Il noce, regale esponente dell’almanacco medioevale di ottobre

Il noce, amato e odiato in epoca medioevale

Il noce era annoverato tra le piante d’ottobre, nell’almanacco medioevale, ed era un alimento importante sulla tavola dei contadini. Nelle campagne, gli alberi ne offrivano spontaneamente i frutti che, riposti in dispensa, si conservavano a lungo. I monaci questuanti li chiedevano per i poveri, passando di casa in casa, perché tutti avevano qualche noce da offrire a chi era meno fortunato. Nelle cucine dei ceti sociali più abbienti, le noci diventavano l’ingrediente ricercato per preparare piatti elaborati. Come il coudrée aux noix, che si diffuse anche in Irlanda all’epoca dell’invasione anglonormanna (maggio 1169). Si trattava di una crema molto nutriente che si serviva calda o fredda, a base di gherigli di noce, latte, zucchero, farina di riso e zenzero.

mucchio di noci

Tuttavia i medici medioevali tendevano a sconsigliare il consumo di noci perché ritenute poco salutari, anzi, “dannose per il corpo e dure da digerire”. Secondo la Scuola Salernitana, era permessa una sola noce prima dei pasti, due nuocevano e tre erano addirittura letali! E secondo i medici arabi, era necessario lavarsi bene la bocca, dopo aver mangiato noci, per evitare che marcissero e cadessero i denti. Queste convinzioni negative erano motivate soprattutto da alcune credenze del tempo.

In Francia si riteneva che non si potesse abitare in una casa le cui fondamenta si fossero trovate sulle radici di un noce. Nel XIII secolo, a Benevento, la popolazione era terrorizzata da un noce di cui si era impossessato il diavolo. Per questo motivo, il vescovo Barbato fu costretto a farlo abbattere, sostituendolo con una chiesetta dedicata alla Madonna.

foglie di noci verdissime con riflessi di raggi solari

Ci furono per fortuna voci autorevoli che smentirono la tossicità delle noci, come quelle di Ildegarda di Bingen e di Alberto Magno. Nel XIV e nel XV secolo, il gheriglio era prescritto per il fegato e per le dermatosi e le foglie contro la gotta. La scorza  (mallo) che avvolge la noce s’impiegava per eliminare i vermi intestinali e, siccome è ricca di tannini, per conciare le pelli.  Essiccata e ridotta in polvere, serviva per tingere di bruno i tessuti. Infine, con la rinascimentale teoria dei segni, il noce venne del tutto riabilitato perché il suo gheriglio assomiglia al cervello e pareva essere utile per curare le malattie mentali.

interno di una noce

L’Albero dei Re, secondo i popoli antichi

L’origine del noce è antichissima, con tracce che risalgono al Miocene (tra i 18 e i 12 milioni di anni fa). E il noce attuale, quello che conosciamo come Juglans regia L. della famiglia delle Juglandacee, compare nei primi insediamenti umani del Paleolitico. Per i greci, era il cosiddetto Albero dei Re, in quanto introdotto dai sovrani di Persia, dove era giunto dall’Himalaya, passando per l’India. E da qui deriva l’aggettivo regia del nome latino. Juglans corrisponde alla “ghianda di Giove”, ossia Jovis glans dei romani. Dioscoride trovava le noci utili solo per indurre il vomito. Ma le accusava di provocare il mal di testa, di peggiorare la situazione di chi aveva la tosse e di causare addirittura il colera!

tronco grigiastro con rami spogli che si innalzano verso un cielo azzurro

L’arrivo del noce nel mondo celtico

Furono i romani a portare il noce prima in Bretagna e poi nelle Isole Britanniche. In realtà, essi non conquistarono mai l’Irlanda, ma è provato che ci fu un fiorente commercio tra l’Isola di Smeraldo e Roma. Secondo la tradizione romana, che prevedeva il lancio di noci da parte di un novello sposo, nel mondo celtico nacque un indissolubile legame tra questi frutti e il matrimonio. In Bretagna, le ragazze in età da marito portavano noci nelle tasche del grembiule. Se uno spasimante riusciva a sottrarle all’amata, significava che sarebbe stata gradita una sua domanda di matrimonio. In Irlanda, c’è un detto che si tramanda da secoli e che è tutt’altro che gentile:

A woman, a dog and a walnut tree,
The more you beat them, the better they be.

Perché pare che picchiando una donna, un cane e un noce, essi migliorino. Non siamo affatto d’accordo, ma riportiamo fedelmente la tradizione.

Tuttavia, questo ci fa comprendere che qui il noce non è mai stato amato quanto il nocciolo.

