Una voce che ha segnato un’epoca, un front-man che è stato l’icona degli anni ’80: ladies & gentlemen, welcome back Mr. Tony Hadley.
Una voce che ha segnato un’epoca, i mitici anni ’80, e che è rimasta ben impressa nella mente e nella memoria dei fan di tutto il mondo, una voce che è magia pura, una voce che quasi come per incanto fa tornare giovani i quaranta-cinquantenni di oggi, soprattutto le fanciulle di allora, oggi malamente e genericamente catalogate come “milf”, che proprio come trent’anni fa, occupano le prime file della platea, tutte in gran spolvero, “messe su da guerra”, come direbbe il mio amico Gerry Calà.
Archiviati per sempre, gli Spandau Ballet, sir Hadley torna ad esibirsi da solista, a quasi tre anni di distanza dal “Christmas Tour”, in una città che lo ama alla follia, sia che riproponga le hits della band che è stata il simbolo della “british invasion”, sia che canti canzoni natalizie, sia che proponga i brani del suo ultimo album solista “Talking to the moon”.


Puntuale come solo gli inglesi sanno essere, il “dandy” per eccellenza, non me ne voglia Brian Ferry, elegantissimo nel vestito grigio “fumo di Londra”, si presenta sul palco con l’immancabile bicchiere di whisky in mano e, dopo un brindisi col pubblico ed un sorso beneaugurante, attacca di brutto con una tripla da paura: “Take back everything” dal disco “solo” e a seguire, due classici degli Spands, “To cut a long story short” e “Highly strung”. Vi garantisco che il pubblico non ha avuto bisogno del whisky per scaldarsi.
Il concerto prosegue a ritmi altissimi, basato sui classici targati Spandau Ballet: “Round around”, secondo me punto più alto della serata e “I’ll fly for you”, un hit-single immortale, infiammano la platea, intervallati da brani del disco solista, perfettamente inseriti nel contesto, ma il buon Tony riesce comunque a stupirci.


Accompagnato da una band che gira a mille, stravolge gli arrangiamenti originali inserendo una tastiera (Phil Taylor), modifica la timbrica della chitarra (Richard Barratt), cambia la tonalità del sax (Simon Willescroft), affida la sezione ritmica a due rocchettari nudi e crudi (Tim Bye alla batteria e Phil Williams al basso) e cesella i suoni e le voci lasciando parecchio spazio ad unabravissima percussionista-cantante (Lily Gonzales), che diventa il valore aggiunto dello show, “Through the barricades”, cantata a due voci, ne è la prova lampante.


Voce perfettamente in forma e tanta voglia di divertirsi e di divertire, prova ne sia il finale dello show, da paura come l’inizio: “True”, “amore canzone”, per dirla nel suo italiano inglesizzato, “Radio gaga”, il tributo che non ti aspetti, in memoria di chi ha lasciato un vuoto incolmabile in tutti noi (perfetta esecuzione vocale, con la sezione ritmica in grande spolvero), e chiusura delle chiusure, naturalmente “Gold”, che sigilla un concerto d’avvero d’oro.
Due note a latere.
La prima: purtroppo mancano all’appello ”How many lies?” e “Crashed into love”, tanto per citare due titoli a caso, poi “Empty spaces”, secondo me uno dei brani migliori in assoluto della band, e soprattutto “Once more”, canzone manifesto del secondo tempo della mia vita, ma è un dettaglio. Ci sarà tempo e modo.
La seconda: il timing del concerto, relativamente breve, forse troppo breve. Sicuramente non per colpa di Tony Hadley che, ad un certo momento dello show, guardava l’orologio quasi con ansia. Sicuramente per regolamento comunale, che impone, nei centri abitati, la chiusura degli spettacoli entro un orario ben stabilito.
Quindi: perché cominciare lo spettacolo alle ore 22, quando si può benissimo anticiparlo di mezz’ora, se non di un ora intera, permettendo così agli artisti di proporre per intero la propria scaletta? Domanda che giro all’organizzazione, in virtù anche del prezzo del biglietto, non proprio regalato.
Lo spettacolo è stato aperto da Oskar “stile emozionante, musica elegante” Giammarinaro, che ha proposto alcuni brani del suo primo album solista “Sentimenti travolgenti”.
#stayalwaystuned