Religioni e omosessualità, una giornata di dialogo. O forse no.

Ieri 13 gennaio si è celebrata, come ogni anno dal 1999, la giornata mondiale per il dialogo tra religioni e omosessualità. La giornata nasce l’anno dopo il suicidio in Piazza San Pietro a Roma di Alfredo Ormando, un intellettuale, filosofo e poeta siciliano di San Cataldo, in provincia di Caltanissetta. Cattolico e omosessuale, Ormando si suicidò, il 13 gennaio 1998, dandosi fuoco proprio nel cuore del Vaticano, per protesta contro l’omofobia e la demonizzazione dell’omosessualità da parte della Chiesa Cattolica. Otto anni dopo il ritiro dell’OMS dell’ omosessualità dalla lista delle malattie mentali. 

Novizio per due anni in un seminario francescano, Alfredo Ormando, trovò nuovo dolore e tormenti in una vita già segnata dal rifiuto della famiglia d’origine. Poco prima di darsi fuoco in piazza San Pietro scriveva. «Mi chiedo se un uomo già morto può essere considerato un suicida. Mi rendo conto che il suicidio è una forma di ribellione a Dio, ma non riesco più a vivere, in verità sono già morto, il suicidio è la parte finale di una morte civile e psichica».

Religioni e omosessualità , apertura si, apertura no, apertura forse

Da allora il 13 gennaio è teatro di riflessioni sul complesso rapporto che le fedi religiose e i loro rappresentanti hanno con le persone facenti parte della comunità LGBTQIA+. Le considerazioni sulle fede e sui diversi orientamenti sessuali rimangono aperte e attuali. Un’eterna altalena fatta di aperture (più o meno confermate), rinnovate condanne e timide prospettive di accoglienza.

manifetazione con bandiere arcobaleno davanti vaticano
Manifestazione della comunità LGBTQIA+ davanti a San Pietro , su licenza CC

La posizione della Chiesa Cattolica

 Nel 2013 Papa Francesco fornisce una prima apertura verso la comunità LGBTQIA+ dichiarando in un intervista. “Se una persona è gay e cerca il Signore e ha buona volontà, chi sono io per giudicarla? Il catechismo della Chiesa cattolica dice che queste persone non devono essere discriminate ma accolte“. E qualche tempo dopo, nel docufilm “Francesco”: “Le persone omosessuali hanno il diritto di essere in una famiglia. Sono figli di Dio e hanno diritto a una famiglia. Nessuno dovrebbe essere estromesso o reso infelice per questo. Ciò che dobbiamo creare è una legge sulle unioni civili. In questo modo sono coperti legalmente. Mi sono battuto per questo“.

Per contro il Papa ha posto da subito la netta distinzione con l’istituto del matrimonio e la conseguente composizione di famiglia intesa come quella composta da madre, padre e figli. Inoltre, in Italia , sono quasi tutte associazioni di matrice cattolica quelle che forniscono quelle che sono note come “terapie di conversione”. Ovvero sistemi mediante i quali medici, psicologi, terapeuti, educatori e altre figure affini attuano una pratica pseudoscientifica intesa a cambiare l’orientamento sessuale di una persona dall’omosessualità originaria all’eterosessualità. Oppure ad eliminare o quantomeno ridurre i suoi desideri al fine di modificarne la percezione di sé e di conseguenza l’orientamento sessuale.

Religioni e omosessualità: la posizione delle religioni nel mondo

i simboli delle religioni nel mondo scritti su una lavagna con gesso bianco

Presbiteriani e luterani

Molte tra le dottrine e religioni con maggiore diffusione numerica nel mondo assumono una posizione di sbarramento a riguardo. Ma alcune culture e religioni divenute istituzionali hanno riconosciuto l’amore tra persone omosessuali. Citiamo ad esempio la Chiesa unita del Canada, la Chiesa Presbiteriana (USA), la Chiesa evangelica luterana del Canada e d’ America. E poi ancora la Luterana Chiesa di Svezia, di Danimarca, di Norvegia, d’Islanda. A favore anche la Chiesa protestante nei Paesi Bassi ed infine la Luterana Chiesa evangelica in Germania.

In Italia anche la Chiesa Valdese e la Chiesa Anima Universale non sono discriminanti nei confronti della comunità LGBTQIA+, ma ne finanziano anche progetti.

Ebraismo

I sostenitori ebraici dei diritti LGBTQIA+ nel mondo hanno creato diverse istituzioni all’interno della vita comunitaria per ospitare i parrocchiani LGBTQIA+. “Beth Chayim Chadashim”, fondata nel 1972 a Los Angeles, è stata la prima sinagoga esplicitamente inclusiva delle persone LGBTQIA+ e riconosciuta dall’ebraismo riformato. Sulla scia le congregazioni non ortodosse  “Congregation Beit Simchat Torah” a New York, “Bet Mishpachah” a Washington e “Congregation Or Chadash” a Chicago.

