E’ una questione di potere. E il potere non si esercita da lontano. Da lontano il potere si perde, per cui non è possibile andarsene. E quindi la mafia si nasconde sotto casa. Riina, Provenzano, Denaro sono solo tre esempi di latitanti ricercati da anni e poi trovati tutti a pochi passi dai luoghi in cui, proprio da “latitanti”, hanno compiuto o sono stati mandanti di stragi e omicidi. Gli stessi luoghi che li hanno visti nascere e crescere in seno alla mafia.
Salvatore Riina, preso a un chilometro da casa
Salvatore Riina detto Totò (1930 – 2017), di Corleone, comune della città metropolitana di Palermo. Arrestato il 15 gennaio 1993 in via Bernini 54 a Palermo. A un chilometro di distanza dalla villa con palme dove la famiglia abitava da più di vent’anni. E lui anche, a giudicare dal luogo dell’arresto. Cronaca di un luogo annunciato se pensiamo che nemmeno sei mesi prima, erano i primi di luglio del 1992, il suo storico avvocato, Cristoforo Fileccia, dichiarava in un’intervista alla RAI che il suo assistito “si trova in Sicilia e lo incontra spesso“.
“Quando nel 1984 andai dal giudice Giovanni Falcone – continua Fileccia sempre nella stessa intervista -, mostrandogli il mandato di difesa firmato da Totò Riina, il magistrato si meravigliò perché da trent’ anni tutti lo cercavano e nessuno lo aveva mai trovato. Ma io mi sono incontrato con Riina, diverse volte.[…] non l’ ho incontrato a Corleone, ma neanche fuori dalla Sicilia. Più di questo non posso dire“. A seguito di queste dichiarazioni sull’avvocato Fileccia si apre un inchiesta per favoreggiamento. La sua risposta arriva sempre via stampa.


La mafia: io sono qui e voi non mi prendete
“La presenza di Riina a Palermo ed in Sicilia – dichiara il legale del boss della mafia – è nota da anni, tanto a magistrati e investigatori, quanto a tutti gli organi di informazione. Se poi la mia immagine è entrata nelle case attraverso la televisione e se la risposta con verità alle domande che mi sono state rivolte può apparire tracotanza, ciò non è certo imputabile a me, ma a chi, gestendo i mezzi di informazione, decide quando e quali messaggi veicolare“.
Dichiarazioni che per il sostituto procuratore Gioacchino Scaduto rivestono “un messaggio duplice: una provocazione verso l’ esterno che dice alle forze dell’ ordine, alla magistratura, ‘ io sono qui e voi non mi prendete’ ; ed è anche un messaggio ad amici e nemici interni per rafforzare la sua posizione per assicurare gli uni ed intimorire gli altri”. La conclusione che si trae, quindi, è che i boss restano a Palermo, restano in Sicilia, restano a casa. In pratica restano dove ci sono gli affari. Perchè, via loro, la piazza rimane sguarnita. E’ una questione di potere, e il potere non si esercita da lontano.


Bernardo Provenzano
Bernardo Provenzano (1933 – 2016), soprannominato “u’ viddanu” e “u’ tratturi”, è anche lui di Corleone. Arrestato l’11 aprile 2006, guarda caso a Corleone, dentro una masseria. Provenzano, all’epoca dell’arresto, risulta latitante dal 1963. Ma già nel marzo del 1978, Giuseppe Di Cristina, capo della famiglia di Riesi lanciava un messaggio ai Carabinieri. Dichiara inaftti che Provenzano “era stato notato in Bagheria a bordo di un’autovettura Mercedes color bianco chiaro alla cui guida si trovava il figlio minore di Brusca Bernardo da San Giuseppe Jato“.
Da queste dichiarazioni partono le indagini dei Carabinieri di Partinico. Nelle 156 pagine dell’“Ordinanza Sentenza del Tribunale di Palermo contro Greco Michele +18” del 1989 , da cui è estratta anche la dichiarazione citata prima di Di Cristina, risulta che si è a conoscenza che Provenzano trascorreva la sua latitanza prevalentemente nella zona di Bagheria. E si era inoltre a conoscenza che effettuava, attraverso prestanome, investimenti in società immobiliari, per riciclare denaro. E’ una questione di potere.


11 giorni prima dell’arresto il 31 marzo 2006, il suo legale, Salvatore Traina, forse già consapevole che la fine sarebbe stata vicina, tenta l’ultima carta. Rilascia un’intervista a Repubblica in cui dichiara: “Per me è morto. Ed è morto anche da diversi anni“. Ovviamente qualche giorno dopo si capirà che invece era decisamente molto vivo. Singolare che l’avvocato di Provenzano, sempre nella stessa intervista dica che” per un mafioso e soprattutto per un capo mafia non è possibile governare il proprio territorio e i propri affari stando lontani. E’ in contrasto proprio con certe regole“. E’ una questione di potere, e il potere non si esercita da lontano.
Matteo Messina Denaro
Matteo Messina Denaro, 1962, soprannominato Diabolik e U siccu di Castelvetrano provincia di Trapani, arrestato il 16 gennaio 2023 alla clinica “Maddalena” di Palermo. Fuori zona, ma non troppo se si considera che il boss della mafia capo indiscusso di Cosa Nostra era talmente influente da esercitare il potere anche “fuori porta”. Fino ad arrivare alla province di Agrigento e anche Palermo.


Il covo del boss invece, neanche a dirlo, è stato individuato dai Carabinieri del ROS a Campobello di Mazara. Nove chilometri e 16 minuti esatti di strada da Castelvetrano. Praticamente sotto casa, come per Provenzano e Riina. Messina Denaro, latitante dal 1993, dopo le stragi di mafia con autobombe della primavera-estate 1993 a Milano Firenze e Roma che gli valgono la sentenza di ergastolo nel 2000, resta sempre nei paraggi.
Infatti, secondo gli inquirenti, tra il 1994 e il 1996 Messina Denaro trascorre la sua latitanza tra Aspra e Bagheria. Alla porte di Palermo a casa della compagna Maria Mesi. Nel 2001, ancora tra Aspra e Bagheria, la polizia trova il suo ultimo covo caldo. L’11 aprile 2006, nella masseria dove viene catturato Provenzano si trovano anche molti “pizzini” di Denaro. Nel 2010 collaboratore di giustizia Manuel Pasta dichiara che Messina Denaro era presente, con alcuni mafiosi palermitani alla partita di calcio Palermo-Sampdoria. E’ una questione di potere, e il potere non si esercita da lontano.
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