Se i frutti di entrambe le piante simboleggiano prosperità e abbondanza, il noce è un albero più ambiguo, che nasconde malefici. In lingua irlandese, è chiamato crann gallchnó, espressione in cui crann significa “albero” e cnó vuol dire “noce”. Ma non è una noce qualsiasi, bensì una noce estranea, perché la parola ha il prefisso gall usato appunto per indicare gli stranieri. E come tutto ciò che non è autoctono, inevitabilmente viene guardato con sospetto.

piccole noci che maturano su un ramo

Nelle contee costiere, i marinai e i pescatori si rifiutavano di caricare noci a bordo delle loro barche. Erano infatti convinti che questo avrebbe attirato terribili tempeste sulla loro rotta. D’altronde, gli allevatori di cavalli apprezzavano la sua virtù di tenere lontani gli insetti. Per questo motivo, in estate spargevano foglie di noce sul pavimento delle scuderie e portavano spesso i loro purosangue a riposare all’ombra dei noci. Prima delle gare, i fantini strigliavano i cavalli con il macerato delle foglie.

bellissimo panprama con sullo sfondo una grande pianta dinpci con davanti un prato e dietro montagne innevate

Funeste tradizioni germaniche

Se nel folclore irlandese qualche vantaggio si trae anche dal noce, in quello germanico esso è solo un albero maledetto, che reca sventura. Il noce rappresenta le tenebre e tutto ciò che trama nel buio, contrapposto alla luce radiosa della quercia. Un tempo, era diffusa la credenza che soltanto maghi e streghe avrebbero potuto addormentarsi all’ombra di un noce. I buoni cristiani, al contrario, se avessero fatto lo stesso, si sarebbero ammalati e una misteriosa febbre sarebbe stata loro fatale.

Ai bambini si raccomandava di non arrampicarsi sui noci perché, se fossero caduti da lassù, sarebbero senz’altro morti. Il noce era temuto pure per una sua strana caratteristica. È l’unica pianta che non attira i fulmini, forse perché in grado di generare un campo repulsivo della conducibilità elettrica.

due alberi di noce in un prato con cielo azzurro e nuvole

Descrizione botanica essenziale

Il noce è un albero che può raggiungere i 30 metri di altezza e i 6 di circonferenza del tronco. Il fusto è breve, perché la pianta si espande subito, ramificando in larga chioma. La corteccia è grigiastra: dapprima è liscia ma, con il passare degli anni, tende a fendersi verticalmente. Ha grandi foglie pennate e alterne, composte da 7-9 foglioline ellittiche o obovate, a margine intero, che si ingrandiscono all’apice. Quando sono tenere, hanno un tipico colore bronzeo. Uno stesso individuo porta fiori di sesso diverso. Gli amenti maschili sono pendenti e cilindrici mentre i fiori femminili sono piccini, poco visibili e riuniti in gruppi di 2, 3 o 4 all’estremità dei rami. Sbocciano tra aprile e maggio. I frutti sono noci legnose a maturità, contenute in una drupa verde e arrotondata, il cosiddetto mallo, che diventa infine marrone.

infiorescenze su un ramo contro cielo azzurro

Principi attivi di un farmaco eccezionale

Sfatando credenze sinistre, del noce si utilizza tutto per la nostra salute: foglie, mallo, amenti, corteccia, radici e, naturalmente, frutti. La droga per uso interno è costituita però dalle foglie che, come le altre parti, a eccezione delle noci, contengono preziosi principi attivi. Troviamo infatti juglandina, juglone, juglamina, naftochinino, inosite, iperina, tannino, vitamina C, calcio, fosforo, magnesio e potassio.

L’infuso si prepara ponendo una manciata di foglie in un litro d’acqua. Si porta a bollore, si spegne e si lascia riposare sotto coperchio per un quarto d’ora. Si filtra, si dolcifica e si beve lungo la giornata, come qualsiasi bevanda alimentare assimilabile al tè. È particolarmente indicato ai diabetici, perché placa il loro senso di sete. Giova a chi soffre di linfatismo, adeniti, scrofolosi, rachitismo, diabete, anemia, reumatismi, gotta, stanchezza, mal di gola, tosse, afte e diarrea (tannino).

frutti verdi su fogliame scuro

Sotto stretto controllo medico, è utile nella cura della tubercolosi polmonare, delle bronchiti croniche e per favorire l’espulsione della tenia. Gli studi di Pomaryol, Raphaël e Davoïne, citati da Jean Valnet, hanno dimostrato un’azione battericida che agisce pure sul carbonchio. Il decotto concentrato, in uso esterno, lenisce eczemi, impetigine, psoriasi, geloni e punture d’insetti. Mettere foglie di noce nella cuccia dei cani tiene lontane le pulci e disporle in casa scaccia mosche, formiche e altri insetti.