Islam

L’islam si rifà alle prescrizioni del Corano e agli insegnamenti del profeta Maometto. L’interpretazione corrente principale dei versetti coranici e degli Ḥadīth condannano gli atti sessuali commessi da persone dello stesso sesso. Al contrario gli individui trans vengono maggiormente accettati. Il governo iraniano riconosce e permette la riassegnazione chirurgica del sesso e , per i suoi cittadini trans ne sovvenziona anche la procedura. Nell’induismo, buddhismo, giainismo e sikhismo, invece, l’omosessualità viene raramente discussa.

Arcigay Torino : tenere vivo il confronto

Abbiamo interpellato in merito al dialogo tra religioni e omosessualità la direzione di Arcigay Torino Comitato territoriale Ottavio Mai:

La riflessione sul rapporto tra religioni e mondo lgbtqia+ è, ormai da anni, un  tema molto dibattuto, oltre che molto delicato. Se da un lato c’è un  comprensibile scetticismo da parte della maggior parte della comunità verso  istituzioni religiose, che per lo più continuano a condannare l’omosessualità  e tutto il mondo lgbtqia+ senza mostrare spiragli di apertura, dall’altro lato si  palesa il bisogno di accoglienza e mediazione di chi vive due identità  apparentemente contrapposte.

In questo senso riteniamo che sia  fondamentale continuare a tenere vivo il confronto, attraverso il lavoro  giornaliero di attivisti e attiviste, affinché le persone lgbtqia+ credenti  possano sentirsi sicure e protette sia all’interno di spazi queer che nei  contesti di fede. Negli ultimi anni, in particolare, sono stati intrapresi percorsi  di elaborazione sul rapporto di possibile convivenza tra queste due  dimensioni, che -è bene sottolineare- andrebbe esteso a tutte le fedi e le  religioni, per ripensare il modello binaristico di mutua esclusività di fede e  omosessualità. Per garantire un proseguimento efficace di tali percorsi, però,  rimane essenziale porre fine alle violenze omolesbobitransfobica in nome  dell’istituzione religiosa“.

Una testimonianza personale: una donna, una storia. Tra il giudizio della Chiesa e il giudizio della propria coscienza di sè.

La mia vita, come quella di molte persone LGBTQIA+, è divisa in due momenti distinti – ci racconta una donna della comunità LGBTQIA+ -.Un prima in cui non sapevo e un dopo in cui seppi e dovetti farci qualcosa con quella verità. In questi due momenti così delicati si inserì il giudizio condannante e discriminante e il mancato ascolto da parte della Chiesa e del suo tribunale.

Un prima in cui ero una giovane ragazza che non aveva avuto modo di porsi nessuna domanda sul proprio orientamento sessuale semplicemente perché, fino a due decine di anni fa, non c’era un vero spazio nella nostra società e mancavano le informazioni perché ci si potesse porre davvero domande inerenti quesiti di tipo identitario e di orientamento sessuale e la via dell’eterosessualità sembrava l’unico percorso praticabile, l’unico percorso “normale” e tracciato. Un dopo in cui, a partire dai 26 anni, presi consapevolezza in modo improvviso e devastante di ciò che definii come “l’amore secondo me” e non potei più mentire a me stessa ulteriormente.

Il giudizio del Tribunale della Sacra Rota

Quando mi innamorai davvero fu di una donna ma ero sposata con un uomo, un fervente cattolico, preoccupato solo di non finire all’inferno per via di un divorzio che avrebbe violato il sacramento del matrimonio. Quando mi innamorai davvero avevo 26 anni e, seppure molto giovane, ero forte e determinata a riprendere in mano la mia vita e con quella forza affrontai da sola e senza alcun appoggio, senza neppure la guida di un avvocato o un’avvocata al mio fianco, il giudizio del Tribunale della Sacra Rota. Affondarono le mani nel mio passato per dimostrare che mi ero sposata a soli vent’anni con il fidanzatino che avevo dall’età di 15 per fuggire alla violenza che vivevo all’interno della mia famiglia d’origine. Il punto per loro era solo dimostrare la mia immaturità, colpevolizzarmi in quanto omosessuale e determinare l’annullamento del matrimonio.

L’annullamento: nessun matrimonio, nessuna violazione

Così: nessun matrimonio equivaleva a nessun sacramento violato, nessun sacramento violato equivaleva alla garanzia di accesso al paradiso (per chi aveva pagato per quella causa). Trascrissero le mie dichiarazioni ma non diedero peso alle violenze che raccontai di aver subito anche da quello stesso ragazzo che avevo sposato. Il resoconto palesava come in entrambe le famiglie “tradizionali” nelle quali avevo trascorso la prima parte della mia vita avevo esperito forme di violenza (domestica assistita prima, psicologica e sessuale dopo).

