trapezio

Analisi di un fenomeno chiamato Zerofollia

L’essere umano ha bisogno di riferimenti. Ha bisogno di leader. Ha bisogno di ritrovarsi in un archeotipo che lo rappresenti. Renato Zero ha rappresentato e rappresenta tutt’ora la libertà, malgrado il peso della responsabilità che rappresenta questa parola. E’ l’elemento fuori dal coro di una società fatta di modelli standard, di produzioni in serie di banalità. La voce di chi non è nessuno, di chi vive nella quotidianità degli “ultimi in fondo alla lista, siamo noi gli zeri del mondo, siamo noi che chiudiamo il cerchio di un destino fin troppo scontato che ti stampa indelebile, un marchio”.

E’ la voce del cuore, quella che non può stare zitta e che ti dice anche quello che non vuoi sentire. Renato Zero, malgrado gli inevitabili fanatismi intorno a lui, è stato e resta un’icona vera, sincera, mai banale, mai scontata, di quello che vorremmo essere: liberi, laddove essere libero significa avere il coraggio di essere noi stessi, con le nostre emozioni, uniti in un amore universale. E’ un’utopia, una follia. Una Zerofollia.

Io c’ero

Noi che c’eravamo negli anni ’70, con i suoi colori, la sua trasgressione, le lotte operaie, i rossi e i neri, gli anni di piombo…Noi la rivoluzione l’abbiamo fatta davvero, a modo nostro, ma l’abbiamo fatta, con le note, i colori, i canti e le compagnie…Abbiamo vissuto il tendone e vi giuro che è un’esperienza musicale e umana senza uguali. Uscivamo di la con un paio di ali e non ce ne poteva fregar di meno del giudizio dei perbenisti e dei colletti bianchi, noi eravamo immortali e potevamo volare.

Siamo la “resistenza” di questi anni, quelli che non vivono in questo “matrix” di illusioni mediatiche.

Siamo cresciuti senza pregiudizio, con il sacro rispetto della vita, della coscienza umana, attenti davvero al dolore degli altri, all’amore degli altri.

Come può un uomo solo, uno Zero qualunque, con sette note in tasca, essere il pifferaio magico di intere generazioni?

Eppure queste trentatre tessere dimostrano che lui è “Mille e uno Zero”.

Nella foto un vinile azzurro disegnato a mano riporta il viso di Renato Zero e una scritta tratta dal brano "il cielo"

33

Come gli anni di Cristo, come i 33 giri di un vecchio vinile. 33, un numero che, se capovolgi specularmente, diventa il simbolo dell’infinito.

Sono passati ben 44 anni da quel giorno di febbraio ma tutto quello che era, che è, che rappresentava e che rappresenta è intatto, integro in trentatre volumetti.

“Mille e uno Zero” è un’opera che si trasforma davvero in un dispositivo temporale che mi impone un percorso a ritroso che tanto assomiglia al divano di uno psicologo, dove sei obbligato a confrontare l’io con l’es, il fondamento della persona psichica, il serbatoio dell’energia vitale. Perché Renato è l’es di ognuno di noi, colui che ti sfida e ti obbliga a confrontarti con le tue paure, i tuoi desideri, i tuoi principi.

La sua voce, una timbrica unica e inimitabile.

E qui apro una parentesi: odio i vari tributi di quegli pseudo imitatori che con la parrucca in testa e gli occhiali neri girano per l’Italia saltellando come giullari, goffe scimmie irriverenti di un artista senza uguali.

L’unico tributo che rispetto e riconosco è quello di Nicola Oliveri, a cui Dio ha donato una vocalità molto simile a quella di Renato e che si esibisce senza fronzoli, con un’umiltà infinita, interpretando brani in modo che definirei ossequioso. Bravo Nicola. Tutti gli altri possono tornare a lavorare. Chiusa parentesi.

Dalla A…di Amore…

Tornando a Renato e all’opera “Mille e uno Zero”, subito non ho capito il perché non rispettare un ordine cronologico della carriera discografica.

Poi, riflettendoci bene, tutto ha un senso…Questa collezione non poteva che cominciare con “Amore dopo Amore”, perché questo è il percorso dell’essere umano. Un’avventura continua, quella di amare, malgrado il mondo, malgrado il progresso, malgrado la tecnologia, malgrado la miseria, malgrado noi.

Renato parla di gabbie ed è immediato il parallelelismo con la mostra #ritornoazero al Testaccio.

Una sezione fotografica bellissima, sconvolgente, intitolata “gabbie”. Prigioni invisibili del cuore e della mente, abilmente costruite dagli stereotipi del sistema, un “Grande Fratello” orwelliano che ci induce a vivere fisicamente e psicologicamente in qualche metro quadrato, fatto di pregiudizio e di bigottismo, vittime molto spesso della sudditanza psicologica indotta da abili manipolatori di sentimenti.

Amare è il vero senso della vita, nella più vera accezione del termine.

…alla Z…di Zerovskij

La collezione non poteva che concludersi con “Zerovskij, solo per amore”. L’apoteosi della maturità di un artista completo, infinitamente immenso nella sua creatività e nel suo estro.

Criticato da molti, ma visto da tutti, “Zerovskij” è stato la consacrazione di cinquant’anni di vita dedicati al suo pubblico, alla musica e all’arte.

