La peonia, rosa senza spine, che chiude maggio, nell’almanacco medioevale

La peonia, dedicata alla Vergine Maria, Regina del mese di maggio

La peonia, nell’almanacco medioevale, era il fiore mariano per eccellenza. Perché assomigliava a una rosa ma non aveva le spine, perché non feriva la mano cogliendola. Come Maria, nata senza peccato originale (sebbene il dogma dell’Immacolata Concezione sia di metà Ottocento), la meravigliosa peonia non pungeva, non aveva difetti. Cosa che stupisce noi moderni, che l’ammiriamo sontuosa nei giardini, era considerata soprattutto una specie medicinale. Per questo era spesso coltivata nei chiostri dei monasteri medioevali.

Serviva a preparare una lozione con cui detergersi, quando si soffriva di tigna, malattia della pelle allora assai diffusa. Purtroppo alimentava pure la superstizione: la sua radice essiccata, inserita in un sacchetto, si portava appesa al collo come una collana. La credenza diffusa era quella che tale pratica prevenisse la follia e guarisse dall’epilessia.

un piccolo bocciolo di peonia che spunta da sinistra

Antichi miti e antichi medici

Come specie selvatica erbacea, la peonia è nota sin dall’antichità. Sebbene sia originaria dell’Asia, si trova anche nei boschi d’Europa. Le varietà arbustive, invece, ossia ornamentali, giunsero dalla Cina solo a partire dal XVIII secolo. Ma torniamo a Paeon, antico medico greco cui la pianta deve il nome. Pare che grazie ai suoi semi, egli avesse il potere di curare persino gli dei. Secondo il mito, guarì Ares, Ade e Apollo, propinandoglieli loro in infusione.

Prendendo esempio da lui, a partire dal III secolo a.C., i greci facevano ampio uso della sua radice. La impiegavano soprattutto per risolvere le infezioni respiratorie, come tosse e raffreddore.

bocciolo

Nella Cina imperiale

In cinese, la peonia è chiamata hua wang, che significa “regina dei fiori”. Ebbe particolare fortuna sotto le dinastie imperiali Tang (VII-X secolo) e Song (VIII-XII secolo). Furono selezionate per tali dinastie peonie in tinta giallo oro, che era considerato il colore imperiale. E ancora oggi la peonia è ritenuta in Cina fiore nazionale. Fu molto in voga alla Corte giapponese durante tutto il XVI secolo, con ibridi direttamente importati dalla Cina.

interno di fiore di peonia con pistilli molto gialli

Tradizioni della verde Irlanda

In Irlanda, la peonia fa il suo ingresso come specie coltivata. Tuttavia l’opulenza dei suoi fiori ebbe subito molto successo. Tanto da alimentare alcune credenze. Una peonia fiorita qui scacciava non solo gli spiriti maligni ma anche le tempeste. Si era convinti che brillasse di luce propria, nella notte, forse per i suoi petali così lucidi, e che allontanasse ogni male dai giardini. Per renderla una specie quasi celtica, le fu affibbiato il nome gaelico di piaine, dalla dolce pronuncia.

peonia coltivata rosa e fucsia

Un fiore rosso di vergogna

A partire dal XIX secolo, la peonia fu considerata un fiore da occhiello, perché gli uomini la infilavano nell’occhiello della giacca, nelle serate della buona società. Appassisce lentamente e, dunque, manteneva fin oltre la mezzanotte la sua freschezza. Sebbene siano apprezzate pure le varietà con i petali bianchi o rosati, sono stati quelli di colore rosso a caratterizzarne il significato, nel linguaggio dei fiori.

