La spergola e l’Uomo di Tollund, che venne impiccato
La spergola appartiene alla famiglia delle Cariofillacee, che stiamo trattando in queste settimane, e nel proporvela speriamo di suscitare la vostra curiosità. È anche conosciuta come renaiola, perché ama la rena, ossia i terreni sabbiosi. Come pianta alimentare è apprezzata sin dalla preistoria. Può, infatti, essere collegata a una scoperta straordinaria che risale al 1950. Nella palude di Bjældskovdal (Danimarca, Jutland) fu ritrovato il cadavere di un uomo ucciso nell’Età del Ferro, oltre 2400 anni fa. È il cosiddetto Uomo di Tollund che, sepolto in una torbiera, si è conservato in modo ottimale. Aveva una corda al collo, segno che era stato impiccato, forse per un sacrificio rituale, forse per una vendetta. È stato persino possibile analizzare il contenuto del suo intestino, risalendo al suo ultimo pasto. Aveva mangiato orzo, pesce, lino e una buona quantità di semi di spergola.


Coltivazioni antiche
Il fatto appena narrato non ci deve stupire. Perché questa pianta non solo era raccolta dai nostri antenati della protostoria ma, con l’avvento delle civiltà antiche, addirittura coltivata. Ciò avvenne soprattutto nell’Europa settentrionale. Nelle Isole Britanniche, fu introdotta dal Neolitico e gli abitanti delle Isole Shetland già ne macinavano i semi per ricavarne farina e per impastare il pane. Essendo un’altra specie messicola, come il gittaione che vi abbiamo illustrato un paio di settimane fa, spesso non era nemmeno separata dal grano. Questo perché era ritenuta assai nutriente, contenendo magnesio, fosforo e sodio. In tempo di carestia, ad esempio nel periodo ottocentesco noto in Irlanda come An Gorta Mór (La Grande Fame: 1845-1851), la renaiola tornò ad alimentare l’uomo. Altrimenti, è ancora talvolta usata in campagna come mangime molto gradito dalle pecore, soprattutto quale ricostituente per gli agnelli. Nel Medioevo, si riteneva che rendesse il latte di bovini e ovini più sostanzioso.


La spergola irlandese e i leprecauni
In gaelico, il nome della renaiola è Corrán lín, che richiama una falce di luna crescente. In realtà, il suo fiore ricorda una candida stella, che si dice piaccia ai folletti irlandesi, come i leprecauni. Secondo tradizione, chi s’infila una delle sue corolle all’occhiello, prima di un viaggio, non sarà tormentato dai dispetti dei leprecauni lungo la strada.


Un piccolo ritratto botanico
La spergola è stata catalogata con il nome latino di Spergula arvensis L., dovuto al fatto che si sparge ovunque facilmente. È una pianta erbacea annua che, quale habitat predilige i campi e, come anticipato, i terreni sabbiosi in genere. Raggiunge un’altezza di 40 centimetri, con fusti pelosi e appiccicosi che strisciano alla base, ma subito riprendono il portamento eretto e verticale. È fittamente ramificata su tutta la lunghezza. Le foglie sottili e carnose sono riunite in verticilli, in modo diverso da quanto avviene per le altre Cariofillacee, che le hanno opposte.
I fiori, che sbocciano tra maggio e settembre, sono portati su scapi biforcuti. Il calice è formato da 5 sepali aperti a stella su cui è posta la corolla di 5 petali bianchi, saldati alla base. Il frutto è una capsula lunga il doppio dei sepali, che presenta cinque fenditure alla cima e che contiene i piccoli semi lenticolari, rugosi, grigiastri. È stato calcolato che ogni pianta produce dai 300 ai 7500 semi, cosa che rende senz’altro la spergola una specie infestante. Sebbene sia abbastanza semplice identificarla in natura, consigliamo l’uso delle chiavi botaniche per avere la certezza di un corretto riconoscimento.


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Pianta alimentare e medicinale, ma con moderazione
Come già visto, la spergola contiene fosforo, magnesio e sodio. Ma i componenti principali sono, purtroppo, le famigerate saponine, che caratterizzano la famiglia botanica delle Cariofillacee. Nella spergola sono in percentuale inferiore, rispetto ad esempio al gittaione, ma ci vuole comunque prudenza. Possiamo mangiarla come erba di campo o prepararci con essa un tè diuretico, ma sempre con moderazione, solo ogni tanto. In uso esterno, citiamo come autore John Parkinson che, nel 1640, consigliava il succo estratto dalla pianta per detergere e disinfettare le ferite da taglio.
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