Un’attestazione di amore, dove il nostro capostazione è l’angelo guardiano di una stazione che è la tappa tra qui e l’eternità. I quattro elementi, Amore, Odio, Tempo e Morte convivono e si confrontano, Amore dopo Amore.

Non potevano mancare i bis, in versione XL,XXL e XXXL. Tre antologie di brani “fuori corso”, “fuori classe”, “fuori album”. “Mille e uno Zero”.

Appena in tempo

Di tutti,“Appena in tempo” è il mio preferito in assoluto.

L’intro mi porta al ricordo della grande Giulietta Masina, nel film “la strada”di Fellini, dove Gelsomina suona la tromba per Zampano’. Una melodia struggente, che ha qualcosa che punge gli occhi e ti strizza il cuore.

E’ il brano che corolla la mia esistenza. Non lo posso ascoltare senza entrare in uno stato di infinita compassione per tutto ciò che ho vissuto. Punto dopo punto, è un “abito” confezionato addosso alle mie forme…come si fa a riuscire a raccontare una vita intera in sei minuti…una magìa che riesce solo lui.

“Appena in Tempo” – “Mille e uno Zero”

“Mille e uno Zero”, un audiolibro

“Mille e uno Zero” è un viaggio raccontato, un audio libro. Gli inserti sono ricordi in libertà, riportati con aneddoti e testimonianze, ricchi di fotografie che sono frame di una vita narrata anche attraverso i costumi, il trucco e parrucco.

Un’altra forma di espressione che ha distinto l’estro e la straordinaria capacità di comunicazione di questo “menestrello” di quartiere che ne ha fatta di strada da quella periferia romana.

Brani che sono diventati immortali, bandiera di un’Italia che nonostante i suoi tentativi di esterofilia, resta una terra saldamente radicata alle sue origini, fatte “di coraggio, di passione, di gelosia”. Dalla Sicilia fino al Piemonte.

Criticato, discusso, deriso, ma alla fine tutti si inchinano al Re.

Del resto, è lui che ha scritto l’inno dell’amicizia e la preghiera più bella rivolta al Cielo.

Io uguale Io

Essere giornalisti è narrare, è riportare i fatti, a volte commentare, esporsi, ma senza mai entrare troppo nel personale. Non me ne voglia la deontologia, ma in questa occasione, proprio non posso esimermi dal narrarmi, commentarmi, espormi, perchè sono cresciuta con un schema mentale deviato e continuo ancora a gridare in coro con altre migliaia di persone “ma che uomo sei… Se non riprendi un barattolo di vernice insieme a me e ricominciamo a dipingere questo mondo grigio questo mondo così stanco, dell’amore che vuoi, dell’amicizia che rincorri da sempre. Dipingiamolo di noi, di noi zerofolli, di noi zeromatti, a noi che basta un sorriso, una stretta di mano,e a me che basta semplicemente dirvi… Vi amo!

Ed è davvero liberatorio.

Mentre aspetto che ritorni….

E così, mi metto in coda e aspetto l’uscita dell’album e l’arrivo del “tendone” in città, immaginando come sarà questa volta, cosa mi sorprenderà ancora, preparandomi psicologicamente ad affrontare un altro esame della coscienza. E immagino lui, davanti allo specchio, mentre tra un pennello e una matita, si ritocca il viso segnato dal tempo e dalla vita, mentre gli arriva l’eco del palasport che all’unisono lo chiama tre…due…uno…Zero… mentre fuori e dentro di me, ormai si sta facendo notte.

“Eccomi ancora qui, impaziente come sempre pronto per un altro confronto, devo superare ancora un’altra prova, ancora un esame un ennesimo tentativo di riconoscermi, di ritrovarmi per ricomporre attraverso lo spazio di una canzone un nuovo identikit. In questi interminabili momenti che mi separano da te, ritorna l’incertezza e la paura. Mi trovo solo a misurarmi con me stesso per cercare di riuscire a surclassarmi, per meritarmi ancora un altro applauso. E’ tutto pronto l’orchestra suona e penso a quando sarai qui, a quando riprenderai il tuo posto e mi vedrai spuntare dal buio sulla scena, Sarà ancora con rabbia e con dolcezza sarà per rapirti, per portarti via nella mia solitudine che tu colmerai con i silenzi e con la tua presenza… Intanto sono qui e questa è la mia prova generale… Coraggio! Tocca a me! Buona fortuna Zero!…”

Uno dei tanti volti di "Mille e uno Zero", nella foto Renato Zero è vestito con un kimono rosso con una parrucca tipica cinese ed un copricapo che ricorda la ruota diun pavvone
“Mille e uno Zero”
Tina Rossi
Tina Rossi
(a.k.a. Fulvia Andreatta) Editrice. Una, nessuna e centomila, il suo motto è “è meglio fingersi acrobati, che sentirsi dei nani” Dice di sé:” Per attimi rimango sospeso nel vuoto,giuro qualche volta mi sento perduto, io mi fido solo del mio strano istinto, non mi ha mai tradito, non mi sento vinto, volo sul trapezio rischiando ogni giorno, eroe per un minuto e poi...bestia ritorno...poi ancora sul trapezio ad inventare un amore magari...è solo invenzione, per non lasciarsi morire...”