Grazie Filippo. Ti ringrazio subito, come è giusto che sia. Grazie per avermi riportato indietro nel tempo, tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ‘80, quando, da speaker radiofonico alle prime armi, ho scoperto, grazie a una chiacchierata con tuo papà Ivan Graziani, quello che avrei voluto fare da grande.
È stato un ritorno al futuro, vederti su quel palco, a Finale Ligure (SV), con la chitarra a tracolla, insieme alla band, cantare quelle canzoni che sono state la colonna sonora della mia vita. Canzoni nelle quali mi riconoscevo allora, e nelle quali mi sono riconosciuto adesso, più di quarant’anni dopo.
E la mente è andata quasi automaticamente a quel concerto a Torino, nel settembre del 1981, alla Festa Nazionale dell’Unità, che verrà documentato nel live “Parla tu”, probabilmente il più bel concerto di Ivan.
Già, il 1981, l’anno in cui sei nato tu.
Per gli amici tour
Lo ammetto, ero curioso e un tantino diffidente, del resto Ivan non si tocca, almeno per quanto mi riguarda. Ma sono bastati due, ma proprio due, accordi di chitarra per sciogliere ogni dubbio, ogni riserva.
“TV”, che apre lo show, tratta dall’album postumo “Per gli amici”, definito dallo stesso Filippo “L’ultimo album di Ivan Graziani” è il primo di una lunga serie di colpi al cuore.
Un repertorio ricco di classici, una musica vibrante ed energica, che fonde rock e melodia in maniera perfetta. Le affascinanti e surreali storie di provincia di Ivan riescono ancora una volta a coinvolgere tutti, grazie a quel modo unico e originale di scrivere canzoni del padre, personalizzato e intimizzato dal figlio.
Si, perché Filippo si diverte spesso a stravolgere gli intro, con arpeggi e svisate di gran classe, ha avuto un buon maestro, evidentemente, per poi reinterpretare pezzi classici e nuovi. Chiudendo gli occhi, sembra di risentire Ivan, sia per la voce che per la timbrica della chitarra, e l’effetto è devastante.
Non sentivo da una vita “Veleno all’autogrill” e “Modena Park” in versione live, “Sabbia del deserto” è stata una stilettata mica da ridere e “Maledette malelingue”, presentata in versione quasi country, ha dato il giusto valore a una canzone mai abbastanza celebrata.
“Lugano addio” e “Agnese” fanno scendere i lucciconi a chi adesso ha i capelli quasi bianchi, o a chi i capelli li ha persi da tempo. Unite a “L’Italianina” e “Per gli amici”, dal nuovo album, dimostrano ancora una volta come il tempo non sia affatto passato. Un perfetto crossover tra passato, presente e futuro.
Momento più alto dello show, almeno a mio parere, “Fuoco sulla collina”, la mia canzone preferita da sempre e per sempre, che descrivo con un unico aggettivo: lancinante.
Ma c’è soprattutto tanta energia in questo show: “Doctor Jeckill e mister Hyde”, “Il chitarrista” e naturalmente “Monna Lisa” infiammano la piazza finalese come ai vecchi tempi.
Sul secondo assolo di “Monna Lisa”, ho sperato in una virata su “Digos Boogie”, proprio come nel live “Parla tu”. Ma il giro di chitarra è servito a presentare la band. Pazienza.
“Pigro”, sempre attuale, chiude la prima parte del concerto, ma è subito tempo di “encores”. Due sole canzoni: “La canzone dei marinai”, proposta anche da Colapesce Dimartino, che cantata in riva al mare diventa qualcosa di indescrivibile, seguita da “Firenze (canzone triste)”. E sono altri lucciconi, altri ricordi, altri brividi lungo la schiena.
Lo confesso: mi ci è voluta una buona mezz’ora per riprendermi, appoggiato alla transenna, una sigaretta dietro l’altra. Grazie Filippo.


No musicians no show
La band che accompagnava Ivan da qualche anno, e soprattutto nel 1981, era composta da: Gilberto “Attila” Rossi alla batteria. Maurizio “Pastrocchio” Lucantoni alle tastiere, Fosco Foschini al basso e Daniele Angelini alla chitarra. Una band affiatata, musicisti sontuosi, che riuscivano ad assecondare il leader in tutto e per tutto.
Quarantatré anni dopo vale lo stesso discorso: Tommy Graziani alla batteria (primogenito di Ivan), Stefano Zambardino alle tastiere. Francesco Cardelli al basso e Massimo Marches alle chitarre, fondono perfettamente suoni e feeling con il capo orchestra (per dirla alla “Nino Dale”).
Ma il merito maggiore di questa band è soprattutto quello di riuscire a riprodurre proprio “quei” suoni, quelli originali dell’epoca, in maniera perfetta. Senza computers, senza “sequenze”, che una volta si chiamavano basi preregistrate, tutto rigorosamente dal vivo. E senza rinunciare a quel tocco personale, diciamo pure “moderno”, che si è rivelato un valore aggiunto.
Come ha sottolineato lo stesso Filippo dal palco: “Siamo persone umane che suonano questi strumenti. Stanno cercando di mandarci in pensione, ma col cazzo che ci andremo. Non ci prenderete mai”.
Da un punto di vista strettamente nostalgico, manca la mitica Gibson ES-345 Stereo da cui Ivan non si separava mai. Filippo la sostituisce con una Fender Stratocaster e una Gibson Les Paul, ma il risultato rimane il medesimo. Figlio di cotanto padre, anche nel ringraziamento al pubblico. Quel “troppo buoni“, tipico di Ivan, detto con semplicità e quasi con timidezza, mi è rimbombato nelle orecchie per tutta la notte.
Rock’n’Roll will never die.
In memoria di Massimo Cotto.
Le foto sono di Tina Rossi PH.
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