Un nuovo rapporto di Greenpeace Africa e Greenpeace Germania rivela le dimensioni allarmanti dei danni sanitari e ambientali causati dal commercio globale di vestiti usati e abbigliamento di seconda mano in Ghana. Il rapporto, dal titolo “Fast Fashion, Slow Poison: The Toxic Textile Crisis in Ghana”, documenta l’impatto devastante degli indumenti usati provenienti dal Nord del mondo, in particolare i capi di fast fashion, sull’ambiente, sulle comunità e sugli ecosistemi dello Stato dell’Africa occidentale.
Il mercato degli abiti usati in Ghana
Ogni settimana, circa 15 milioni di vecchi vestiti usati arrivano a Kantamanto, il secondo mercato di abiti usati più grande del Ghana. Tuttavia, quasi la metà di questi indumenti risulta invendibile. Il Ghana è la seconda destinazione al mondo per i volumi di abiti di seconda mano provenienti dall’Europa. L’Italia, in particolare, si classifica nona tra i Paesi esportatori mondiali e terza in Europa, dopo Belgio e Germania, avendo inviato nel solo 2022 circa 200 mila tonnellate di abiti usati.
Tra i primi dieci marchi di abiti invenduti nel mondo, tutti fanno parte dell’industria del fast fashion, tra cui H&M, Zara e Primark, con SHEIN come uno dei marchi più recenti ad apparire sul mercato.


Impatti ambientali e sanitari
Gran parte dei vestiti usati che arrivano in Ghana finiscono in discariche abusive o vengono bruciati nei lavatoi pubblici, con conseguenze devastanti per l’ambiente. Queste pratiche contaminano gravemente l’aria, il suolo e le acque, mettendo a rischio la salute delle comunità locali.
I campioni d’aria prelevati da Greenpeace presso i lavatoi pubblici nell’insediamento Old Fadama ad Accra hanno rivelato livelli pericolosamente elevati di sostanze tossiche, incluse sostanze cancerogene come il benzene e altri idrocarburi policiclici aromatici (IPA).
Inoltre, il 90% degli abiti analizzati da Greenpeace è risultato composto da fibre sintetiche, come il poliestere, contribuendo alla diffusione di microplastiche nell’ambiente. Questo accumulo di rifiuti tessili sta soffocando gli habitat naturali, inquinando i fiumi e creando “spiagge di plastica” lungo la costa ghanese.


Le dichiarazioni di Greenpeace
Sam Quashie-Idun, autore del rapporto di Greenpeace, ha dichiarato: «Le prove da noi raccolte mostrano chiaramente che l’industria del fast fashion non è soltanto un problema del settore moda, ma una crisi sanitaria pubblica a tutti gli effetti: questi indumenti stanno letteralmente avvelenando la popolazione di Accra».
Quashie-Idun sottolinea come la situazione in Ghana rifletta una mentalità neocoloniale, dove il Nord del mondo trae profitto dalla sovrapproduzione e dagli sprechi, lasciando ai Paesi come il Ghana il compito di pagare il prezzo in termini ambientali e sanitari. Evidenzia, inoltre, l’urgenza di un trattato globale che affronti questo squilibrio e protegga le comunità dai danni causati dall’industria del fast fashion.


Richieste di Greenpeace e soluzioni proposte
Greenpeace Africa chiede azioni immediate e a lungo termine per affrontare la crisi. In particolare, l’organizzazione invita il governo del Ghana a imporre un divieto sulle importazioni di scarti tessili, consentendo solo l’ingresso di abiti che possano essere realmente riutilizzati.
Inoltre, Greenpeace esorta i marchi di moda ad assumersi la responsabilità dell’intero ciclo di vita dei loro prodotti, inclusi smaltimento e riciclo, attraverso un sistema di Responsabilità estesa del produttore (EPR) a livello globale.
Parallelamente, Quashie-Idun chiede il sostegno della comunità internazionale per sviluppare un’industria tessile sostenibile in Ghana, che possa non solo limitare il problema dei rifiuti, ma anche fornire nuove opportunità economiche al Paese.
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