Scudetto al Napoli, gioia in tavola: cosa mangiare in Campania tra pizza, dolci, formaggi e un Sud che conquista col sorriso.
Domenica 25 maggio 2025. Il Napoli vince il suo quarto scudetto e tutta la città esplode in un’esultanza che va ben oltre il calcio. Quartieri illuminati, cori nelle piazze, bandiere dai balconi e tavolate. Sì, perché a Napoli, e in tutta la Campania, la felicità si condivide soprattutto a tavola. È questo il motivo per cui, questo mese, la nostra rubrica Food & Drink fa tappa qui. Non solo per celebrare un successo sportivo, ma per raccontare una regione che ha fatto della cucina la sua bandiera più amata e riconoscibile nel mondo.
La Campania è emozione pura: nei piatti, nei sorrisi, nei profumi che escono da una finestra aperta a Posillipo o da una friggitoria nei vicoli di Salerno. È un luogo dove mangiare non è un’azione, ma un rito collettivo, un fatto identitario. E in questo momento storico, con la città in festa, sembra il momento perfetto per esplorare e assaporare tutto ciò che questa terra offre.
La Campania: dove il cibo è geografia, storia e identità
La Campania è una regione che si racconta prima ancora di sedersi a tavola. Stretta tra il Mar Tirreno e l’Appennino meridionale, ospita alcuni tra i paesaggi più iconici d’Italia: la costiera amalfitana con i suoi limoneti a picco sul mare, il Vesuvio che domina Napoli e la fertile pianura del Sele. Questo territorio così variegato si traduce in una biodiversità straordinaria: pomodori che sanno di sole, limoni profumati, uliveti secolari, latticini famosi in tutto il mondo e, naturalmente, il pesce fresco delle coste.
Il clima mediterraneo, mite in inverno e caldo d’estate, ideale per coltivazioni pregiate, fa della Campania una delle regioni più fertili d’Italia che, in cucina, ha saputo mescolare, nei secoli, influenze contadine, aristocratiche e marinare.
Infatti, qui ogni pasto è un racconto. Non si tratta solo di mangiare, ma di entrare in contatto con una cultura che da secoli fonde natura, ingegno umano e ospitalità. Questa è una terra che si estende dal litorale tirrenico fino alle pendici degli Appennini, con un paesaggio che cambia volto in pochi chilometri: le vigne dell’Irpinia, i campi fertili del Casertano, la costa profumata di limone di Amalfi, le colline assolate del Cilento. Qui la natura è generosa, ma non basta: la mano dell’uomo ha trasformato questa generosità in eccellenza gastronomica.
Una terra tra mare, vulcani e colline
Il suolo vulcanico del Vesuvio è ricco di minerali e conferisce a frutta e ortaggi un sapore unico. Le coltivazioni locali hanno fatto la storia: dal pomodoro San Marzano al carciofo di Paestum, passando per gli agrumi di Sorrento e i fichi bianchi del Cilento.
Dalla mozzarella di bufala DOP prodotta nella zona di Caserta e Battipaglia, fino all’olio extravergine delle colline salernitane, ogni ingrediente in Campania ha una storia da raccontare. Questa è la regione che ha dato al mondo la pizza, ma anche uno stile di mangiare conviviale, festoso, profondo. In Campania, sedersi a tavola significa celebrare.
E quando la materia prima è così ricca, la cucina non può che essere un inno alla semplicità e al sapore che trae ispirazione principalmente da due ingredienti “regali”.
Sua Maestà il Pomodoro: il re della cucina campana
Se c’è un prodotto che domina — per gusto, storia e versatilità — la cucina campana, è il pomodoro. In particolare, il San Marzano, coltivato alle pendici del Vesuvio, riconosciuto come DOP e considerato da molti lo standard aureo del pomodoro da sugo. Allungato, polposo, con pochissimi semi e un’acidità contenuta, il San Marzano è la base del ragù napoletano, delle pizze veraci e delle conserve artigianali che riempiono le dispense da generazioni.
Ma non è l’unico. I pomodorini del piennolo del Vesuvio, piccoli e appuntiti, vengono conservati ancora a grappolo, appesi a testa in giù, come si faceva una volta. Con la loro buccia spessa e il sapore deciso, resistono a lungo e regalano piatti invernali dal gusto estivo. Il pomodoro in Campania è presenza quotidiana, affettiva, insostituibile. Nessuno sa trattarlo come qui: si coltiva, si seleziona, si trasforma e si rispetta. Ogni sugo è un atto d’amore.
