La mostra “The MAST Collection – A Visual Alphabet of lndustry, Work and Technology” condensa gli ultimi 200 anni di storia. Anni ricchi, folli, intensi, esplosivi, raccontati in più di 500 opere che parlano della nostra quotidianità, del lavoro, della tecnologia. Visibile fino al 22 maggio a Bologna, presso la Fondazione MAST, con ingresso completamente gratuito.
Fondazione MAST è un’istituzione internazionale, culturale e filantropica, basata sulla Tecnologia, l’Arte e l’Innovazione. “Nata a Bologna nel 2013, la Fondazione intende favorire i progetti che fanno leva su identità e creatività allo scopo di sviluppare nuove idee e di creare nuove connessioni“. Si legge sul sito.I soci fondatori della Fondazione MAST sono Coesia, gruppo di aziende specializzate in soluzioni industriali e packaging basato sull’innovazione, e la Fondazione Isabella Seràgnoli, organizzazione non profit privata e indipendente.
Nata con lo scopo di promuovere e valorizzare attività e progetti rivolti alla comunità in particolare in ambito sanitario e socio-culturale. The Mast collection , curata da Urs Stahel, è la prima grande esposizione di opere della Collezione della Fondazione. Oltre 500 immagini tra fotografie e video di duecento grandi fotografi italiani e internazionali, affiancati da artisti completamente anonimi. Infatti, una vasta selezione di materiali sono state prodotte da dagli stessi tecnici dell’impresa, come avveniva solitamente nell’area industriale.


The MAST Collection, la fatica di documentare il lavoro
Oggi la Collezione MAST si è affermata come centro di riferimento, unico al mondo, per la fotografia dell’Industria e del lavoro. Oltre a opere del XIX e inizio XX secolo, la raccolta abbraccia la fotografia contemporanea con un accurato processo di selezione e approccio metodologico.
La volontà di rappresentare il processo di industrializzazione della società e documentarne l’evoluzione ha conferito slancio e creatività all’iniziativa, connessa alla celebrazione delle attività produttive e della cultura del lavoro, anche nelle sue espressioni di impegno, fatica, sfruttamento, dignità. Un dipartimento di fotografia all’interno di una Fondazione che ha una missione di welfare e di sensibilizzazione alla riflessione, alla conoscenza, all’educazione e all’arte. Il lavoro prende un posto importante nelle nostre vite e la fotografia sociale, documentaria e storiografica lo omaggia con una raccolta di immagini potenti, insolite e rare. La mostra, proprio per la sua complessità, è stata strutturata in 53 capitoli dedicati ad altrettanti concetti illustrati dalle opere rappresentate.


Da Abandoned a Wealth
La forma espositiva è quella di un alfabeto che si snoda sulle pareti dei tre allestimenti e che permette di mettere in rilievo un sistema concettuale, che dalla A di “Abandoned”, abbandonato, arriva fino a W di “Waste”, rifiuto, “Water”, acqua, e “Wealth”, benessere economico. L’alfabeto rappresenta uno strumento che vuole indicare i punti di interesse e il senso di ogni immagine. Lungo il percorso espositivo, in nero sono indicate le tematiche affrontate specificamente nelle opere presentate, in chiaro quelle che rimandano a un pensiero critico ulteriore.
I numerosi capitoli sono vissuti come villaggi in cui convivono a stretto contatto vecchi e giovani, ricchi e poveri, sani e malati, operai e intellettuali. Aree industriali in cui si concentrano centinaia di professioni, punto di incontro di percezioni, atteggiamenti, progetti più disparati. La fotografia documentaristica incontra l’arte concettuale. Antichi processi di sviluppo e di stampa su diversi tipi di carta fotografica si confrontano con innovazione digitale e inkjet. Stampe dominate dal nero profondo affiancano opere dai colori vivaci. Alle manifestazioni di protesta contro il mercato e il crac finanziario, si affiancano le testimonianze visive del fenomeno migratorio e del lavoro d’ufficio.
La fotografia è figlia dell’industrializzazione e della tecnologia
Sul piano della scansione cronologica solo il XIX secolo è stato affrontato separatamente in una sezione dedicata alle fasi iniziali dell’industrializzazione e della storia della fotografia. Il filo conduttore è spesso costellato dai numerosi ritratti di lavoratori, dirigenti, disoccupati, persone in cerca di lavoro e migranti. “Il parallelismo tra industria, mezzo fotografico e modernità – dichiara il curatore,Urs Stahel – produce a tratti un effetto che può disorientare. La fotografia è figlia dell’industrializzazione e al tempo stesso ne rappresenta il documento visivo più incisivo, fondendo in sé memoria e commento“.
La mostra testimonia e documenta il progresso tecnologico e lo sforzo analogico sia del settore industriale sia della fotografia. Dall’industria, dalla fotografia e dalla modernità si passa all’alta tecnologia, alle reti generative delle immagini e alla post-post modernità, una sorta di contemporaneità 4.0. Dalla realtà alle immagini generate dall’intelligenza artificiale.

