La parietaria, che cresce nei muri e si attacca alle vesti
La parietaria è un’erba che difficilmente si confonde con le altre. Già Plinio sosteneva che l’uso medicinale fosse consigliato dagli dei e le attribuì il nome che conosciamo, perché cresce nelle spaccature dei muri. Paries in latino significa infatti “muro” e poche altre piante hanno la sua attitudine nell’attecchire in quantità tanto scarse di terra. Inoltre, le sue foglie ti restano incollate addosso. Sono, infatti, munite di fini peli biancastri che permettono alla foglia di aderire alla stoffa degli abiti.
Dioscoride la cita più volte come medicamento, per curare la tosse ostinata e la gotta. E le sue virtù terapeutiche erano apprezzate in tutto l’Impero Romano. Vegetando tra muri e sassi, nel Medioevo si giunse alla conclusione che la parietaria avesse l’energia di spezzare la pietra. Per questo le veniva attribuito il potere di frantumare e sciogliere piccoli calcoli renali. Ma, a quell’epoca, era in genere un’erba un po’ trascurata, immemore dei fasti antichi.


Erba vetriola, erba da bottiglie
Ci vollero i medici Andrea Mattioli e Castore Durante, nel XVI secolo, quando la inserirono nei loro erbari, per restituirle i meriti che le spettano. Nel Traité universel des drogue simples del 1698, Nicolas Lémery cita la parietaria come erba vetraria o erba vetriola. Fa dunque riferimento all’uso contadino di pulire bottiglie e vetri in genere con ciuffi di parietaria, sino a farli brillare.


Condita con burro salato, in Irlanda
Per secoli, la parietaria è stata anche considerata un valido alimento, specialmente presso popolazioni povere. Dato che la pianta rimane tenera nel corso dell’anno, è possibile mangiarla nelle diverse stagioni, al posto degli spinaci. In Irlanda, ad esempio, viene bollita e poi stufata nel burro salato. Viene aggiunta quale ingrediente pure nelle zuppe, soprattutto quando si festeggia il santo patrono Patrizio (17 marzo), perché dona al brodo un vivace colore verde. Si può anche gustare in frittate o, cruda, in insalate primaverili.
Sempre in Irlanda, si utilizza associata all’erica in tisane per lenire le infiammazioni urinarie di persone o animali. In gaelico, ha un nome assai poetico ma fuorviante sulla natura della specie, An míontas caisil, ossia “menta del ruscello”. Dato che condivide l’habitat con l’ortica, quando si pungono con le foglie di quest’ultima, gli irlandesi si strofinano la parietaria sulla pelle per lenire il bruciore.


Ritratto botanico della parietaria
La Parietaria officinali L. appartiene alla famiglia delle Urticacee anche se non ha le foglie urticanti come la “cugina” ortica. È comune presso ruderi, macerie varie, siepi o in terreni sassosi e ombrosi. Raggiunge l’altezza massima di un metro ed è una pianta erbacea, ben ramificata, con radice fusiforme. Il fusto carnoso e pubescente può essere eretto o sdraiato, e si riconosce per l’inconfondibile colore rossastro che contrasta con il verde vivido delle foglie.
Nel dialetto ligure, ad esempio, la parietaria è chiamata gamba russa, proprio per i suoi steli rossi. Le foglie hanno un breve picciolo e sono di forma ovato-lanceolata, dal margine liscio, a differenza dell’ortica. Le infiorescenze ermafrodite, perché composte da fiori maschili e femminili che sbocciano tra aprile e ottobre, sono poco appariscenti. Sono all’incirca sferiche, hanno un colore verdognolo e sono poste all’ascella delle foglie superiori.


Un rimedio curativo per molti, ma non per gli allergici
La droga terapeutica è rappresentata dall’intera pianta, che contiene interessanti principi attivi. Ci sono infatti mucillagini, flavonoidi, tannini, sostanze amare, una buona percentuale di nitrato di potassio e sali di zolfo e calcio. I flavonoidi e il nitrato di potassio fanno della parietaria un buon diuretico, adatto anche nelle patologie urinarie e renali come cistiti, nefriti e coliche. È anche depurativa, emolliente (mucillagini) in caso di tosse e antireumatico. L’infuso si prepara ponendo un paio di cucchiai rasi di droga in acqua fredda. Si porta a bollore, si spegne e si lascia riposare sotto coperchio per un quarto d’ora. Poi si filtra e si dolcifica a piacere. Si può bere lungo la giornata, proprio come un tè.
Molto salutare, come bevanda, è anche il succo centrifugato da pianta fresca. In uso esterno, le foglie fresche tritate e applicate in cataplasma allievano bruciature, ulcere, foruncoli, contusioni, eczemi, ragadi e persino le fastidiose emorroidi! Non è un’erba con particolari controindicazioni, ma non può essere impiegata da tutti. Ci sono, infatti, persone allergiche al suo polline, alle quali dev’essere senz’altro sconsigliata. Per tutti gli altri, metterne le foglie in un bel minestrone invernale gioverà invece alle papille gustative e alla salute.

