Il mughetto e le altre piante di maggio, nell’almanacco medioevale

Mughetto, non ti scordar di me, aquilegia e peonia per il mese più fiorito dell’anno

Il mughetto ha maggio addirittura nel nome. In latino, infatti, è stato catalogato come Convallaria majalis L., dove l’aggettivo majalis è proprio di maggio. E al suo fiore spettava il privilegio d’inghirlandare i giovani impegnati nelle danze del Calendimaggio. Era molto amato soprattutto in Francia, dove ancora oggi permane la tradizione di regalare mughetti nel primo giorno di maggio. Era affiancato dal non ti scordar di me, dalla peonia e dalla rara aquilegia, di cui vi parleremo nelle prossime settimane.

primo piano corolla con sfocatura su foglie

Ma nell’almanacco medioevale era il mughetto la pianta di maggio per eccellenza. Al punto da trovarlo persino nello splendido ciclo di arazzi fiamminghi de “La dame à la licorne” (La dama e l’unicorno, XV secolo). Oggi è conservato al Museo Nazionale del Medioevo di Parigi (Hôtel de Cluny) e si compone di 6 grandi pannelli. In quello che è intitolato “La vue” (la vista), il mughetto è riprodotto con grande eleganza, e ritorna pure nell’ultimo arazzo “A mon seul désir”. 

arazzo mughetto
arazzo fiammingo il mughetto si scorge in basso a sinistra foto licenza CC

Il fiore era legato al culto dell’eremita Leonardo di Noblac (VI secolo), che fu uno dei santi medioevali in assoluto più venerati. Un’antica leggenda riferisce che san Leonardo, mentre attraversava un bosco, fu attaccato da un drago. L’uomo di Dio riuscì a sconfiggerlo ma, durante la lotta, sparse al suolo gocce di sangue e di sudore, che furono trasformate nelle delicatissime campanule del mughetto. Nel Sussex, sono convinti che tale duello si sia verificato nella loro St Leonard’s Forest.

Apollo, le Muse, il Parnaso e il linguaggio dei fiori

Il mughetto viene coltivato nei giardini da più di cinque secoli, ma vanta una lunga tradizione di pianta dei boschi. Secondo i greci, era stato inventato dal dio Apollo, che voleva omaggiare le Muse. Creò quindi un fiore di bianca purezza e dal profumo intensissimo per vestire di luce e d’aroma le pendici del monte Parnaso. Resta simbolo di purezza anche nell’attuale linguaggio dei fiori e viene spesso regalato per augurare la fortuna e la felicità. È il fiore preferito da chi è nato sotto il segno dell’Acquario (e chi vi scrive, conferma!).

mazzo di mughetti su fondo verde scuro

Fiore rinascimentale dedicato alla Madonna

Tra i soggetti più richiesti ai pittori rinascimentali c’era la pala d’altare che rappresentava l’Annunciazione. In essa ricorreva spesso il simbolo del mughetto donato dall’Arcangelo Gabriele alla Madonna, quale omaggio alla sua umiltà e verginità. In altri quadri troviamo un più vistoso giglio candido, eppure il mughetto, nella sua semplicità, era ritenuto il fiore più appropriato per Maria.

Profumo apprezzatissimo per le sue note uniche, nel Rinascimento era distillato per ricavarne la cosiddetta Acqua d’oro, cui si attribuiva persino un potere calmante. Si chiamava così perché poteva essere conservata solo in vasi di metallo prezioso.

primo piano dei campanellini di mughetto bianchi su foglie verde pallido

L’Irlanda e le lacrime di Maria

In lingua gaelica il mughetto si traduce con Lile na ngleanntán, dal significato affine all’inglese Lily of valley, ovvero “giglio della valle”. Tuttavia, sull’Isola di Smeraldo il nome più amato e diffuso è Our Lady’s tears. Perché anche gli irlandesi legano questa pianta alla devozione che si tributa alla Vergine Maria. In questo caso, però,  non è la Madonna cui si rivela l’angelo, nell’Annunciazione, ma è l’Addolorata, ai piedi della croce di Gesù. Le sue lacrime cadute sul terreno diventano mughetti, per l’agonia del suo Divin Figlio. Fiore della crocifissione, dunque: per questo, tanto qui quanto in Scozia, un tempo c’era la credenza che chi lo piantava in giardino sarebbe morto entro l’anno.

primo piano dei fiori con vista all'interno

Breve ritratto botanico di una specie assai nota

Il mughetto appartiene alla famiglia botanica delle Liliacee ed è una specie protetta che predilige come habitat i boschi di latifoglie. Raggiunge un’altezza di una ventina di centimetri e ha un rizoma sotterraneo strisciante e uno stelo sottile che reca due larghe foglie lanceolate piuttosto coriacee.