Mozzarella di bufala: la Regina di un’arte casearia che il mondo ci invidia
È bianca, lucente, avvolgente. Ha una consistenza elastica che si spezza in lacrime di latte, e un profumo di pascoli e sale. La mozzarella di bufala campana DOP è molto più di un formaggio: è il simbolo di una cultura. Si produce nelle province di Caserta, Salerno e parte di Napoli e Benevento, dove le bufale vengono allevate con attenzione e rispetto. Il loro latte, ricco di proteine e grassi, è lavorato secondo tecniche antichissime, tramandate nelle famiglie dei casari.
La filatura della pasta avviene in acqua bollente, manualmente, finché non si ottiene una consistenza perfetta. Poi si “mozza” con le mani (da qui il nome), in gesti rapidi e precisi. Ogni giorno, la mozzarella viene realizzata fresca, senza conservanti, e va consumata in poche ore per goderne pienamente. Quella vera, appena fatta, “scoppietta” sotto i denti. È un alimento vivo, fragile, sublime. Servita con un filo d’olio, accompagnata da pomodori e pane cafone, è una delle massime espressioni della cucina mediterranea.


I primi piatti campani: un culto quotidiano
In Campania, la pasta è una religione. La tradizione vuole che ogni formato abbia un condimento perfetto e che il sugo venga “tirato” con maestria. Non è il sugo veloce che si fa la sera, ma un’opera lunga, da domenica mattina, che coinvolge tutta la casa con il suo profumo. Tra i protagonisti assoluti, I paccheri, larghi e porosi, ne sono il formato più amato. Al secondo posto, ci sono gli spaghetti alla puttanesca, con olive nere, capperi e pomodoro. Diversificando un po’, non si può non parlare di gnocchi alla sorrentina, cotti al forno con mozzarella filante e tanto basilico: un piatto che profuma d’estate.
In Campania i primi piatti non sono solo “primi”: sono protagonisti. La genovese (che non ha nulla a che vedere con Genova: è un sugo di cipolle e carne), con cipolle stufate fino a diventare crema e carne sfilacciata, è un altro classico napoletano sottovalutato altrove ma amatissimo in Campania.
Da non perdere anche la pasta e patate con provola, regina delle tavole partenopee, cremosa, affumicata, avvolgente, un piatto povero diventato iconico. Ogni primo in Campania è figlio del territorio e della creatività popolare. Non si spreca nulla, ma tutto si sublima
Secondi di terra e di mare: tra semplicità e sapienza
Qui si mangia di cuore e con generosità. La cucina campana alterna con disinvoltura il pesce dei Golfi e le carni dell’entroterra. Sulle coste, tra i piatti più tipici troviamo il baccalà alla napoletana, cucinato con olive nere, capperi, pomodori e tanto amore. Se cercate il trionfo del palato, le alici di Cetara, spesso marinate o fritte, e lqa zuppa di cozze preparata con pomodori e peperoncino, sono assolutamente da non perdere. La varietà è sorprendente e ogni litorale custodisce una sua specialità.
Ma è nel mondo contadino che emergono i piatti di sostanza, quelli che raccontano le stagioni e la vita quotidiana. Come le polpette al sugo, tenere e aromatiche, o la carne alla pizzaiola, cotta nel sugo con aglio e origano.
Tipici anche il coniglio all’ischitana, profumato con vino bianco e pomodorini del piennolo, e il casatiello, torta rustica salata ripiena di salumi e formaggi, che da piatto pasquale è diventata street food tutto l’anno. In Campania i secondi non sono mai banali: raccontano storie di stenti e creatività, di feste di paese e domeniche in famiglia.
Non può mancare la carne alla pizzaiola, tenera, immersa in un sughetto profumato di aglio e origano. E poi le polpette al sugo, fatte con pane raffermo, carne macinata e pecorino: semplici, genuine, irresistibili, o il celebre casatiello, ciambella salata ripiena di salumi e formaggi, tipica della Pasqua ma consumata tutto l’anno. I secondi qui sono un inno alla convivialità.
Mozzarella, ricotta e caciocavallo: i formaggi campani
Non si può parlare della Campania senza aprire un capitolo sui suoi formaggi. La Campania è una terra dove il latte diventa poesia. Non c’è solo la celebre mozzarella di bufala: il patrimonio caseario della regione è ricco, variegato e profondamente radicato nella tradizione rurale. Ogni formaggio racconta un paesaggio, una stagione, un modo antico di fare le cose bene. Nei Monti Lattari si produce una provola affumicata che sprigiona aromi antichi.