Il mallo masticato calma le nevralgie dentali e aiuta l’espulsione di parassiti intestinali. Similmente cataplasmi di mallo tritato attenuano i dolori provocati dall’infiammazione del nervo sciatico. Tanto le foglie quanto il mallo hanno un’azione benefica sul cuoio capelluto, detergendolo dall’eccesso di sebo e dalla forfora e frenando la caduta dei capelli. Il decotto usato per risciacquare i capelli tende a scurirli.

rami frondosi

L’alto valore nutritivo delle noci

Non possiamo congedarci senza aver speso qualche parola riguardo alle noci, che rappresentano un alimento altamente energetico. Esse sono davvero ricche di sostanze nutritive quali proteine, zuccheri, lipidi, vitamine A, B, C e PP, calcio, ferro, fosforo, rame, zinco e zolfo. Sono indicate in modo particolare per diabetici, vegani e coloro che hanno il fisico debilitato. Sconsigliate invece agli obesi.

Sono regolatori intestinali, adatte a chi soffre sia di stitichezza sia di diarrea. Sono coadiuvanti nella cura delle dermatosi e dei parassiti intestinali. Date da mangiare ai bambini, contribuiscono a liberarli dal problema dell’enuresi notturna.

manciata di noci su un tavolo marrone che fuoriescono da un cestino di cotone color panna

I gusci di noce e Luigi XI di Valois

Se i tronchi diventano il miglior legname per fabbricare mobili pregiati, meno conosciuto è l’impiego dei gusci di noce. Si sono sperimentati in brevetti originali, per raffreddare i motori a scoppio, per preparare lozioni abbronzanti (insieme con l’henné) e per creare palline da golf. Ma la funzione più curiosa la studiò addirittura un re di Francia: si tratta di Luigi XI detto il Prudente (siamo nel XV secolo). È stato il sesto re del casato dei Valois ed era ossessionato dal rischio di morire in un attentato. Aveva persino paura che il barbiere di corte gli tagliasse la gola con il rasoio. Allora diede ordine che la barba gli fosse bruciata ogni mattina con gusci di noce arroventati. Ingegnoso ma, lungi dall’abbandonare il moderno rasoio elettrico, ne lasciamo volentieri la pratica al suo regale inventore!

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Maura Maffei
Maura Maffei
Maura Maffei è da trent’anni autrice di romanzi storici ambientati in Irlanda, con 17 pubblicazioni all’attivo, in Italia e all’estero: è tra i pochi autori italiani a essere tradotti in gaelico d’Irlanda (“An Fealltóir”, Coisceim, Dublino, 1999). Ha vinto numerosi premi a livello nazionale e internazionale, tra i quali ci tiene a ricordare il primo premio assoluto al 56° Concorso Letterario Internazionale San Domenichino – Città di Massa, con il romanzo “La Sinfonia del Vento” (Parallelo45 Edizioni, Piacenza, 2017) e il primo premio Sezione Romanzo Storico al Rotary Bormio Contea2019, con il romanzo “Quel che abisso tace” (Parallelo45 Edizioni, Piacenza, 2019). È a sua volta attualmente membro della Giuria del Premio Letterario “Lorenzo Alessandri”. Il suo romanzo più recente è “Quel che onda divide” (Parallelo45 Edizioni, Piacenza 2022) che, come il precedente “Quel che abisso tace”, narra ai lettori il dramma degli emigrati italiani nel Regno Unito, dopo la dichiarazione di Mussolini alla Gran Bretagna, e in particolare l’affondamento dell’Arandora Star, avvenuto il 2 luglio 1940, al largo delle coste irlandesi. In questa tragedia morirono da innocenti 446 nostri connazionali internati civili che, purtroppo, a distanza di più di ottant’anni, non sono ancora menzionati sui libri di storia. Ha frequentato il corso di Erboristeria presso la Facoltà di Farmacia di Urbino, conseguendo la massima votazione e la lode. È anche soprano lirico, con un diploma di compimento in Conservatorio. Ama dipingere, ha una vasta collezione di giochi di società e un’altrettanto vasta cineteca. È appassionata di vecchi film di Hollywood, quelli che si giravano tra gli Anni Trenta e gli Anni Sessanta del secolo scorso. Tra i registi di allora, adora Hawks, Leisen e Capra. Mette sempre la famiglia al primo posto, moglie di Paolo dal 1994 e madre di Maria Eloisa.
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