A partire dal detto “rosso di vergogna”, perché è facile arrossire quando si è in torto, si notò che la peonia faceva una chiassosa macchia rossa. Per questo motivo, divenne il fiore con cui chiedere perdono. Inserirla in un bouquet che si regala a una persona cara è un po’ come dirle: «Ti chiedo scusa per il mio comportamento».

piccole peonie su fondo nero

A proposito della peonia selvatica

La peonia appartiene alla famiglia botanica delle Peoniacee ed è stata catalogata come Paeonia officinalis L. L’aggettivo “officinalis” è proprio di piante che vantano una lunga tradizione medicinale. Quando Linneo lo scelse, doveva aver ben presente la sua funzione di farmaco sin dall’antichità.

È una specie erbacea, alta fino a mezzo metro, attualmente protetta, dalla radice bulbosa, che in natura predilige i boschi assolati. Le foglie sono tripennate e doppie e gli scapi fioriferi non sono ramificati. I fiori sbocciano tra maggio e giugno: sono singoli, dal diametro compreso tra i 7 e i 13 centimetri, con un massimo di 8 petali. Hanno una caratteristica tinta rosso cupo e sono semplici, mentre nelle qualità ornamentali essi ci appaiono rigonfi.

prato pieno di peonie selvatiche

La peonia in fitoterapia

La droga è costituita dalla radice. È meglio non usare mai né i petali né i semi – con buona pace del greco Paeon – perché possono provocare diarrea e vomito. In ogni caso, è sempre preferibile sentire il parere di un medico, quando ci sono parti di una pianta con principi tossici. La radice contiene paenolo (sostanza aromatica), peregrinina, peoniflorina (glicoside), olio essenziale e tannini.

Jean Valnet la prescriveva a chi soffriva di forte emotività, negli stati simpaticotonici, di tachicardia riflessa, contro la pertosse e le forme di epilessia. Non consigliava una tisana ma l’assunzione di gocce di tintura madre che, secondo indicazione medica, si può acquistare in farmacia.

boccioli porpora in un prato

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Maura Maffei
Maura Maffei
Maura Maffei è da trent’anni autrice di romanzi storici ambientati in Irlanda, con 17 pubblicazioni all’attivo, in Italia e all’estero: è tra i pochi autori italiani a essere tradotti in gaelico d’Irlanda (“An Fealltóir”, Coisceim, Dublino, 1999). Ha vinto numerosi premi a livello nazionale e internazionale, tra i quali ci tiene a ricordare il primo premio assoluto al 56° Concorso Letterario Internazionale San Domenichino – Città di Massa, con il romanzo “La Sinfonia del Vento” (Parallelo45 Edizioni, Piacenza, 2017) e il primo premio Sezione Romanzo Storico al Rotary Bormio Contea2019, con il romanzo “Quel che abisso tace” (Parallelo45 Edizioni, Piacenza, 2019). È a sua volta attualmente membro della Giuria del Premio Letterario “Lorenzo Alessandri”. Il suo romanzo più recente è “Quel che onda divide” (Parallelo45 Edizioni, Piacenza 2022) che, come il precedente “Quel che abisso tace”, narra ai lettori il dramma degli emigrati italiani nel Regno Unito, dopo la dichiarazione di Mussolini alla Gran Bretagna, e in particolare l’affondamento dell’Arandora Star, avvenuto il 2 luglio 1940, al largo delle coste irlandesi. In questa tragedia morirono da innocenti 446 nostri connazionali internati civili che, purtroppo, a distanza di più di ottant’anni, non sono ancora menzionati sui libri di storia. Ha frequentato il corso di Erboristeria presso la Facoltà di Farmacia di Urbino, conseguendo la massima votazione e la lode. È anche soprano lirico, con un diploma di compimento in Conservatorio. Ama dipingere, ha una vasta collezione di giochi di società e un’altrettanto vasta cineteca. È appassionata di vecchi film di Hollywood, quelli che si giravano tra gli Anni Trenta e gli Anni Sessanta del secolo scorso. Tra i registi di allora, adora Hawks, Leisen e Capra. Mette sempre la famiglia al primo posto, moglie di Paolo dal 1994 e madre di Maria Eloisa.