Si avvicina il 1° Novembre e con questo la festa di Ognissanti. Un momento di tradizione e di celebrazione della morte in senso positivo. Ogni giorno, infatti, si festeggia almeno un santo, e dal momento che quelli riconosciuti dal Vaticano sono più di 365, la Chiesa ha voluto celebrare in un giorno a loro dedicato tutti i santi indistintamente, per le loro gesta e in molti casi anche per il loro martirio.
Ma la celebrazione della morte non è un fatto esclusivamente cattolico. Addentriamoci, con la psicologa Henni Rissone in un viaggio all’interno del periodo di Ognissanti vissuta come dialogo, ciclo, comunicazione e serenità.
La morte e la vita sotto i piedi
I”n diverse culture i giorni tra il 31 ottobre ed il 2 novembre sono caratterizzati da “riti di passaggio”. Nella nostra tradizione occidentale ci rechiamo in visita ai defunti nei cimiteri, ma perché proprio in questi giorni? Pare che le origini vadano ricercate nella cultura celtica. I giorni tra il 31 ottobre e il 2 novembre sono chiamati Samhain e festeggiati come un Capodanno perché concomitanti con l’ultimo raccolto agricolo, dunque rappresentano la fine di un ciclo e l’inizio di un altro.
In particolare, secondo la cultura celtica, durante questo periodo buio dell’anno la dimensione ciclica del tempo si interrompe impercettibilmente, per poi ripartire. Nello spazio di questa sosta il sottile velo che divide il mondo dei vivi da quello dei morti si assottiglia ulteriormente, e i due regni possono comunicare con maggiore semplicità.
Un dialogo intimo
Nel nostro contemporaneo non è più presente questo“dialogo”: gli Antenati sono solo fotografie sbiadite e il “culto dei morti” ha assunto un tono lugubre e intriso di pìetas che crea quella distanza necessaria per non dialogare con ciò che ci riguarda intimamente. La labile soglia, dunque, che separa il mondo dei vivi da quello dei morti diventa così una solida barriera dalla quale si distoglie lo sguardo perché troppo macabra o spaventosa.
Il concetto della ciclicità e della trasformazione necessaria è ormai lontano. Dovremmo, forse, riappropriarci delle nostre ombre per esserne meno sopraffatti, in questo tempo in particolare affinché la distanza che contrassegna ogni relazione non diventi una ulteriore giustificazione per rifugiarsi nell’individualismo.


La tradizione della festa delle lanterne
Come spesso mi accade, volgendo lo sguardo a Oriente, incontro un altro modo (un altro mondo) di fare e, su questo tema, trovo di grande insegnamento una ricorrenza giapponese. In Giappone tra il 13 e il 16 agosto si svolge la cosiddetta Festa delle Lanterne (Obon お盆). Le lanterne illuminate, che vengono preparate secondo un certo rituale, hanno il compito di essere dei fuochi di benvenuto per rendere visibile la strada ai defunti e condurli verso la casa terrena in cui abitano i loro cari.
Gli spiriti sono accolti con cibo e bevande in un clima di grande gioia; dopo i festeggiamenti, della durata di tre giorni, le lanterne vengono nuovamente accese come fuochi di commiato, per facilitare agli spiriti il ritorno all’aldilà. La cultura giapponese ha un rapporto più immediato con il mondo dei morti e, in certi contesti, più sereno. Riporto una frase esemplificativa:
“Noi giapponesi, avendo i nostri antenati sepolti sotto terra, calpestiamo il suolo con attenzione e rispetto. Per noi, DIO è sotto i nostri piedi”. Akiko Motofuji (in Il corpo eretico di M. P. D’Orazi, Casa dei Libri Editore, 2008)
La danza Butō
Da diversi anni mi interesso di Butō, un tipo di danza nata in Giappone nel secondo dopoguerra e, insieme alle tecniche di danzaterapia che ho studiato, la inserisco in alcuni laboratori con effetti interessanti. Uno dei fondatori di questo tipo di danza, Tatsumi Hijikata, considerava il raggiungimento del “corpo neutro” come adatto a mettere a fuoco la dialettica dei contrasti più eclatanti come vita e morte e diceva: “Sebbene io non conosca la morte, la morte è uno dei miei amici”. Henni Rissone
Il laboratorio di Henni Rissone
Domenica 1 novembre la psicologa Henni Rissone,insieme ad un musicista, Paolo Masia terrà un laboratorio di 3 ore accessibile a tutti dove, per partecipare, non è necessaria una competenza nell’ambito della danza.” Ho molto a cuore questo tema e ritengo che, ora più che mai, si debba far fronte all’angoscia della perdita nel modo più creativo ed artistico possibile. – spiega la dottoressa Rissone.
L’essere umano si colloca, nella sua verticalità, tra il cielo e la terra. Le sue componenti yin sono radicate al sottosuolo mentre le sue componenti yang si proiettano nell’aria e nell’etere. Abbiamo la nostra origine sotto i piedi, per questo, nel laboratorio, verrà dedicato un ampio spazio allo studio di diverse tecniche di camminata.


Sentire con il corpo
Se il significato originario della danza è “sentire con il corpo”, si tratta di danzare la molteplicità delle continue trasformazioni e trasmutazioni che accadono al nostro interno in relazione con la vita e la morte a partire dalla terra per rendersi evanescenti e tornare alla forma in un ciclo potenzialmente infinito.
Il corpo che assume posture e forme stabilite può evocare emozioni, il corpo che si rende il più possibile informe può invece farsi mezzo per diventare spirito e farsi danzare da ciò che lo attraversa. Lavoreremo sulla soglia di questi due stati.“
Programma:
Quando: 1 novembre dalle 15.30 alle 18.30
Dove: via Bardonecchia 122/e, TORINO conduce Henni Rissone con musica dal vivo di Paolo Masia
- Riscaldamento/training basato su alcune tecniche respiratorie e pratiche del Do-In (ginnastica energetica).
- Esercizi sulla presenza nella camminata, ascolto del micromovimento e improvvisazione basati su tecniche di Butō.
- Sessione breve di meditazione guidata a chiusura del laboratorio.
Per informazioni e iscrizioni: WhatsApp o sms al numero 328.9735744
Henni Rissone
Lavora come psicologa con tecniche di danzamovimentoterapia in Torino e provincia. Nel periodo universitario sviluppa l’interesse per la Medicina Tradizionale Cinese e si diploma operatrice shiatsu presso la scuola Hakusha di Torino nel 2003.Conduce corsi di Do-In (auto-shiatsu) e workshop di ricerca espressiva del movimento a partire dall’ascolto dei meridiani energetici.
Negli ultimi cinque anni si interessa di Butoh partecipando ad alcuni seminari in Italia e all’estero; tra i suoi maestri Masaki Iwana e Sayoko Onishi.
Paolo Masia
Musicista polistrumentista, si diploma al Centro Jazz di Torino nel 1990, studiando pianoforte, armonia,arrangiamento e composizione con Gianni Negro,Palmino Pia e Aldo Rindone. Suona e collabora con varie formazioni del cuneese esibendosi in Italia e all’estero.
Insegna pianoforte moderno per due anni alla scuola di alto perfezionamento di Saluzzo. In questi ultimi anni si dedica all’esecuzione di musica a 432 Hz. ed allo studio di strumenti quali il sax soprano, il duclar e la fujara.

