Paese mio che stai sulla collina…

Paese mio che stai sulla collina/Disteso come un vecchio addormentato/La noia l’abbandono niente/Solo la tua malattia/Paese mio ti lascio io vado via.

“Paese mio, che stai sulla collina…” Così cantavano sul palco dell’Ariston nel 1971 i Ricchi e Poveri e Josè Feliciano. Un incipit che negli anni si è rivelato premonitore dell’inevitabile destino del nostro Paese: il rapporto di Legambiente datato maggio 2016, infatti, registra nei piccoli comuni (i luoghi di aggregazione demografica con meno di 5 mila persone) una diminuzione di 675 mila abitanti, pari al 6,3%, nel 1991, esattamente vent’anni dopo la profezia canora. Allo stesso tempo, i cittadini sono cresciuti del 7%, con un aumento di 4.071.581 abitanti in più rispetto al 1991. Conseguenza dello spopolamento dei paesi sono i complessivi invecchiamento e inattività dei comuni con un aumento dell’83% degli over 65 a fronte dei giovani fino ai 14 anni.

L’attività delle comunità

In Italia i comuni al di sotto dei 5 mila abitanti sono 5.627, con una maggiore concentrazione in Piemonte (1.206) e Lombardia (1.530). Per contrastare il progressivo spopolamento di paesi, borghi e piccoli comuni italiani sono nate iniziative e associazioni come Uncem, l’Unione Nazionale Comuni Comunità Enti Montani che dal 1952 protegge i comuni montani in Italia: «La nostra attività si rivolge a 4 mila comuni – precisa il presidente nazionale Marco Bussonecui vengono indirizzati finanziamenti sia a livello nazionale sia regionale. In particolare, dieci anni fa abbiamo iniziato a rivitalizzare i borghi alpini con un programma di sviluppo locale. P

er esempio, in Piemonte sono stati investiti 33 milioni di euro di fondi pubblici che si sono sommati agli interventi privati pari ad altri 60 milioni volti alla rivitalizzazione di trenta borghi alpini. Si tratta di finanziamenti necessari per il rifacimento delle architetture abbandonate e l’inserimento di nuove imprese agricole, turistiche e artigianali».

Lo spopolamento che negli ultimi 60 anni ha coinvolto i paesi italiani non ha solo causato vuoti architettonici, ma anche e soprattutto vuoti culturali e antropologici. Per questo, sono necessari finanziamenti che puntino ad abbattere le difficoltà dei territori montani: «Le principali problematiche di queste zone – continua Marco Bussone – riguardano la fiscalità, la burocratizzazione e il digital divide. Non si può pensare che un bar della Valtellina abbia le stesse imposte di uno di Piazza di Spagna, che i prodotti di area montana non abbiano un’Iva agevolata e che non ci sia una competitività sulla digitalizzazione. In particolare, quest’ultimo punto è strettamente necessario, perché spesso i paesi restano isolati dal mondo per l’assenza della banda larga, indispensabile per far fronte anche a tutte le altre problematicità».

Gli interventi da eseguire

A questo proposito è partita proprio di recente la nuova proposta di banda ultra-larga nelle zone montane, grazie al protocollo di intesa tra Uncem e Open Fiber.

I progressi dell’attività di Uncem e delle tante altre associazioni nate per proteggere le tradizioni di paesi e piccoli borghi, come le Pro Loco e le comunità locali, sono già tangibili. «Il comune di Ostana (in provincia di Cuneo, ndr) nella valle del Po – segnala il presidente – è passato da 1200 abitanti a inizio Novecento a sole cinque anime dopo la guerra. Oggi, invece, ha di nuovo 80 persone di cui sei bambini in età scolare.

Questo proprio grazie agli interventi positivi che il Comune ha svolto utilizzando i fondi pubblici investiti in bar, pasticcerie, centri benessere e centri formazione collegati al Politecnico di Torino e all’Università di Zurigo», a dimostrazione, quest’ultimo fattore, di come serva anche e soprattutto la cultura per salvare le tradizioni del Bel Paese.

Dal punto di vista della perdita culturale, infatti, Marco Bussone precisa la volontà di Uncem di preservare le tradizioni dei luoghi in cui l’associazione concentra la propria attività. Un obiettivo realizzabile seguendo il corretto binomio di comunità e strategia.

