L’Italia non sottoscrive la dichiarazione per la promozione delle politiche europee a favore delle comunità Lgbtiq. E lo fa insieme a Ungheria, Romania, Bulgaria, Croazia, Lituania, Lettonia, Repubblica Ceca e Slovacchia. Per un risultato di 18 paesi firmatari contro 27 partecipanti.
La mozione d’impegno era stata preparata in occasione della Giornata mondiale contro l’Omofobia, la transfobia e la bifobia. Questo anche per contrastare l’aumento delle violenze e delle discriminazione nei confronti delle comunità Lgbtiq in tutta Europa come sottolineato anche dal recente sondaggio ” L’uguaglianza LGBTIQ a un bivio: progresso e sfide ” dell’Agenzia per i diritti fondamentali dell’Ue. il sondaggio si è basato sui risultati di oltre 100.000 intervistati provenienti da tutti i 27 paesi dell’UE, dall’Albania, dalla Repubblica di Macedonia del Nord e dalla Serbia.


Le motivazioni dell’Italia
Il testo è stato vagliato dal ministero della Famiglia guidato da Eugenia Roccella, da Alfredo Mantovano, Segretario del Consiglio dei ministri e poi dalla premier Giorgia Meloni. La decisione è compatta sia Palazzo Chigi, sia dal ministero della Famiglia: nessuna firma su una dichiarazione che nega l’identità maschile e femminile.
Infatti, fonti del ministero della Famiglia riferiscono all’agenzia Ansa, che l’Italia non ha aderito “insieme a un terzo degli Stati membri” perché “era in realtà sbilanciata sull’identità di genere, quindi fondamentalmente il contenuto della legge Zan”. Insomma il succo del no pare che sia questo: sempre contro ogni discriminazione, ma no a pericolose derive sul gender.


Il no nonostante l’adesione alla dichiarazione del 7 maggio
Il no arriva nonostante l’adesione dell’Italia, datata 7 maggio, alla dichiarazione contro l’Omofobia, Transfobia, Bifobia del Servizio di Azione Esterna Ue. Dichiarazione con cui i grandi paesi europei, “si impegnano ad attuare strategie nazionali per le persone lgbtiq+”, oltreché a sostenere la nomina di un nuovo commissario per l’uguaglianza in vista della prossima commissione. «Noi – dichiara Eugenia Roccella – siamo molto chiari: il nostro governo ha firmato la dichiarazione europea contro omofobia, bifobia e transfobia. Non abbiamo invece firmato e non firmeremo nulla che riguardi la negazione dell’identità maschile e femminile, che tante ingiustizie ha già prodotto nel mondo in particolare ai danni delle donne».
!["Libera. Uguale. Laica" [Italia]. Partecipante al Bologna Pride 2012. Foto di Giovanni Dall'Orto, 9 giugno 2012.](https://www.zetatielle.com/wp-content/uploads/2024/05/640px-0059_-_Partecipante_al_Bologna_Pride_2012_-_Foto_Giovanni_DallOrto_9_giugno_2012.jpg)
!["Libera. Uguale. Laica" [Italia]. Partecipante al Bologna Pride 2012. Foto di Giovanni Dall'Orto, 9 giugno 2012.](https://www.zetatielle.com/wp-content/uploads/2024/05/640px-0059_-_Partecipante_al_Bologna_Pride_2012_-_Foto_Giovanni_DallOrto_9_giugno_2012.jpg)
I punti del documento che hanno fatto scattare il no dell’Italia
In sintesi questi i punti che il Governo e il Ministero della Famiglia hanno ritenuto troppo vicini al riconoscimento di identità gender. Punto primo. Il documento esorta gli stati firmatari a fornire “il loro impegno a promuovere l’uguaglianza e a prevenire e combattere le discriminazioni, in particolare sulla base dell’identità di genere, dell’espressione di genere, delle caratteristiche sessuali e dell’orientamento sessuale“.
Il secondo punto che ha fatto scattare il no dell’Italia è quello quello in cui si chiede alla Commissione di “garantire la piena libertà di movimento per tutte le persone Lgbtiq e le loro famiglie”. Questo passaggio è da intendersi nel senso di garantire il riconoscimento della genitorialità acquisita in un altro Paese Ue, inclusi i “genitori dello stesso sesso”. Il governo Meloni sostiene che tale apertura che aprirebbe la porta al riconoscimento della maternità surrogata.
E’ indubbio che questa presa di posizione del Governo ha scatenato molte discussioni e critiche sia in ambito politico interno all’Italia, sia da parte di molte persone comuni.


I paesi firmatari
I paesi che hanno firmato la convenzione: Belgio, Polonia, Danimarca, Cipro, Irlanda, Grecia. E poi ancora Lussemburgo, Paesi Bassi, Malta, Estonia, Austria, Finlandia, Germania, Portogallo, Slovenia, Francia, Svezia, Spagna.
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