Il lamio, le Labiate e le Lamiacee
Il lamio ha tutte le caratteristiche proprie della famiglia delle Labiate, cui appartiene. Anzi, siccome viene considerato la Labiata per eccellenza, la famiglia botanica ha preso il secondo nome di Lamiacee. Scopriremo insieme, negli articoli dei prossimi mesi, che spesso le famiglie botaniche hanno più nomi. Di solito, c’è quello che si riferisce a una caratteristica tipica del fiore e quello che ne mette in evidenza la specie più rappresentativa.


È il caso del lamio, che ha la corolla che ricorda una bocca a due labbra (da qui il termine Labiate). Inoltre, rappresenta una sorta di paradigma per la sua stessa famiglia, avendone tutte le peculiarità. È stato catalogato come Lamium album L. perché ha i fiori bianchi. Ma c’è la specie affine del Lamium purpureum L., dai fiori che variano dalla porpora al rosa. Il sostantivo lamio deriva, invece, da una parola greca che significa “gola” o “cavità” a indicare la conformazione del fiore. Ha pure il nome popolare di ortica bianca, perché le sue foglie ricordano quelle dell’ortica, senza avere ovviamente i peli urticanti.


Un piccolo ritratto botanico
Si tratta di una pianta erbacea perenne, dal rizoma strisciante ramificato, assai diffusa in Europa e in Asia. Come habitat, predilige i prati umidi, incolti e cespugliosi. Forma gruppi di molti esemplari, con i fusti eretti, a sezione quadrangolare, che raggiungono anche i sessanta centimetri d’altezza. Le foglie sono opposte, picciolate, ovato-cuoriformi, appuntite all’apice, con il margine dentato e di colore verde brillante.


I fiori, che sbocciano tra aprile e ottobre, sono riuniti in verticilli – che ne contengono sino a otto – all’ascella delle foglie. Sono bianchi, piuttosto grandi, con la corolla bilabiata, dal labbro superiore a forma di cappuccio e il labbro inferiore trilobo, con il lobo mediano più ampio. La sua conformazione aiuta l’ingresso dei bombi, che sono i principali insetti impollinatori della specie. Il frutto è composto da quattro semi, che sono acheni prismatici, trigoni e lisci. Per riconoscere il lamio in natura occorre sempre ricorrere al valido supporto delle chiavi botaniche.


L’arcangelo medioevale
A Caltanissetta, l’8 maggio 490, avvenne un fatto prodigioso. L’arcangelo Michele apparve a un monaco e promise che avrebbe sempre custodito la città. Quest’apparizione era ritenuta assai importante in epoca medioevale, tanto che la festa dell’arcangelo Michele, allora, cadeva proprio in tale data. Oggi, al contrario, nel calendario liturgico della Chiesa Cattolica ricorre il 29 settembre, in cui si celebrano anche gli altri due arcangeli Gabriele e Raffaele.
Solo a Caltanissetta e in pochi altri Comuni italiani permane la tradizione di far festa sia l’8 maggio sia il 29 settembre. Leggendo queste righe, vi starete chiedendo che cosa c’entra l’arcangelo Michele con il nostro lamio. C’entra al punto che, nel Medioevo, il lamio era soprannominato… arcangelo! Sì, perché verso l’8 maggio era in piena fioritura, con i prati che si vestivano di piccole corolle bianche e profumate. Questo spettacolo, nelle campagne, accompagnava le processioni dei fedeli verso le cappelle dedicate a san Michele. E le contadine preparavano zuppe e frittate a base di lamio, da mangiare in famiglia. Non solo, troviamo il lamio riprodotto in arazzi e tappezzerie che risalgono all’epoca della famiglia reale francese dei Valois. E questo succedeva perché i Valois avevano scelto san Michele arcangelo come loro protettore.


L’ortica morta irlandese
In Irlanda, il lamio non è specie autoctona, come pure il marrubio e la ballota, di cui vi abbiamo parlato di recente. Proviene dalla vicina Inghilterra e, per tale motivo, è maggiormente diffuso lungo la costa orientale dell’Isola di Smeraldo. Le hanno dato il nome gaelico di Caochneantóg bhán, ma è assai più nota con l’espressione inglese White Dead-nettle, che si traduce letteralmente come “bianca ortica morta”.
Per gli irlandesi è, quindi, l’ortica morta, nel senso che non è attiva come l’ortica vera e propria, per l’assenza dei peli urticanti. Quando la patata divenne l’alimento principale per gli irlandesi, si aggiungeva spesso il lamio nella cottura, affinché rendesse più sapidi i tuberi. Ancora oggi, in campagna, viene cucinato in zuppe che, pare, migliorano l’umore di chi le mangia. All’inizio del XVII secolo, infatti, il gesuita erborista inglese John Gerard scrisse parole di elogio sulla virtù del lamio di rallegrare gli animi. “It is a plant to make the heart merry, to make a good colour in the face and to refresh the vital spirits”.


Gli interessanti principi attivi del lamio
Questa Labiata non è oggi tra le piante più usate in fitoterapia, non quanto altre sue parenti più note, come ad esempio molte erbe aromatiche. Eppure ha principi attivi di tutto rispetto. La droga è costituita dai fiori raccolti in piena fioritura e poi essiccati. Contiene un glucoside idrolizzabile per azione dell’invertina, una saponina acida, l’alcaloide lamiina, olio essenziale, tannini, mucillagine, ammine, acido gallico, sali di potassio e flavonoidi. Da ciò deriva l’azione benefica come vasocostrittore, antiinfiammatorio, depurativo, febbrifugo, astringente e tonico uterino.
I medici naturalistici lo prescrivono in caso di mestruazioni dolorose, amenorrea, cistite, prostatite, diarrea, vene varicose ed emorroidi. La tisana casalinga si prepara come bevanda alimentare mettendo due cucchiai rasi di fiori essiccati in mezzo litro d’acqua fredda. Si porta a bollore, si spegne e si lascia in infusione per una decina di minuti. Si filtra e si dolcifica a piacere. Si beve lungo la giornata, come se fosse un tè che, oltre a farci bene, ci rende felice il cuore, secondo l’intuizione di John Gerard.


Per chi vuole approfondire il marrubio e la ballota citati nell’articolo può cliccare sui titoli qui sotto
Il marrubio, l’erba amara che negli States aggirò il proibizionismo