Musica e IA: the dark side of the moon

Case discografiche, musica e IA: la rivolta delle major contro le start up che utilizzano intelligenza artificiale è un esempio di come il karma non guardi in faccia proprio nessuno.

Ah, la musica! Un’arte antica quanto l’umanità stessa, un veicolo di emozioni e creatività. Ma quanto sono cambiati i tempi!

Da quando il primo ominide batté due pietre per creare un ritmo primitivo, la tecnologia ha sempre giocato un ruolo fondamentale nell’evoluzione musicale. Tuttavia, non tutti i musicisti hanno accolto queste innovazioni con entusiasmo.

La Lotta Contro i Mulini a Vento Tecnologici

I musicisti hanno combattuto contro l’innovazione tecnologica da decenni, come moderni Don Chisciotte contro mulini a vento invisibili. Prima furono gli strumenti elettronici a scatenare il panico: “Che fine farà la vera musica?” si chiedevano inorriditi i puristi. Poi vennero i sintetizzatori e le drum machine, prontamente accusati di assassinare la purezza del suono acustico.

E non parliamo dello streaming, quell’orribile invenzione che ha reso la musica accessibile a chiunque con una connessione internet! Chi avrebbe mai pensato che l’idea di ascoltare milioni di brani senza possedere una singola copia fisica avrebbe potuto prosperare?

Eppure, eccoci qui, a lamentarci delle royalties microscopiche mentre abbandoniamo lentamente i vecchi CD a raccogliere polvere sugli scaffali.

…era un uomo analogico in un mondo digitale…per ogni grande progresso tecnologico c’è sempre chi cerca di farne un uso improprio…

Michael Connelly – dal libro “il giorno dell’innocenza”

Strumenti Virtuali vs Basi Campionate

Gli strumenti virtuali e le basi campionate sono stati accolti come l’Anticristo dai musicisti tradizionalisti. Due generazioni, o meglio, due modi diversi di vedere l’arte e la creatività. Da una parte quelli che “Ma come, ora chiunque può creare musica senza nemmeno saper suonare uno strumento?”. Dall’altra, quelli che “Certo, perché la musica, come ogni altra arte, dovrebbe rimanere un esclusivo club per pochi eletti, no?“.

Questi strumenti hanno democratizzato la musica, permettendo a chiunque di esprimere la propria creatività. Ma, ovviamente, questo non è stato visto di buon occhio da chi temeva di perdere il proprio status privilegiato. E così, mentre alcuni musicisti abbracciavano la tecnologia, altri si aggrappavano disperatamente ai loro strumenti analogici, come se la tecnologia fosse un’epidemia da cui tenersi alla larga.

The dark side of the Moon

La sperimentazione nel mondo della musica si può paragonare all’arte di un cuoco, sempre in cerca di nuovi accostamenti culinari, o a quella di un pittore, sempre in cerca di una nuova tecnica di colore. Insomma, come ogni arte, è una perpetua evouzione, in questo caso, del suono.

Le persone come me, che negli anni settanta c’erano già, ricordano certamente l’epoca in cui la musica si cullava tra tra l’umano e il trascendentale. Un nome tra tutti: Alan Parson.

Si cimentava insieme ad alcuni amici, tali Pink Floyd, che abitavano the dark side of the moon, il lato oscuro della luna, nella sperimentazione di una nuova sonorità, fatta di monetine e slotmachine, di orologi che ticchettano contemporaneamente a sveglie che suonano. Un mix di oggetti che generavano suoni psicadelici.

In quegli anni, oltre agli strumenti classici, entrarono nell’uso comune del music maker, delle tastiere collegate a strani apparecchi, pieni di manopole. Nasceva così la registrazione multitracking, che prevede nel registrare sonorità separate ed unirle insieme in un’unica traccia, un’altra tecnica usata consisteva nell’aggiungere suoni della vita di tutti i giorni e unirle alle strumentazioni elettroniche.

Il chi e il come

Ma la meraviglia più grande arrivò da un “cosmonauta”, che si serviva di un macchina strana, da cui uscivano tutti i suoni degli strumenti musicali senza contenerne neanche uno: Jean Michel Jarre. La sua creatività ha sfiorato davvero l’impossibile per l’epoca. Creava dei suoni eterei e io giuro di averlo visto suonare con la luce. Le sue mani si posavano su fasci di luce e ne uscivano melodie meravigliose.

Dovevamo capirlo lì a quale futuro andava incontro la musica, consapevolezza che non sfuggì però alle case discografiche. La verità è che il digitale affascina ed è una inesorabile evoluzione che investe tutti i settori. Anche la musica.