L’istituzione di buone iniziative serve, così, a portare un duplice vantaggio: la rivitalizzazione del comune abbandonato e della grande città a questo vicina, perché «i paesi fanno da valle alle aree urbane – continua il presidente – e, oltre alla perdita demografica dei primi, è un problema ingente anche l’aumento della popolazione nelle città».

I rapporti e gli indici

I principali indicatori su cui si basa l’attività di Uncem sono il dato Ocse, secondo cui nel 2050 la popolazione mondiale sarà concentrata per il 95% nelle aree urbane, e l’indicatore ambientale che preannuncia i cambiamenti climatici come causa di ripopolamento dei territori montani in cui, pur non essendo ora oggetto di produzione economica, si tornerà a vivere per scappare al surriscaldamento globale.

A queste esigenze si somma la necessità di combattere l’inurbamento, perché «non possiamo avere un’eccessiva concentrazione di persone che non sanno dove lavorare», aggiunge Marco Bussone, sottolineando la possibilità di costituire nuove imprese all’interno degli spazi liberi.

Anche il rapporto tra aree urbane e montane deve ricevere la corretta riqualificazione per cui Uncem ha sviluppato una proposta volta all’intervento sulle concessioni autostradali: «Abbiamo previsto – spiega il presidente – di devolvere una percentuale del pedaggio ai territori montani, per far sì che gli interventi necessari per la loro riqualificazione non vengano finanziati da un aumento della spesa pubblica, bensì da altri elementi sussidiari di intervento». Una soluzione virtuosa, quest’ultima, che consentirebbe di migliorare l’aspetto economico dei paesi e di riportare una migrazione in direzione opposta, dalle città ai comuni.

«È un fenomeno iniziato molti anni fa – precisa Gian Carlo Blangiardo, presidente Istat e professore ordinario di Demografia all’Università di Milano – la prima fuga si è avuta dalla montagna, poi dai paesi verso le città. I giovani, soprattutto, preferiscono i centri urbani. E se si continua così si passerà ben presto dall’invecchiamento della popolazione rurale alla completa morte di questi luoghi. L’antidoto, quindi, è rilanciare il fenomeno della natalità, favorire un ripopolamento attraverso l’immigrazione per permettere la conservazione del territorio. Si tratta di attività che necessitano di costi elevati, ma che stanno funzionando nelle esperienze più piccole legate a fenomeni di volontariato e mecenatismo». Quest’ultimo, ad esempio, è anche il caso ricordato da Marco Bussone dell’Albergo diffuso “Sextantio” realizzato a Santo Stefano di Sessanio in Abruzzo grazie all’investimento economico dell’imprenditore italo-svedese Daniele Kihlgren.

Primo piano di un paesino di montagna, arrampicato sulla collina
Paese tipico delle vallate montane

Centri storici e nuove riforme

Di Paesi albergo, Borghi albergo, Case albergo, Residence diffusi, Alberghi diffusi e Alberghi di comunità parla la tesi “Centri storici e nuove forme di sviluppo turistico. Il caso di Gangi” di Antonietta Conte, abitante di origine gangitana che nel proprio elaborato ha approfondito il caso del suo piccolo comune in provincia di Palermo all’interno di un’analisi più vasta dedicata allo spopolamento dei paesi e alle iniziative virtuose per combatterlo. Tra queste c’è la nota vendita di “Case a 1 euro”, il progetto sviluppato nel 2009 dal comune di Gangi e concretamente realizzato, poi, con la prima assegnazione nel 2011.

In questo modo le dimore più dismesse del paese, vendute alla simbolica cifra di un euro, potevano essere riqualificate dagli interventi di tutti i privati che si fossero interessati agli acquisti. Un’azione che ha prodotto un circolo virtuoso di investimenti e turismo, con acquirenti provenienti dalle vicine città siciliane, da altre regioni di Italia e dall’estero: negli anni si sono, infatti, registrati stranieri arrivati da Belgio, Ungheria, Bulgaria, Svizzera, Francia, Germania, America, Israele ed Emirati Arabi.

«Chi ha comprato le case – precisa Antonietta – ama la nostra cultura e cerca di valorizzarla. Se da un lato non si è avuto un ulteriore arricchimento culturale portato da chi non è originario di Gangi, dall’altro questa migrazione ha comunque permesso di valorizzare nuovamente le nostre tradizioni che, per un circolo virtuoso, sono state maggiormente apprezzate anche dai gangitani che avevano perso l’abitudine di ricordarsene».

