La saponaria, detersivo d’altri tempi: l’erba più elegante, a conclusione delle Cariofillacee
Alla saponaria abbiamo riservato il compito di chiudere, qui sulle pagine di ZetaTiElle Magazine, il nostro breve approfondimento in merito alla famiglia botanica delle Cariofillacee. Abbiamo, infatti, cominciato con il fascinoso garofano e volevamo che a congedarsi fosse una pianta altrettanto raffinata. È stata catalogata come Saponaria officinalis L. e, nel nome latino, si nota subito l’aggettivo officinalis, attribuito solo alle specie più nobili e utili all’uomo.
Il genere Saponaria, invece, fa riferimento all’antico impiego non solo della radice ma anche delle parti aeree per lavare i tessuti. Questo dipende dall’alto contenuto di un glucoside tossico che abbiamo sempre incontrato, nelle ultime settimane, ossia la saponina. Tale sostanza è altamente solubile nell’acqua e forma una schiuma che emulsiona i grassi e scioglie resine e canfore, sgrassando la lana e ripulendo i tessuti.


Nel giardino delle manifatture inglesi e irlandesi
La saponaria è originaria dell’Europa meridionale e centrale. Si è a lungo discusso se nelle Isole Britanniche debba oppure no essere considerata specie autoctona. Riguardo all’Irlanda, possiamo senz’altro affermare che sia stata introdotta con la coltivazione. Il dubbio permane invece per la Gran Bretagna. In Inghilterra, in particolare, già nel Medioevo la saponaria veniva seminata presso i lanifici, per usarla nel trattare la lana. Quindi alcuni autori hanno ipotizzato che fosse una specie locale, per quanto rara, e per questo conosciuta sin dall’antichità. Lo stesso avveniva nei lanifici irlandesi, sebbene nell’Isola di Smeraldo il decotto di saponaria avesse pure un impiego più curioso.
Serviva, infatti, per ripulire periodicamente le macchine delle tipografie. Oggi continua a essere una pianta ornamentale, assai apprezzata per decorare i giardini. In inglese, il suo nome è soapwort, che significa “pianta del sapone” ma le sono stati attribuiti anche due soprannomi. Essi sono legati al fatto che è appariscente, con i grandi fiori rosati, e che svetta sopra le altre erbe di campo, agitandosi nel vento. Essi sono, dunque, Bouncing Beth, ovvero “Beth la vanagloriosa” e Tumbling Ted, che si traduce come “Ted lo scapigliato”. In lingua irlandese, è chiamata Garbhán creagach, che si traduce come “rozza e pietrosa”, non certo un complimento per un fiore tanto elegante.


Una piccola descrizione botanica
Si tratta di una pianta perenne ed erbacea che, quale habitat, predilige le valli fluviali, le rive pietrose dei torrenti e i campi incolti. Ha portamento eretto e può raggiungere gli 80 centimetri d’altezza. La radice è costituita da stoloni ipogei. Ha fusto rossiccio, glabro ma un poco pubescente, non molto ramificato. Le foglie opposte (disposizione tipica per le Cariofillacee) hanno forma ellittica e lanceolata, con margine intero e con 3-5 nervature salienti, lineari e parallele.
Le fitte infiorescenze sbocciano tra giugno e settembre e sono composte da singoli fiori piuttosto grandi, a cinque petali, di colore rosa tenue. Essi hanno un delicato profumo e aprono del tutto le corolle verso sera. Il frutto è una capsula allungata e sormontata da 4 denti, che contiene molti semi schiacciati, arrotondati e rugosi. Sebbene la saponaria sia una pianta piuttosto nota, vi consigliamo di identificarla in natura utilizzando sempre e comunque l’indispensabile strumento delle chiavi botaniche.


Impiego fitoterapico sotto controllo medico
Per la saponaria, la droga è costituita dalla radice, con importanti principi attivi. Oltre alle saponine, contiene un altro glucoside chiamato lattosina, mucillagini, zuccheri, grassi e sostanze resinose. Sarebbe un rimedio interessante per contrastare diverse patologie, se non fosse purtroppo anche tossico. Le saponine stesse sono efficaci espettoranti, in caso di catarro bronchiale.
È un buon diuretico, con azione antireumatica e antigottosa, disinfettante delle vie urinarie, aumenta la sudorazione ed è vermifugo. Giova in caso di adeniti, sifilide e nevrastenia. Detto questo, però, è assolutamente sconsigliata qualsiasi cura fai da te, perché è necessario usare la saponaria solo sotto stretto controllo medico.
Il decotto può, al contrario, essere più liberamente impiegato in uso esterno, per le affezioni cutanee. Basti pensare che i medici arabi medioevali ci curavano persino la lebbra! Serve per detergere eczemi, dermatosi e acne, come indicato ad esempio da Cazin. Frizionato sul cuoio capelluto, lo mantiene in situazione ottimale.


Qualche ricetta della nonna
Con il decotto di saponaria, possiamo anche lavarci i capelli, soprattutto se sono fragili o delicati. È adatto a persone che non tollerano gli shampoo industriali. Secondo la ricetta casalinga delle nostre nonne, occorrono 30 grammi di radice essiccata. Si fa bollire per circa 3 minuti in 3 litri d’acqua (un tempo, si preferiva quella piovana). Si lascia in infusione per una decina di minuti, si filtra e si recupera la radice di saponaria. Mentre il primo decotto raffredda, se ne prepara un altro, sempre con la stessa radice. Questa volta si fa bollire in un solo litro d’acqua, per almeno un quarto d’ora. Si filtra di nuovo e si versa nel recipiente in cui abbiamo conservato il precedente liquido, mescolandoli insieme.
Oltre ai capelli, questo decotto casalingo serve anche a detergere la biancheria, le camicie di seta, i pizzi, i merletti e qualsiasi altro capo delicato. Basta immergervi i tessuti per mezz’ora, strofinarli leggermente e poi sciacquarli in abbondante acqua tiepida. Esistono comunque in commercio prodotti già pronti, a base di saponaria, come detersivi, shampoo e persino paste dentifricie.


Foto copertina di Kerstin Riemer da Pixabay
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