Solo che suonare, non è proprio come scegliere tra una penna e una tastiera. Il risultato è ben diverso, e lo dicono le emozioni.

L’intelligenza artificiale ci pone davanti a un altro tipo di problema. Per rimanere nel paragone, la differenza è chi non come: chi scrive e chi suona?

case discogradiche e intelligenza artificiale - n robot seduto su una sedia suona la chitarra con davanti un muro digitale con grafici e numeri
Musica e IA: the dark side of the moon – immagine generata con IA Bing

Le major: i fornai della discografia

E ora arriviamo al vero nodo della questione: le major discografiche. Ah, le major! Quegli intrepidi guardiani della qualità musicale, sempre pronti a sfornare hit di “profondo valore artistico” come se fossero pagnotte di pane industriale. Per anni hanno sfruttato la tecnologia per abbattere i costi, producendo artisti prefabbricati e brani costruiti a tavolino per soddisfare le mode passeggere.

Finché le cose andavano bene, tutto era perfetto. Perché investire in talenti autentici e rischiare quando si potevano creare star a basso costo con un buon team di marketing? Ma ora il vento è cambiato, e le major stanno scoprendo che il gioco a cui hanno giocato per anni sta sfuggendo loro di mano.

Le Major e l’IA: questioni di karma

L’intelligenza artificiale è arrivata come un tornado, sconvolgendo le dinamiche del mercato musicale. E chi ne paga le spese? Proprio le case discografiche, quelle che per anni hanno cavalcato l’onda della tecnologia a loro vantaggio. Adesso, invece, si trovano a dover combattere contro start-up che utilizzano l’IA per creare musica in modo più efficiente ed economico.

Ironico, vero? Quelle stesse major che hanno contribuito a rendere la musica un prodotto di massa ora devono affrontare una tecnologia che potrebbe rendere obsolete le loro strategie di mercato. Una volta, bastava un bel viso, qualche ritocco vocale e un video musicale accattivante per lanciare una carriera. Oggi, un algoritmo può fare tutto questo, e anche di più, senza nemmeno chiedere una pausa caffè.

La Resa dei Conti

La notizia della settimana è proprio la rivolta delle major contro le start up che usano intelligenza artificiale. A chi fosse sfuggita la newe può leggerla al fondo di questo articolo.

La disperazione delle major mi fa personalmente sorridere e non credo di essere l’unica.

Ufficialmente, le case discografiche, soprattutto le major, si trovano ora nella posizione di dover difendere la “vera arte” della musica, una posizione che avrebbero probabilmente deriso solo pochi anni fa.

Ufficiosamente, quel che fa incazzare le major non sono certo i diritti lesi degli artisti, ma il guadagno che stanno perdendo grazie a produzioni “by IA” sulle quali non possono rivendicare nulla. Almeno finora.

Il problema, per loro, nasce nel momento in cui l’intelligenza artificiale sforna brani sulla base dei dati inseriti, rimaneggiando basi, canzoni e testi che già esistono. Ecco che spuntano hits che sembrano quel tal brano, ma non lo sono, che ricordano una melodia già sentita, ma che non è.

Del resto, le note sono sette…

Ma forse è giusto così. Forse questa è la resa dei conti per un’industria che ha spesso privilegiato il profitto a breve termine rispetto alla qualità artistica a lungo termine.

Musica e IA

Comunque sia, la battaglia tra musicisti e tecnologia continua, con l’IA come ultimo avversario in questa lunga guerra. Le major stanno cercando di adattarsi, ma il futuro della musica è più incerto che mai.

Una cosa è certa: l’arte della musica non morirà, si trasformerà solo in modi che oggi possiamo appena immaginare. E forse, proprio da questa rivoluzione, emergeranno nuove forme di creatività che arricchiranno ulteriormente il nostro panorama sonoro.

Immagine di copertina generata con IA Bing

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Tina Rossi
Tina Rossi
(a.k.a. Fulvia Andreatta) Editrice. Una, nessuna e centomila, il suo motto è “è meglio fingersi acrobati, che sentirsi dei nani” Dice di sé:” Per attimi rimango sospeso nel vuoto,giuro qualche volta mi sento perduto, io mi fido solo del mio strano istinto, non mi ha mai tradito, non mi sento vinto, volo sul trapezio rischiando ogni giorno, eroe per un minuto e poi...bestia ritorno...poi ancora sul trapezio ad inventare un amore magari...è solo invenzione, per non lasciarsi morire...”