Blatten, Svizzera: cronaca di una tragedia annunciata

C’è un’immagine che non si cancella facilmente: quella di Blatten, piccolo villaggio del Canton Vallese, travolto dalla frana devastante di un ghiacciaio. Una montagna che si sbriciola, un intero paese che scompare. Ma non è solo un fatto di cronaca locale. Non è una semplice tragedia alpina che, solo per un soffio, ha evitato morti e dispersi grazie all’evacuazione della popolazione. È un urlo della terra, un segnale fortissimo che arriva dritto alle coscienze. “La frana di Blatten, quel paese svizzero spazzato via, è una vicenda che riguarda tutti, ciascuno di noi.” Commenta Marco Bussone, Presidente nazionale di Uncem, e le sue parole non lasciano spazio a interpretazioni.

Ciò che è successo a Blatten parla anche all’Italia, alle sue valli montane e colline instabili, alle sue coste erose, ai suoi centri abitati sempre più spesso messi in ginocchio da piogge torrenziali e frane improvvise. Non possiamo più permetterci di vedere queste calamità come episodi isolati o fatalità naturali. Sono l’effetto di una crisi profonda che ha un nome preciso: cambiamento climatico.

Una crisi che non fa notizia

La crisi climatica è reale, evidente, devastante. Ma non fa notizia. Non perché manchino i dati, le immagini, gli eventi estremi. Semplicemente, la gente non vuole sentirne parlare. È un argomento che mette ansia, che disturba, che obbliga a ripensare il proprio stile di vita, e allora si preferisce ignorarlo. Per questo nei grandi media raramente trova spazio. Non crea share, non tiene incollati allo schermo come un femminicidio, una partita di calcio o un nuovo flirt vip. Non è “catching”, direbbero in una redazione. E anche quando se ne parla, lo si fa spesso con leggerezza, come fosse un argomento tecnico, per addetti ai lavori. È faticosa, complessa, lenta. E così, giorno dopo giorno, la crisi più grave del nostro tempo scompare dietro una nebbia di leggerezza e distrazione. È un’indifferenza che fa male. E che rende ogni frana, ogni alluvione, ogni Blatten più vicina di quanto siamo disposti ad ammettere.

Ma non parlarne non la rende meno presente. Non mostrarla non la rende meno reale. Continuiamo a vivere come se nulla stesse cambiando, mentre intorno a noi il paesaggio si sbriciola. Per questo non possiamo più raccontarci che “qui non succederà”. Ma anche se non vogliamo parlarne, le montagne lo fanno per noi.

Le montagne parlano

Non serve andare lontano per trovare segni tangibili di un territorio che si sgretola. Anche in Italia le montagne stanno parlando, e lo fanno con voce sempre più alta. Lo abbiamo visto chiaramente in Valle d’Aosta, dove nelle scorse settimane piogge intense e improvvise hanno provocato esondazioni e frane, isolando paesi, mettendo in ginocchio strade e comunità locali. No, davvero non serve andare lontano per comprendere la portata della minaccia. Le immagini della Svizzera colpiscono, ma non sono un’eccezione remota né un episodio isolato. Le inondazioni che hanno colpito nelle scorse settimane molte vallata italiane, con fiumi che straripano e versanti che cedono, non sono altro che l’ennesimo avviso.

Un avviso che arriva dopo altri, più tragici, come la valanga di Rigopiano, dove una miscela di neve, pioggia e incuria ha spazzato via un intero albergo e 29 vite. Anche quello non fu un caso imprevedibile, ma il risultato di condizioni estreme ormai sempre più frequenti.

Sono scenari che ricordano drammaticamente quello successo in Svizzera. E la somiglianza non è casuale, né limitata a una coincidenza meteorologica. È il frutto di un clima che cambia, che esaspera i fenomeni naturali rendendoli più intensi, più frequenti, più distruttivi.

Pensare che una “Blatten italiana” sia un’ipotesi remota è, purtroppo, un’illusione pericolosa. Le condizioni ci sono tutte: montagne sempre più fragili, piogge sempre più estreme, frane di ghiacciai o il loro inesorabile scioglimento, manutenzione insufficiente e una politica che fatica a mettere in atto ciò che da anni si proclama nei documenti. Quando un torrente esonda, quando una frana travolge una frazione, non è solo un danno infrastrutturale. È la crepa in un patto di sicurezza tra cittadini e istituzioni, tra uomo e territorio. E quella crepa si allarga ogni volta che ci si limita a tamponare l’emergenza senza investire davvero nella prevenzione.

Siamo tutti Blatten

“La Calabria con le Serre come il Canavese o il Pasubio. Blatten siamo ciascuno di noi, è un pezzo di nostro territorio, dietro casa”. Blatten non è un villaggio remoto, lontano dalla nostra vita quotidiana. È uno specchio in cui si riflettono le fragilità diffuse di tutto l’arco alpino e appenninico. È una rappresentazione concreta della vulnerabilità di un territorio che, per troppo tempo, è stato ignorato nelle scelte strategiche.