Ma il giudice della Sacra Rota era lì per sentenziare la nullità dei miei precedenti anni di vita e non per curarsi delle mie ferite o mettere in discussione la bontà delle unioni sancite di fronte all’altare. Io ponevo al tribunale semplici quesiti di ordine pratico e chiesi come fosse possibile per loro – semplici esseri umani rappresentanti un’istituzione che agiva in nome della Chiesa Cattolica – proferire la sentenza di “annullamento” di ciò che era stato, di ciò che ero stata, di quello che avevo vissuto. 

Tutto annullato: ricordi, giornate, anni di vita

Durante l’ultima convocazione, di quel processo a mio carico durato settimane e in cui mi difesi da sola, stuzzicai infine il giudice dicendogli che, se davvero era in suo potere annullare i miei ricordi e tutte quelle giornate, allora che mi restituisse anche gli ultimi 11 anni di vita dal momento che non c’erano stati.  Ricordo una notaia al suo fianco che trascriveva le mie dichiarazioni. Ricordo che, quando feci queste considerazioni, annuì silente d’accordo con le mie obiezioni. Ma non disse niente. Neppure il giudice proferì parola. La sua sentenza mi arrivò per posta insieme a un fascicolo di 200 pagine che era un estratto di dichiarazioni mie, del mio “mai marito” e dei suoi testimoni. Non mi furono restituiti gli anni ma una parte del racconto della mia vita finì nei loro archivi, nel fascicolo completo.

Annullata

Annullata. Così cominciai a definire il mio stato civile. Non nubile ma più precisamente annullata. Sicuramente libera. Lessi solo alcune di quelle 200 pagine perché già le prime mi facevano ribollire il sangue e non ne avevo bisogno. Avevo la mia vita e tante cose da fare e tanto da amare.

Quella ragazza di 26 anni che si era difesa da sola e aveva spiazzato un giudice del tribunale della Sacra Rota divenne la donna che sono ora, che lotta per i diritti e si batte per il contrasto alle discriminazioni di genere e di orientamento sessuale. E in difesa di tutte le forme di famiglia, che fa formazione nelle scuole e porta avanti progetti sociali per il contrasto alla violenza di genere e alle parole d’odio omo-lesbo-bi-trans-fobiche e che ha trasformato la rabbia e l’indignazione in performances, in video, in spettacoli, in mostre e in messaggi di sensibilizzazione che attraversano le strade e le piazze.

una maifestazione pride religioni e omosessualità

Oggi scendo in piazza per la tutela del diritto

Oggi ho 43 anni e scendo in piazza per la tutela del nostro diritto all’autodeterminazione, per appoggiare la lotta delle donne iraniane e afghane, per difendere le molteplici sfumature dei percorsi identitari e di genere e, accanto a me, tra lə compagnə di lotta ci sono persone laiche e persone credenti ed è chiaro a tuttə che nessuna religione è legittimata nella discriminazione delle persone, qualsiasi sia il motivo. Non è stato semplice ovviamente e davvero avrei voluto riavere indietro quegli anni ma so che la mia forza di oggi e il fatto che sia un’artivista è proprio grazie a quello che ho vissuto in quella prima parte di vita che, nonostante la presunzione di averne il potere, non sono riusciti ad annullare“.

Può interessarti leggere anche

Legione Carabinieri Piemonte Valle d’Aosta, un reel contro la violenza sulle donne

Monica Col
Monica Col
Vicedirettore di Zetatielle Magazine e responsabile della sezione Arte. Un lungo passato come cronista de “Il Corriere Rivoli15" e “Luna Nuova”. Ha collaborato alla redazione del “Giornale indipendente di Pianezza", e di vari altri giornali comunali. Premiata in vari concorsi letterari come Piazza Alfieri ( 2018) e Historica ( salone del libro 2019). Cura l’ufficio stampa di Parco Commerciale Dora per la rassegna estiva .Cura dal due anni la promozione della Fondazione Carlo Bossone,. Ha curato per quattro anni l'ufficio stampa del progetto contro la violenza di genere promosso da "Rossoindelebile", e della galleria d’arte “Ambulatorio dell’Arte “. Ha curato l'ufficio stampa e comunicazione del Movimento artistico spontaneo GoArtFactory per tre anni. Ha collaborato come ufficio stampa in determinati eventi del Rotary distretto 2031. Ė Presidente dell 'Associazione di promozione sociale e culturale "Le tre Dimensioni ", che promuove l' arte , la cultura e l'informazione e formazione artistica in collaborazione con le associazioni e istituzioni del territorio. Segue la comunicazione per varie aziende Piemontesi. Dice di sé: “L’arte dello scrivere consiste nel far dimenticare al lettore che ci stiamo servendo di parole. È questo secondo me il significato vero della scrittura. Non parole, ma emozioni. Quando riesci ad arrivare al cuore dei lettori, quando scrivi degli altri ma racconti te stesso, quando racconti il mondo, quando racconti l’uomo. Quando la scrittura non è infilare una parola dietro l’altra in modo armonico, ma creare un’armonia di voci, di sensazioni, di corse attraverso i sentimenti più intensi, attraverso anche la realtà più cruda. Questo per me è il vero significato dello scrivere".