Hanno ucciso MTV, chi sia stato non si sa…

Questa è una storia che parla di televisione, certo. Ma anche di cultura, di immaginari e di generazioni. È la storia di come la musica, un giorno, ha trovato un volto — e di come, molti anni dopo, quel volto è scomparso dallo schermo.

Quando ho letto che, a dicembre, MTV chiude definitivamente i battenti, ho provato una sensazione difficile da definire che non è solo nostalgia, né semplice dispiacere. È come quando torni in garage e scopri che tuo padre ti ha buttato via quel cartone impolverato di giocattoli dell’infanzia.  

Da tempo non guardavo più MTV, ma c’era. e questo era rassicurante. Ogni tanto mi sintonizzavo perché “non si sa mai che mi trasmettano qualcosa di buono”. E per “buono” intendo quei video che hanno fatto la storia. Già…la storia… perché tutto è nato proprio da lì, anzi da MTV.

Video killed the radio star (The Buggles)

È il primo agosto del 1981, mezzanotte passata da un minuto. Sullo schermo di un’emittente via cavo americana compare una navicella spaziale che decolla, attraversa la galassia e atterra sulla Luna. Poi una voce fuori campo: “Ladies and gentlemen, rock and roll.” È l’inizio di tutto e da quel momento nulla sarà più come prima.

Il canale si chiama MTV – Music Television e il primo videoclip trasmesso è Video Killed the Radio Star dei Buggles, scelta per nulla casuale che sembra più un manifesto che una profezia perché, se i Buggles intendevano dire che la televisione aveva rubato la scena alla radio, per qualcuno il messaggio è suonato in testa come la sirena dei pompieri e ha acceso una visione futuristica di come avrebbe dovuto essere la musica da quel momento in poi.

La radio ha dominato il Novecento, ma la televisione poteva darle un volto, un ritmo, una forma e così MTV non inventa il videoclip, ma lo trasforma in un linguaggio universale, grammatica visiva della musica: la canzone non si ascolta soltanto, si guarda. E chi la guarda fa esperienza totale di suono, immagine, stile, gesti. Un veicolo di comunicazione pazzesco che esporta non solo la musica, ma la moda, le tendenze e i costumi non solo generazionali ma anche culturali.

Money for nothing (Dire Straits)

Per chi vive gli anni Ottanta, MTV è uno schiaffo di modernità. Colori saturi, montaggio rapido, volti che diventano icone globali. È un universo che pulsa. In poco tempo MTV diventa l’Olimpo del pop: Bowie, Madonna, Michael Jackson, Prince, Duran Duran, Spandau Ballet e compagnia cantante. Ogni video è un piccolo film, ogni canzone un’estetica e ogni artista un nuovo idolo.

La sensazione è che qualcosa di enorme stia accadendo. MTV porta la cultura giovanile dentro i salotti di tutto il mondo e la rende visibile, desiderabile, internazionale. Per la prima volta, i ragazzi di New York, Londra o Roma guardano le stesse immagini nello stesso momento. È la nascita di una lingua globale, fatta di suoni e visioni condivise.

Guardandolo oggi, quel momento ha qualcosa di epico: la musica si fa immagine, la televisione diventa specchio di una generazione che vuole guardarsi e farsi guardare, oltre che ascoltare. MTV non è soltanto un canale. È una rivoluzione che nasce davanti a uno schermo e finisce per cambiare il modo in cui tutti — anche noi — iniziamo a vivere la musica

Express yourself (Madonna)

MTV non si limita a trasmettere musica: costruisce miti. Ogni artista che appare sullo schermo diventa immediatamente globale, e la sua immagine conta quanto la sua voce. Madonna emerge come provocatrice, Bowie come camaleonte, Michael Jackson come re universale del pop. La rete non trasmette solo canzoni: racconta storie, stili di vita, identità visive che i giovani di tutto il mondo cominciano a imitare, discutere, desiderare. MTV diventa il palcoscenico planetario in cui la musica incontra la moda, il cinema, l’arte. E’ l’inizio di una evoluzione commerciale discografica gigantesca che piano piano dominerà, stravolgerà e, in qualche modo, distruggerà artisti, musica e ispirazione, ma questa è un’altra storia.

I VJ, i video jockey, sono più che semplici presentatori: sono guide, complici di una generazione che scopre il mondo attraverso lo schermo. La loro voce e il loro modo di muoversi trasformano un semplice videoclip in un evento, un rito quotidiano. L’interazione tra musica e immagine diventa una lingua nuova, e chi cresce con MTV impara a interpretarla, a sentirne i ritmi, a percepirne le sfumature culturali.