Chi vive in pianura, chi abita sul mare o in una grande città, non può pensare di essere al riparo. Perché “le Alpi sono hot spot climatico mondiale, dentro il Mediterraneo, cerniera di Europa che si scalda più di altri pezzi di territorio”. In altre parole, le Alpi, come tutto il nostro sistema montano, stanno vivendo sulla propria pelle gli effetti più accelerati del riscaldamento globale. Non è un fenomeno lontano, non è un problema solo dei ghiacciai o dei turisti. È una questione che riguarda la sicurezza di milioni di persone e la tenuta di interi ecosistemi.

Cronaca di una tragedia annunciata

Negarlo oggi è irresponsabile. “E dunque basta con i negazionisti del clima. Basta perdere tempo”. Lo afferma con forza Marco Bussone, ma lo dicono anche i numeri: eventi estremi raddoppiati, stagioni imprevedibili, siccità che alternano alluvioni. È il volto reale di un mondo che cambia, e lo fa più velocemente di quanto pensassimo. Non è più tempo di convegni senza esiti o di proclami da aggiornare ogni anno.

La Laudato Si’ di Papa Francesco aveva già lanciato un allarme chiaro dieci anni fa. Parlava di crisi ecologica, sì, ma anche di crisi sociale, di ineguaglianza, di ingiustizia. “La tragedia climatica denunciata insieme alla crisi sociale che porta dietro, dieci anni fa da Papa Francesco nella Laudato Si, oggi a Blatten è evidente e tocca ciascuno di noi”. È evidente, oggi più che mai, che clima e società sono legati: dove il territorio crolla, anche la coesione si sfilaccia. E chi paga, spesso, è chi ha meno strumenti per difendersi.

Non solo ghiacciai

“Ci tocca perché quell’emergenza non è dei ghiacciai o delle rocce senza permaflost, senza protezioni esposte al clima. È una emergenza ambientale, ecologica, sociale, economica…” È questa la vera frattura: abbiamo pensato per troppo tempo che i cambiamenti climatici fossero un problema di nicchia, da esperti o ambientalisti. Ma oggi è chiaro che ci riguardano tutti: agricoltori e pendolari, amministratori e famiglie. Non c’è economia, lavoro o salute pubblica che non venga toccata da un territorio che frana.

E la cosa più grave è che, da anni, abbiamo già le risposte scritte. E questa emergenza ambientale, sociale ed economica riguarda“un pezzo di territorio europeo che ha numerosi piani ben scritti e mai attuati, come le carte di Budoia e della Convenzione delle Alpi, gli appelli stessi sul clima di Uncem, Symbola, Legambiente, i documenti come il Piano nazionale di Adattamento ai Cambiamenti climatici, che ha bisogno di 10 miliardi subito, in cinque anni da investire”. Il problema non è l’assenza di visione, ma la mancanza di volontà e coraggio nel tradurre quei piani in realtà.

Serve una svolta concreta, subito

“Invece continuiamo tutti, purtroppo, a barcamenarci e a tentennare“, continua Bussone. È una critica che ci riguarda tutti: cittadini, istituzioni, imprese. Sappiamo cosa andrebbe fatto: investimenti nella prevenzione, nella manutenzione del territorio, in un’edilizia coerente con il nuovo clima, nella gestione delle acque, nei sistemi di allerta, nelle comunità energetiche. Ma restiamo fermi. E intanto i costi salgono: non solo economici, ma anche umani.

Blatten è crollata. Letteralmente. “Blatten implode, cade, come un pezzo di territorio assediato, con un monito durissimo per tutti. Dobbiamo fare presto”. Ogni ora di inazione oggi equivale a milioni spesi domani, a vite a rischio, a pezzi di Paese che si sgretolano.

Non c’è più un “altrove” sicuro

“Anche chi abita a Torino, o Cervia, o Crotone“, conclude il Presidente. Nessuno è escluso. Non esiste più un “altrove” dove rifugiarsi, un territorio protetto dalle conseguenze di questa emergenza. La sfida del clima è globale, ma le sue conseguenze si misurano metro per metro, casa per casa.

La frana del ghiacciaio in Svizzera non è stato solo geologico. È stato simbolico. Ha segnato il punto in cui la natura ci ha ricordato, con violenza, che non possiamo più permetterci di fingere che tutto andrà bene. Non andrà bene se continuiamo a ignorare gli avvertimenti. La vera frana è nella nostra capacità di decidere, di agire, di cambiare.

E ora, davvero, dobbiamo fare presto.

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Tina Rossi
Tina Rossi
(a.k.a. Fulvia Andreatta) Editrice. Una, nessuna e centomila, il suo motto è “è meglio fingersi acrobati, che sentirsi dei nani” Dice di sé:” Per attimi rimango sospeso nel vuoto,giuro qualche volta mi sento perduto, io mi fido solo del mio strano istinto, non mi ha mai tradito, non mi sento vinto, volo sul trapezio rischiando ogni giorno, eroe per un minuto e poi...bestia ritorno...poi ancora sul trapezio ad inventare un amore magari...è solo invenzione, per non lasciarsi morire...”
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