Partiamo dal Caciocavallo. C’è quello Silano e quello podolico. Entrambi sono formaggi a pasta filata stagionato, dalla forma inconfondibile “a pera” e dal sapore pieno, che diventa via via più deciso con l’invecchiamento, ma la differenza è sostanziale. Per produrre il caciocavallo podolico, la cagliata viene rotta in granuli finissimi, quasi come chicchi di riso e viene stagionato in grotta. Nel caso del Silano, invece, i pezzi restano più grandi, simili a nocciole. Perché questa differenza? Più i frammenti sono piccoli, più siero si perde: il risultato sarà una pasta più asciutta e compatta. È un gioco di equilibrio tra consistenza e sapore, tutto nelle mani esperte dei casari.
Da non dimenticare il caciocavallo affumicato, spesso preparato artigianalmente in piccoli caseifici di montagna, che conquista per il suo profumo inconfondibile e la sua anima robusta.
C’è poi il Provolone del Monaco, prodotto in penisola sorrentina: un formaggio semiduro e sapido, che prende il nome dal mantello con cappuccio (simile a quello dei monaci) che i casari indossavano per proteggerlo durante il trasporto a Napoli. Ha un profumo intenso e una pasta compatta, ideale da abbinare ai vini rossi locali.
Il Bebé di Sorrento, piccola delizia a pasta filata, si presenta come una mini-provola dolce, avvolta in un sapore burroso e morbido.
Ma è con i prodotti caseari di bufala che gli occhi lacrimano di piacere.
La Ricotta di Bufala, meno famosa della mozzarella ma altrettanto speciale, è cremosa, delicata e perfetta sia dolce che salata. Usata nei ripieni, nei dolci o anche da sola con un filo di miele, è una vera coccola. Ma c’è anche la ricotta di fuscella, dolce e leggera, è l’ingrediente base di molti dolci iconici.
I bocconcini di bufala, i burrini con il cuore di burro, e la più rustica burrata campana, completano un panorama caseario che non ha nulla da invidiare ad altre regioni italiane.
In Campania il formaggio non è solo un ingrediente: è il risultato di una cultura fatta di gesti tramandati, mungiture all’alba, pascoli soleggiati e tanta, tantissima passione.
Dolci campani: tra sacro, profano e pasticcerie leggendarie
La Campania ha probabilmente la pasticceria più famosa d’Italia, e non a caso.
Si dice “vedi Napoli e poi muori”, ma mentre siete ancora “vivi” e siete a Napoli, è obbligatorio (altrimenti non vi fanno ripartire) assaggiare la vera sfogliatella: riccia o frolla, croccante fuori e cremosa dentro, è una meraviglia barocca. Nella sua versione riccia o frolla, richiede mani esperte: strati finissimi di pasta ripieni di semolino, ricotta, zucchero, canditi e aromi. Il babà, imbevuto di rum, ha conquistato palati in tutto il mondo.
E poi ci sono le zeppole di San Giuseppe, la delizia al limone tipica della costiera, e i mostaccioli natalizi. La dolcezza, qui, non è solo gusto: è parte della cultura dell’ospitalità.
Ma la regina è lei: la pastiera napoletana, dolce pasquale fatto con grano, ricotta, canditi e profumo di fiori d’arancio. Ogni morso è un viaggio nella cultura partenopea.


Vini, limoncello e falanghina: il brindisi finale
La Campania è terra di sole, fuoco e uve antiche. La sua tradizione vinicola è millenaria, ma per troppo tempo è rimasta in ombra rispetto ad altre regioni. Eppure, chi ha avuto la fortuna di bere un bicchiere di Taurasi o di Fiano di Avellino lo sa: qui si producono vini straordinari, profondamente legati al territorio.
Il Taurasi, rosso austero e complesso, nasce dal vitigno Aglianico, coltivato su terreni vulcanici in provincia di Avellino. È un vino che invecchia bene, che sa di bosco, di spezie, di terra e tempo. Viene spesso paragonato al Barolo per struttura ed eleganza.
Tra i bianchi, tre nomi brillano: Fiano di Avellino, Greco di Tufo e Falanghina. Il Fiano è aromatico e fine, con note di nocciola e agrumi. Il Greco, più minerale e teso, ha una storia che risale all’antica Grecia. La Falanghina, fresca e profumata, è perfetta con piatti di mare, mozzarelle e verdure estive.
Ma c’è di più: in ogni zona della Campania si trovano piccole cantine, produzioni biologiche, vitigni autoctoni da riscoprire. Dal Per’e Palummo dell’isola d’Ischia al Biancolella, dai vini vulcanici dei Campi Flegrei fino al Lacryma Christi del Vesuvio, la Campania offre un panorama enologico ricco e sorprendente.