In quegli anni, la televisione non è più passiva. MTV insegna a guardare, a partecipare, a consumare la musica in modo attivo. L’energia dei video, la cura dei dettagli estetici, la rapidità dei montaggi creano un effetto ipnotico: ogni canzone diventa un’esperienza totale, ogni clip un piccolo spettacolo da memorizzare. Il videoclip si trasforma in un oggetto di culto, e la generazione che lo segue non vuole soltanto ascoltare, vuole vivere.

La rete dei videoclip costruisce anche una memoria collettiva: ogni artista, ogni ballo, ogni costume diventa un segno di appartenenza. MTV non è più solo musica: è un immaginario condiviso, un vocabolario visivo e sonoro che definisce un’epoca.

Heroes (David Bowie)

Arriva in Italia negli anni Novanta, e per noi MTV ha un sapore diverso, più vicino ma ugualmente magico. Non è solo una finestra sul mondo: diventa la nostra lente sulla cultura globale, il primo contatto con Londra, New York, Berlino, senza muoverci da casa. Il canale porta programmi iconici, linguaggi freschi e ritmi serrati che non si erano mai visti nella televisione italiana tradizionale.

I VJ italiani diventano complici della nostra adolescenza: parlano la nostra lingua, raccontano i nostri stessi desideri, ci guidano attraverso un panorama musicale che comincia a sentirsi globale. MTV Italia ci insegna a conoscere i trend prima che diventino moda, a percepire la musica come evento intrattenimento.

Ma è anche specchio di una generazione che si confronta con l’estero e che, anche da noi, crea le proprie tribù urbane: gruppi di ragazzi che si riconoscono subito, dal modo di vestire, dai simboli, dallo stile. Basta uno sguardo per capire chi ascolta new wave, chi segue il punk, chi vive immerso nel dark: dal taglio di capelli, al colore del giubbotto, passando per gli immancabili accessori che completano il look perfetto, la musica diventa codice, appartenenza, linguaggio. A Torino come a Camden Town o a Manhattan.

Forse la prima forma di globalizzazione culturale prima che il web renda tutto istantaneo e onnipresente.

Everybody wants to rule the world (Tears for Fears)

Ma già alla fine del secolo – fa effetto dirlo, ma è così – qualcosa cambia. La televisione perde terreno. MTV resta lì, ma il suo dominio visivo comincia a vacillare. Internet comincia ad essere il nuovo universo da esplorare e quella navicella che era atterrata sulla Luna vent’anni prima non può competere con il mondo della fibra ottica e del codice binario. Internet è una rivoluzione e ben presto c’è un altro visionario che capisce la potenza del web e come portarlo nelle case di tutti. Arriva sul mercato il personal computer e la storia cambia di nuovo percorso.

Esattamente come vent’anni prima, Internet killed the Video star e nasce una nuova piattaforma, si chiama YouTube e il primo video è girato in uno zoo.

Sembra una ragazzata, ma quel video segna il momento esatto del declino di MTV (e non solo).

Da una visita allo zoo alla prima performance musicale il passo è breve e Youtube ruba il palcoscenico e il primato alla televisione più seguita al mondo.

All’improvviso, la musica diventa on demand: il videoclip non ha più bisogno di un canale televisivo per raggiungere milioni di spettatori, perché ognuno può accedervi in qualsiasi momento, con un clic.

Domino dancing (Pet Shop Boys)

YouTube trasforma spettatori in utenti attivi. Non si guarda più passivamente ma si interagisce direttamente: si cerca, si condivide, si commenta, si creano playlist personali. La televisione, prima depositaria esclusiva dei video musicali, perde centralità. Il videoclip resta potente, ma cambia funzione: non è più evento collettivo, ma un’esperienza privata, istantanea e personalizzata.

Questa rivoluzione non è solo tecnologica, è culturale. La musica, che prima arrivava a tutti nello stesso momento, ora si consuma secondo ritmi individuali. Gli artisti non dipendono più dai VJ o dai programmi televisivi: basta un video ben fatto, una piattaforma accessibile e un pubblico pronto a cliccare sul “play”. MTV ci prova a restare a galla e si fonde con il linguaggio della rete: montaggi, effetti speciali, regia creativa continuano a esistere, ma la forza di Youtube sta nel fatto che offre a chiunque la possibilità di realizzare e pubblicare i propri video senza bisogno di talent scout, di investimenti particolari. in buona sostanza, la democratizzazione dello strumento media è la vera causa dell’invecchiamento di MTV.

