Vasco fa rumore, Fogli vince: Sanremo ’82 minuto per minuto

Italia 1982: tra un Mondiale vinto e una crisi perenne

L’Italia vive di contrasti. Sul fronte politico, la Prima Repubblica è logora, ma ancora saldamente in piedi. Nelle case entra la tv commerciale, cambiano i ritmi, si moltiplicano i format. Infatti, il 13 settembre debutta su Canale 5 “Il pranzo è servito”, presentato da Corrado. Si tratta del primo gioco a quiz ad andare in onda nella fascia di mezzogiorno.

Ma è il calcio, più della politica, a unire il paese: l’estate 1982 è quella del Mundial vinto in Spagna, con Paolo Rossi eroe nazionale. Purtroppo, è anche l’anno della scomparsa di Gilles Villeneuve, poche ore dopo l’incidente tra la sua Ferrari e la March di Jochen Mass, durante le prove del Gran Premio del Belgio di Formula 1.
La musica cerca di tenere il passo con un pubblico che cambia gusti più in fretta dei governi: il 17 agosto viene prodotto il primo CD (Compact Disc)

Riccardo Fogli trionfa, ma la scena è di altri

A vincere, come ampiamente preannunciato dalla stampa dell’epoca, è Riccardo Fogli con “Storie di tutti i giorni”, una ballata malinconica che interpreta bene il clima emotivo del tempo: ordinaria, rassicurante, cantabile. Sul palco del Teatro Ariston si esibisce con l’accompagnamento, alla chitarra elettrica, del compianto Roberto Puleo.
Al secondo posto arrivano Al Bano e Romina Power con “Felicità”, brano che diventerà inno popolare, mentre Drupi si prende il terzo gradino del podio con “Soli”, una ballata intensa e trascurata troppo in fretta.

Da segnalare Anna Oxa con “Io no”, la meteora Stefano Sani con “Lisa”, il mai abbastanza celebrato Mario Castelnuovo con “Sette fili di canapa” e Fiordaliso “Una sporca poesia”.

Plastic Bertand e Lene Lovich (si, proprio loro) danno un tocco di internazionalità, partecipando alla gara rispettivamente con “Ping Pong” e “Blue Hotel”, senza però passare alla storia.

Sanremo 82 – Riccardo Fogli (Roberto Puleo chitarra solista) – “Storie di tutti i giorni”

Gli esordienti che cambieranno tutto (forse)

È l’anno in cui debutta un Vasco Rossi sfrontato e imprevedibile con “Vado al massimo”. Non c’è orchestra, l’esibizione è su base registrata, ma lui, a fine performance, compie un gesto destinato a entrare nella mitologia sanremese: infila il microfono nella giacca di pelle, nel tentativo di passarlo simbolicamente al concorrente successivo, Christian. Ma il filo è troppo corto (niente radiomicrofoni, siamo ancora nell’età analogica): il microfono cade rumorosamente a terra, provocando un botto che gela l’Ariston. Sanremo ha appena scoperto Vasco.

Con lui sul palco anche un altro esordiente: Zucchero Fornaciari, ancora senza “Sugar”, che arriva ultimo con “Una notte che vola via”. La canzone, anch’essa ordinaria, rassicurante e cantabile non decolla, ma la voce sì, e tornerà. Potente e ancor più graffiante.

Torna anche Mia Martini, dopo anni di silenzio imposti da pregiudizi assurdi. La sua “E non finisce mica il cielo”, scritta da Ivano Fossati, è uno dei momenti più alti di sempre: una dichiarazione di fragilità e forza insieme.
Non vince la gara ufficiale, ma riceve un riconoscimento storico: per la prima volta viene istituito il Premio della Critica, e lo vince lei.
Quel premio, negli anni a venire, verrà intitolato proprio a Mimì: un tributo a una voce che il tempo e la verità hanno finalmente risarcito.

Villa, Ravera, Frà Cionfoli e lo schiaffo alla tradizione

Ma la vera bomba mediatica arriva alla prima serata del Festival: viene escluso Claudio Villa, il reuccio della canzone italiana. La canzone “Facciamo la pace” è, a dire la verità, davvero brutta: lui non la prende bene, anzi, la prende malissimo e manda platealmente affanculo Gianni Ravera, storico organizzatore. Non contento, chiede spiegazioni alpatron sulle giurie che lo hanno estromesso, ma nessuno, né l’organizzazione né il Comune, sembra sapere nulla. La vicenda delle “giurie fantasma” finisce in tribunale: il reuccio ha persino la possibilità di bloccare il Festival il giorno stesso della finale. Solo la mediazione dell’assessore al turismo evita lo stop: in cambio Villa ottiene che un artista escluso dalla finale venga sorteggiato per esibirsi fuori gara. Il nome estratto è Michele Zarrillo che dovrebbe esibirsi con “Una rosa blu, ma, per non alimentare la polemica, le case discografiche lo fermano: lui non salirà mai sul palco, nonostante l’annuncio in diretta.

Scoppia la polemica anche attorno a Frà Giuseppe Cionfoli, frate francescano che partecipa con “Solo grazie”. La sua presenza divide: c’è chi la trova toccante, chi la considera fuori contesto, chi parla apertamente di “strategia spiritual-pop”. Poi c’è chi parla addirittua di “Ordine Cionfoliano” mettendo in discussione l’effettiva appartenenza di Giuseppe Cionfoli all’Ordine Francescano.

Sanremo 82: Frà Giuseppe Cionfoli . “Solo grazie”

Un Festival che non si capisce subito

È il Sanremo prima dei videoclip, prima dei social, ma anche l’ultimo Festival ingenuo, senza troppi filtri. I giovani non vincono, ma fanno rumore. I grandi si arrabbiano. Le canzoni provano a raccontare un’Italia reale, con voci nuove e vecchie glorie che non vogliono farsi da parte.

Sanremo 1982 è tutto questo: scontri, emozioni, scivoloni e riscoperte. È l’edizione che accende micce e cambia traiettorie, che scava un solco tra passato e futuro, e ci ricorda che anche nel pop ci sono gesti che fanno rumore per sempre.

“Perché (più che mai in questa edizione) Sanremo è Sanremo”, oppure, se preferite, sono semplicemente “Storie di tutti i giorni” come canta il vincitore Riccardo Fogli.

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Lele Boccardo
Lele Boccardo
(a.k.a. Giovanni Delbosco) Direttore Responsabile. Critico musicale, opinionista sportivo, pioniere delle radio “libere” torinesi. Autore del romanzo “Un futuro da scrivere insieme” e del thriller “Il rullante insanguinato”. Dice di sè: “Il mio cuore batte a tempo di musica, ma non è un battito normale, è un battito animale. Stare seduto dietro una Ludwig, o in sella alla mia Harley Davidson, non fa differenza, l’importante è che ci sia del ritmo: una cassa, dei piatti, un rullante o un bicilindrico, per me sono la stessa cosa. Un martello pneumatico in quattro: i tempi di un motore che diventano un beat costante. Naturalmente a tinte granata”.
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