Si è creato, quindi, un ritorno alla cultura del posto proprio grazie agli stranieri arrivati nel piccolo comune per comprare una casa: celebri sono i casi ricordati da Antonietta, come gli acquirenti che hanno messo a disposizione un’ingente quantità di denaro per finanziare la stampa di libri di tradizioni gangitane e una coppia di ragazzi argentini che si sono sposati secondo il rito di Gangi.

La rivalutazione architettonica ha permesso, così, di ripopolare il comune che nel 2014 ha vinto il titolo di “Borgo dei borghi” e che negli ultimi anni aveva subito una drastica diminuzione della popolazione, da 16 mila abitanti a 6 mila.  Un esempio concreto di rivalutazione capace di generare ricadute positive e proficue e di contrastare, invece, quell’egemonia culturale che è causa di inurbamento.

Piccoli comuni Legambiente

Ne parla Alessandra Bonfanti, responsabile Piccoli Comuni Legambiente, che precisa come il problema sia l’immaginario culturale: «I giovani sognano da sempre la Grande Mela e per realizzare i propri progetti si spostano in città. L’incremento dei percorsi universitari porta inevitabilmente alla fuga dalle aree rurali. Esistono esempi virtuosi di ritorno, ma questi sicuramente non cambiano il destino dell’andamento demografico generale. È necessario che le stesse università inizino a dialogare con questi territori per passare dalle smart cities alle smart lands, perché il nostro Paese è l’unico ad avere la possibilità di ribaltare queste criticità proprio grazie alla cultura».

Casi virtuosi di ritorno dei giovani ai propri paesi di origine si registrano ancora. Un esempio è un altro comune siciliano, Piana degli Albanesi, sempre in provincia di Palermo. Colonia prima greca e poi albanese, il paese conta oggi poco più di 6 mila abitanti e non rientra, quindi, nella definizione di piccolo comune.

La sua comunità arbëresh prosegue le antiche tradizioni della Pasqua ortodossa, con costumi ricamati in oro e manifestazioni folcloristiche. La letteratura e la lingua albanesi, però, rischiano di eclissarsi per il progresso invecchiamento della popolazione: i residenti lamentano la perdita linguistica da parte dei bambini che a scuola non parlano più l’albanese antico e la diminuzione di giovani che scappano verso Palermo o il nord d’Italia.

Il sindaco di Piana degli Albanesi Rosario Petta, però, assicura che, pur essendo un fenomeno comune a tanti comuni siciliani e italiani, «qui la partenza dei ragazzi è più contenuta e stiamo cercando di riprendere in mano la situazione». Chi parte, conferma il primo cittadino, lo fa per motivi di studio e per l’assenza in paese di poli universitari, ma non si tratta di una fuga: «È piuttosto da intendersi come un investimento sul proprio futuro – continua il sindaco – Negli ultimi anni molti sono tornati e hanno deciso di scommettere sulla ricrescita economica di Piana, aprendo una pizzeria e un forno, ad esempio. Sono tutti casi concreti e possibili, nonché uno stimolo per il futuro del nostro comune».

Piccoli esempi, quindi, quelli piemontese, abruzzese e siciliani di iniziative virtuose capaci di far fronte alla rivitalizzazione di borghi, paesi e comuni che altrimenti diventerebbero luoghi fantasma. Un’azione positiva che conferma l’obiettivo di Uncem ricordato dal presidente Marco Bussone: «O moriamo o viviamo e un paese per rivivere deve prima essere rivitalizzato».

Giulia Di Leo
Giulia Di Leo
Laureata in Lettere moderne, ha frequentato la scuola di giornalismo all’Università Cattolica di Milano e oggi scrive per La Stampa e Zetatielle. Dice di sé: “ Sono una ragazza di provincia nata col sogno di scrivere, amo la mia città, Casale Monferrato, che mi ha insegnato a vivere di semplicità e bellezza, portandomi, poi, ad apprezzare la metropoli milanese che nella maturità mi ha conquistata. Non riesco a vivere senza musica: nata nel ’95, ho vissuto di riflesso gli anni delle musicassette degli 883. Mi nutro di cantautorato, pop, indie e trap per aprirmi al vecchio e al nuovo. Senza mai averne capito il perché, il giornalismo è sempre stato il sogno della vita, amo scrivere e la mia attitudine è raccontare e raccontarmi, con stile razionale e schietto. Il mio più grande desiderio è fare della mia passione un lavoro, avvicinandomi a tutti i mondi che fanno parte di me”.