La sindrome da all inclusive

La “sindrome da all inclusive”, è una malattia ormai molto diffusa, che colpisce intere generazioni, soprattutto nei mesi estivi. Si manifesta attraverso sintomi chiari ed inequivocabili: fame insaziabile, sete indissetabile (neologismo) e non ha, al momento cure specifiche.

Ma facciamo un passo indietro.

Le vacanze di una volta

Chi come me, ha avuto la “fortuna” di trascorrere le vacanze estive con i genitori, a cavallo fra gli anni ’60 e ’70, saprà senz’altro riconoscersi, in quello che racconto. Chi invece, fa parte delle nuove generazioni, soprattutto i “millenials”, avrà di che imparare e riflettere.

Le vacanze si dividevano in due diverse tipologie: dieci (non di più), giorni al mare, in “pensione”; oppure un mese intero, in un appartamento in affitto, sempre al mare.

La pensione era spesso a gestione famigliare, camere con giusto un lavandino per la pulizia essenziale, e bagno vero e proprio,  con vasca, in comune. La doccia era ancora una americanata.

La sindrome da all inclusive? Manco si sapeva il significato.

Si mangiava più o meno bene, più o meno abbondantemente, la gentilezza degli esercenti, liguri, ve la lascio immaginare.

Ma il momento topico era, anche perchè si andava al mare, il bagno.

Per farlo, e questo valeva anche per chi sceglieva l’appartamento in affitto, bisognava aspettare dalle tre alle quattro ore, dopo la colazione o il pranzo. Ovvero ci si riduceva a un mordi e fuggi in acqua, che le mamme di allora ci propinavano con un gusto quasi perverso. E guai a protestare.

Se volete, gustatevi il video (qui sotto, dal terzo minuto) del grande Andrea Pucci e capirete che non stò scrivendo balle.

La tipologia appartamento, invece prevedeva, indistintamente, che capofamiglia e prole si gustassero la vacanza, mentre la moglie continuava a lavare e spignattare, esattamente come a casa.

Da qui, forse, il gusto perverso, di cui parlavo prima.

C’era ancora una opzione, comunque: chi sceglieva di passare le vacanze estive “in montagna”, a Giaveno. Giuro che è così.

Le vacanze oggi

I tempi sono cambiati, purtoppo o per fortuna, ci si è evoluti, forse, ma sicuramente è cambiato l’approccio alla vacanza: dalla crociera, al resort, nell’ultimo decennio, è tutto un fiorire di offerte e di opportunità. Ecco che nasce così la sindrome da all inclusive.

Non risparima nessuno: dagli Appennini alle Ande, dal Manzanarre a Reno, tutti si adeguano alla filosofia del: “…magna appapà che è tutto pagato…”.

La sindrome da all inclusive

Si assiste così alle scene più turpi: italiani che si strafocano a colazione con toast imbottiti con uova al tegamino e bacon croccante, colazione tipica che si consuma a San Giorgio a Cremano oppure a Santa Cesarea Terme.

Nel triangolo industriale, al mattino, i bar, infatti, sono pieni di impiegati che si ingozzano di fagioli rossi alla texana e salsicce…

Gli stranieri in genere, sono i migliori: otto del mattino, cosa c’è di meglio di una birra o di un bicchieri di Chianti…tanto per mandare giù un breakfast leggero a base di uova-baon-fagioli-ananas-anguria-crepes alla nutella…

Sono gli stessi che a pranzo o a cena,  farciscono la pizza margherita con ogni tipo di ingrediente, o che condiscono gli spaghetti al pomodoro con pollo al curry.

La sindrome da all inclusive comunque, ha un unico comun denominatore: l’abbondanza.

Piatti tracolmi di ogni genere di cibo, spesso sovrapposto senza una logica…logica, si fa per dire…che poi spesso viene portato via dai camerieri, quasi completamente intatto.

Possiamo trascurare la merenda? Assolutamente no.

Subito dopo il pranzo, c’è ampia disponibilità di patatine, pop-corn, pizzette, frutta fresca e sangria. Offerte naturalmente dalla formula all inclusive. Possiamo non approfittare di tutto sto ben di Dio, aggratiss?

Non sia mai!

Rimane il bar. Rientra anche questo nella sindrome da all inclusive.

I frequentatori più assidui sono gli ex-tovarish (seguono a ruota gli inglesi, birra a fiumi, e i tedeschi, amanti del prosecco o suoi derivati) che si siedono sugli sgabelli alle dieci, orario di apertura, per alzarsi a mezzanotte, ora in cui finisce l’all inclusive, dopo aver bevuto di tutto e di più. In quel preciso momento le bevande diventano a pagamento e come per incanto, il bar si spopola.

Italiani e francesi, questo va riconosciuto, ne fanno un uso più morigerato e meno alcolico.

Ma una cosa, distingue noi tricolori: quando il bar del resort chiude, ci si traserisce fuori, per gustare un drinkino preparato decisamente meglio. Fa anche più fighi.

Costa qualche euro, è vero, ma volete mettere la libidine di fotografare il bicchiere e postarlo sui social?

Lele Boccardo
Lele Boccardo
(a.k.a. Giovanni Delbosco) Direttore Responsabile. Critico musicale, opinionista sportivo, pioniere delle radio “libere” torinesi. Autore del romanzo “Un futuro da scrivere insieme” e del thriller “Il rullante insanguinato”. Dice di sè: “Il mio cuore batte a tempo di musica, ma non è un battito normale, è un battito animale. Stare seduto dietro una Ludwig, o in sella alla mia Harley Davidson, non fa differenza, l’importante è che ci sia del ritmo: una cassa, dei piatti, un rullante o un bicilindrico, per me sono la stessa cosa. Un martello pneumatico in quattro: i tempi di un motore che diventano un beat costante. Naturalmente a tinte granata”.