Chi la fa, l’aspetti.

YouTube prende il testimone, ma la televisione musicale che ci aveva insegnato a guardare, a riconoscere e a sognare, ha ormai intrapreso la sua parabola discendente.

Don’t you – forget about me – (Simple Minds)

Negli anni Duemila, MTV cambia volto. I videoclip spariscono quasi del tutto dal palinsesto e il canale si riempie di reality show, talent e programmi di intrattenimento che poco hanno a che fare con la mission originale. Per chi l’ha amata, la trasformazione è stridente: il canale che un tempo dettava tendenze, creava miti e educava lo sguardo dei giovani ora sembra seguire mode passeggere e format televisivi già visti altrove. La magìa si dissolve, sostituita da uno spettacolo più immediato e meno memorabile.

È un tramonto lento, progressivo. MTV diventa simbolo di un’era passata: l’immagine è ancora lì, anche se ha cambiato logo più volte, ma la musica non la sostiene più. La rete, i social e le piattaforme di streaming hanno preso il sopravvento, e il canale che un tempo era il cuore pulsante della cultura pop diventa l’ombra di se stesso.

Eppure, anche nel suo declino, MTV conserva un valore simbolico enorme. La chiusura definitiva non è solo la fine di un canale televisivo, è la conclusione di una storia culturale che ha segnato intere generazioni e che nessuno può dimenticare.

Cosa resterà degli anni ’80 (Raf)

Ora che MTV chiude definitivamente, resta un’eredità difficile da quantificare, ma impossibile da ignorare. Non si tratta solo di un canale televisivo spento: è la memoria di un modo nuovo di vivere la musica, di raccontarla, di condividerla. MTV ci ha insegnato che la canzone non basta da sola, che l’immagine può amplificarne l’emozione, che la musica è anche stile, gesto, identità visiva.

Personalmente, guardo indietro con gratitudine. Crescere con MTV significa aver imparato a vedere, non solo a sentire. Significa aver partecipato a una rivoluzione culturale che ha definito generazioni, plasmato stili e creato leggende. La rete ha preso il suo posto, la musica si consuma in modi diversi, ma l’influenza di MTV resta impressa: ogni videoclip, che ci ha colpito continua a vivere nella memoria, nelle nostre vite, nei racconti che facciamo dei “migliori anni della vita”.

E forse, in fondo, questo è il suo lascito più grande: la capacità di ricordarci che la musica, quando ha un volto e una storia, resta per sempre.

Radio Gaga (Queen)

Eppure, c’è una curiosa ironia in tutto questo: alla fine, MTV ha smentito la profezia con cui era nata. Video Killed the Radio Star cantavano i Buggles nel 1979, annunciando una nuova era. Ma non è andata così. La radio non è morta, non è mai davvero invecchiata. Ha resistito a MTV, a YouTube, a Spotify, ai social, alle piattaforme, ai device sempre più intelligenti. È sopravvissuta perché ha qualcosa che nessuna immagine può sostituire: la voce. Una voce che arriva mentre guidi, cucini, lavori, viaggi. Una voce che non ti chiede attenzione, ma presenza.

La radio non ha bisogno di apparire: le basta farsi sentire. È discreta, ma in fondo onnipresente, immortale. Cambia linguaggi, piattaforme, tecnologie, ma resta fedele alla sua natura più semplice e più umana: raccontare, tenere compagnia, dare ritmo al tempo. Forse è proprio per questo che ha vinto su tutti. Perché la musica, prima ancora di essere vista, è fatta per essere ascoltata.

Foto copertina si Tina Rossi Ph, creata integralmente con Canva

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Tina Rossi
Tina Rossi
(a.k.a. Fulvia Andreatta) Editrice. Una, nessuna e centomila, il suo motto è “è meglio fingersi acrobati, che sentirsi dei nani” Dice di sé:” Per attimi rimango sospeso nel vuoto,giuro qualche volta mi sento perduto, io mi fido solo del mio strano istinto, non mi ha mai tradito, non mi sento vinto, volo sul trapezio rischiando ogni giorno, eroe per un minuto e poi...bestia ritorno...poi ancora sul trapezio ad inventare un amore magari...è solo invenzione, per non lasciarsi morire...”
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