Il fusto fiorifero porta dai 5 ai 10 fiori, rivolti tutti sullo stesso lato. Essi sbocciano tra maggio e giugno e sono perigoni, ossia corte campanule bianche suddivise all’apice in sei lobi. I frutti sono bacche globose dal colore rosso vivo.

frutto di mugetto bacche rosse con fondo foglie essiccate e marroni

Un veleno con qualche virtù

Come per altre piante che abbiamo già trattato, ci stupisce pensare che, in passato, si sia fatto uso del mughetto nella medicina popolare. Si impiegava per rilassarsi e per placare il raffreddore, sebbene sia una pianta velenosa e pericolosa, soprattutto per le sue bacche rosse. La polvere dei fiori veniva addirittura mescolata al tabacco da fiuto, per migliorarne il profumo e per provocare gli starnuti.

un cespuglio di grandi foglie di mughetto

Tuttavia, studi scientifici condotti già a partire dall’Ottocento hanno dimostrato che, oltre alle saponine, tossiche, contiene anche principi attivi utili. Troviamo, infatti, i cosiddetti glicosidi cardiaci, ovvero convallatossina, convallatossolo, convallamarina, convallarina, convalloside e locundioside. Essi hanno un’azione simile a quella della digitale purpurea. Solo su precisa prescrizione medica e in preparati farmaceutici, il mughetto ha azione cardiotonica in caso di leggera debolezza del muscolo cardiaco o d’accumuli idrici d’origine cardiaca. Analoga funzione hanno i farmaci omeopatici, sempre su indicazione di un medico naturalista.

Il mughetto non deve mai essere utilizzato in tisane casalinghe perché, lo ripetiamo, è velenoso. Il dottor Henri Valnet sconsigliava persino di tenerne la pianta in camera da letto, per non incorrere in cefalee, convulsioni e delirio. Meglio limitarsi a contemplarne in giardino il candido incanto e ad aspirarne sotto il cielo di maggio l’inebriante profumo.

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Maura Maffei
Maura Maffei
Maura Maffei è da trent’anni autrice di romanzi storici ambientati in Irlanda, con 17 pubblicazioni all’attivo, in Italia e all’estero: è tra i pochi autori italiani a essere tradotti in gaelico d’Irlanda (“An Fealltóir”, Coisceim, Dublino, 1999). Ha vinto numerosi premi a livello nazionale e internazionale, tra i quali ci tiene a ricordare il primo premio assoluto al 56° Concorso Letterario Internazionale San Domenichino – Città di Massa, con il romanzo “La Sinfonia del Vento” (Parallelo45 Edizioni, Piacenza, 2017) e il primo premio Sezione Romanzo Storico al Rotary Bormio Contea2019, con il romanzo “Quel che abisso tace” (Parallelo45 Edizioni, Piacenza, 2019). È a sua volta attualmente membro della Giuria del Premio Letterario “Lorenzo Alessandri”. Il suo romanzo più recente è “Quel che onda divide” (Parallelo45 Edizioni, Piacenza 2022) che, come il precedente “Quel che abisso tace”, narra ai lettori il dramma degli emigrati italiani nel Regno Unito, dopo la dichiarazione di Mussolini alla Gran Bretagna, e in particolare l’affondamento dell’Arandora Star, avvenuto il 2 luglio 1940, al largo delle coste irlandesi. In questa tragedia morirono da innocenti 446 nostri connazionali internati civili che, purtroppo, a distanza di più di ottant’anni, non sono ancora menzionati sui libri di storia. Ha frequentato il corso di Erboristeria presso la Facoltà di Farmacia di Urbino, conseguendo la massima votazione e la lode. È anche soprano lirico, con un diploma di compimento in Conservatorio. Ama dipingere, ha una vasta collezione di giochi di società e un’altrettanto vasta cineteca. È appassionata di vecchi film di Hollywood, quelli che si giravano tra gli Anni Trenta e gli Anni Sessanta del secolo scorso. Tra i registi di allora, adora Hawks, Leisen e Capra. Mette sempre la famiglia al primo posto, moglie di Paolo dal 1994 e madre di Maria Eloisa.