L’arenaria, un’erbetta che passa inosservata
L’arenaria non è solo una pietra. È anche una piantina che appartiene alla famiglia delle Cariofillacee e che è tutt’altro che appariscente. Ha dimensioni così ridotte che si nota appena, è comune e non ha fiori abbastanza grandi da spiccare tra il verde. È una specie che passa inosservata e che predilige la rena, ossia i terreni calcarei, sabbiosi e i sentieri ghiaiosi. Lo leggiamo nel nome latino con cui fu classificata, Arenaria serpyllifolia L. Se nel genere Arenaria noi individuiamo la sabbia del suo habitat, per l’aggettivo serpyllifolia dobbiamo, invece, rimarcare la somiglianza con le foglie del timo serpillo.


Per imparare a conoscerla meglio
L’area d’origine dell’arenaria è il continente Euroasiatico, facendo riferimento alle zone temperate. Si è però poi diffusa pressoché in tutto il mondo. Si tratta di una pianta annuale erbacea, la cui altezza parte dai 2 e difficilmente supera i 7-8 centimetri. È strisciante, cespugliosa, verde-grigiastra d’aspetto e senza particolari attrattive. Le piccole foglie sono opposte, caratteristica che condivide con la maggior parte delle altre Cariofillacee. Sono sessili, ossia senza picciolo, appuntite, ovali e rugose al tatto.
I fiori sbocciano tra maggio e settembre e sono minuscoli, posti in cima agli steli biforcuti. Assomigliano a quelli della spergola, che vi abbiamo illustrato la scorsa settimana, sebbene siano ben più piccini. Hanno la stessa forma a stella e lo stesso colore bianco. I 5 petali sono ovali e sono più corti dei 5 sepali, che si aprono come una stella sfalsata rispetto ai petali stessi.
Il frutto è una capsula arrotondata, ovoidale, con 6 denti alla sommità. A maturazione, da luglio in poi, libera i numerosi semini reniformi, bruni e puntinati a spirale. Una parte di essi, rimane inattiva nel terreno, sopravvivendo sino a trent’anni e germinando anche dopo molto tempo. Per l’arenaria, come per tutte le altre piante di questa rubrica, consigliamo di utilizzare le chiavi botaniche per una corretta identificazione in natura.


Complice involontaria, in Irlanda, della caccia ai conigli selvatici
La presenza di saponine quali principali componenti, come avviene per tutte le Cariofillacee, rende questa specie tossica pur senza essere un veleno mortale. Risulta pertanto sgradita a molti animali erbivori, che non se ne cibano. Tra questi, ci sono soprattutto i conigli selvatici. E tale particolare, in molte parti d’Europa, tra cui l’Irlanda, è stato sfruttato per cacciarli. Nell’Isola di Smeraldo, l’arenaria ha il nome gaelico di Gaineamhlus tíme, che si traduce con l’espressione “pianta della sabbia simile al timo”.
In passato, gli irlandesi avevano notato che il terreno intorno alle tane dei conigli selvatici era piuttosto brullo. E ciò avveniva perché questi piccoli mammiferi sono piuttosto voraci e divorano la maggior parte dei vegetali che capitano loro a tiro. Ma evitano accuratamente l’arenaria. Di conseguenza, dove questa prosperava indisturbata, in mezzo a un prato ben rasato, probabilmente c’erano tane di coniglio. L’insignificante erbetta diventava un’inesorabile spia, nel rivelare la presenza di chi l’aveva disdegnata.


Occorre mantenere molta prudenza in fitoterapia
L’arenaria non vanta affatto una lunga tradizione medicinale perché ha il difetto di tutte le Cariofillacee, ossia quello di contenere le tremende saponine. Per secoli, è stata appannaggio solo della medicina popolare, senza essere oggetto di ricerche o adeguati studi clinici. Nelle campagne, se ne beveva l’infuso per espellere la sabbia e i calcoli dei reni.
Oggi noi sappiamo che la droga, costituita dalle parti aeree della pianta, oltre alle saponine ha altri principi attivi. Essi sono rappresentati da flavonoidi con azione antiinfiammatoria, mucillaggini (che sono blandi lassativi) cloruri, carbonato di potassio e composti triterpenici. Le sue proprietà sono dunque interessanti, perché l’arenaria è un buon diuretico, capace di eliminare l’acido urico (secondo F. Decaux). Ed è sedativo urinario, per chi soffre di cistiti e coliche nefritiche, che previene anche la formazione della renella.
Jean Valnet fornì la ricetta di un decotto che noi riportiamo più che altro come curiosità storica. Sì, perché l’arenaria va assunta solo dopo essersi consultati con il medico sui benefici e sulle controindicazioni. Valnet suggeriva la quantità di un etto e mezzo di droga per litro d’acqua, da far bollire un minuto e da tenere in infusione per 10 minuti. Secondo noi, ci sono altri ottimi diuretici, depurativi e antiinfiammatori che si possono bere in tisane casalinghe in assoluta tranquillità, senza sfidare la tossicità delle saponine.


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