Bere vino qui non è solo un abbinamento gastronomico: è un modo per ascoltare il territorio, per sentirne la voce profonda. E una visita in Campania non può dirsi completa senza un calice di vino locale al tramonto, magari con vista sul mare.Il vino campano ha un’anima vulcanica.
Mensione a parte per il limoncello, che non è un vino ma un liquore a base di scorze di limoni di Sorrento, raccolti a mano e lasciati macerare nell’alcol. Dolce e profumatissimo, preparato spesso in casa, servito ghiacciato a fine pasto, è un gesto d’accoglienza che racconta lo spirito campano.
Napoli: cuore della cucina campana
La cucina napoletana non è solo cibo, è teatro. È vociare allegro, è tavola imbandita, è la pizza che nasce nei vicoli e arriva in tutto il mondo.
Parlare di cucina campana senza dedicare un paragrafo a Napoli sarebbe una mancanza imperdonabile. Qui il cibo è cultura di strada e di famiglia, è spirito partenopeo, è passione. La pizza napoletana, con il suo cornicione alto e l’impasto lento. è Patrimonio dell’Umanità UNESCO. Ma Napoli è anche pasta e patate con la crosta, pizze fritte, zuppa di soffritto, friarielli, melanzane a funghetto e tanto altro.
Napoli è la città dove il cibo diventa identità. E’ un abbraccio. Accoglie, sfama, consola. Si basa su una regola semplice: con poco si fa tanto, basta che ci sia amore. E infatti, ogni piatto racconta una storia di famiglia, di quartiere, di popolo.
E quale piatto racconta al meglio questa storia straordinaria?
La pizza: simbolo di Napoli, patrimonio dell’umanità
C’è un momento preciso in cui Napoli smette di essere solo una città e diventa un’idea, un profumo, un morso: è quando si parla una pizza appena sfornata. Il suo profumo caldo, la mozzarella che fila, il basilico fresco adagiato come una firma. La pizza qui non è un piatto. È un’istituzione. È la voce di un popolo che ha fatto dell’arte bianca una religione.
Nata tra le vie dei quartieri popolari e poi cresciuta tra forni a legna e mani infarinate, la pizza napoletana è oggi patrimonio UNESCO. Una pizza “vera” si riconosce a occhio nudo: bordo alto, soffice e alveolato; base sottile ma resistente; cottura lampo, 60-90 secondi in un forno a legna che raggiunge i 450°C. Ingredienti semplici e locali: farina, acqua, lievito madre, pomodoro San Marzano, mozzarella di bufala o fior di latte, basilico fresco.
Nulla di più, nulla di meno. Ma è la cura, il gesto, la tradizione a fare la magia.
Ogni pizzeria storica custodisce una ricetta segreta, un lievito madre tramandato, una filosofia che va oltre il cibo. C’è chi impasta a mano, chi lascia lievitare per 36 ore, chi cuoce solo con legna d’ulivo. Ma tutti, dai Fratelli Salvo a Sorbillo, da Di Matteo a Concettina ai Tre Santi, hanno lo stesso obiettivo: l’eccellenza.
Tra le pizze più amate, la Margherita, dedicata alla regina d’Italia nel 1889, è ancora oggi la regina indiscussa. La Marinara, solo pomodoro, aglio e origano, è la preferita dai puristi. Ma ogni forno racconta una storia diversa: dalla pizza fritta delle strade di Montesanto alle varianti gourmet che reinventano la tradizione.
Mangiare una pizza a Napoli è un atto sociale: si fa la fila, si chiacchiera, si condivide. E quando arriva, la si divora con le mani, magari piegata a portafoglio, camminando tra Spaccanapoli e i Quartieri Spagnoli. Perché in Campania, e a Napoli in particolare, la pizza non è solo cibo. È casa, festa, orgoglio.


A tavola, la Campania si fa sentimento
La Campania non si racconta: si vive, si assaggia, si respira. Mangiare qui è molto più che nutrirsi: è entrare in un mondo che celebra la vita attraverso il cibo. Dai contadini dell’entroterra ai pescatori del Golfo, dalle nonne che impastano a mano ai giovani pizzaioli che innovano senza dimenticare, questa regione ha fatto del cibo la sua lingua madre. E chiunque arrivi, turista, viaggiatore, curioso, viene subito accolto con un sorriso, perché mangiare in Campania significa fare un viaggio dentro l’anima del Sud Italia. È una regione che ti sorride con il cibo, ti accoglie con un piatto caldo e ti saluta con un dolce in mano.
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