L.A. NOIRE: un detective nella città degli angeli e dei vizi

L.A. NOIRE: tornare dopo 11 anni in un capolavoro e non volerne più uscire

Piove in questa grigia mattina su Los Angeles, maledizione.

Quella pioggia insistente e scrosciante che ti fa venire voglia di saltare alla giornata successiva, avessero mai inventato un tasto apposta, ma c’è da scommettere che prima o poi lo faranno.

Almeno quel giorno eviteremo che l’acqua si fermi nella tesa del cappello, cosa dici Rusty?

Guido, il tragitto è breve anche se Rusty il mio socio, di fianco a me, non sta zitto un attimo.

E’ grossolano, razzista e odia le donne, ma è uno “sceriffo della vecchia scuola”, per questo sono stato affiancato a lui.

Gli striscioni che pubblicizzano Nixon come governatore sbatacchiano sotto le folate di vento bagnato, mentre le ruote di questa NASH Ambassador 600 sollevano pozzanghere e fango, proprio ora che abbiamo svoltato sul terrapieno.

Non c’è molta strada da fare dalla centrale di polizia al luogo dove hanno ritrovato il corpo di un’altra donna.

Un’altra…

Rusty dice che abbiamo a che fare con un emulatore dell’assassino della Dahlia, e forse siamo stati sbrigativi a chiudere il caso precedente.

E se questo fosse collegato? E se avessimo messo dietro le sbarre un innocente?

Dio mio, come sta cambiando il Mondo in questo 1947. Siamo tornati ieri dalla guerra e Rusty dice che chi ha affrontato i giapponesi non riesce a sopportare la moglie che strilla isterica in cucina.

Per questo passa alle vie di fatto. Forse ha ragione…

Ma in fondo… lui che ne sa della Guerra? Era troppo vecchio per farla.

Io invece mi ricordo delle grotte bruciate da… da che cosa? Vado in confusione quando ripenso al mio passato nell’esercito e i ricordi riaffiorano ricordi come flash, nel buio della notte.

Cole Phelps

h, forse non sapete chi sono. Mi chiamo Cole Phelps, agente di Polizia, ho 27 anni e sono stato decorato in guerra, nel Pacifico. Sono sposato e ho due figlie.

Ho grande senso civico e del dovere e, non lo nascondo, sono molto ambizioso. Voglio servire la mia Nazione e dare il meglio di me qui, nella mia città. La città degli angeli.

Anche se le voci sulla droga e su Mickey Cohen non mi lasciano certo tranquillo.

Almeno per il momento preferisco non pensarci…

LA NOIRE - la locandina del gioco con un detective con cappello borsalin chiaro con banda nera, completo marrone con panciotto e cravatta, alla sua destra un volto di donna preumibilmente cadavere e sulla sua sinistra un gruppo di agenti
L.A. NOIRE: un detective nella città degli angeli e dei vizi – Immagine da Everyeye.it

L.A. Noire

Sono passati più di dieci anni da quando misi le mani, e le dita soprattutto su L.A. NOIRE, un videogioco ormai diventato cult della Rockstar games.

All’epoca, dopo svariati tentativi di installazione su PC, finalmente andati in porto, mi tremarono le dita sulla tastiera, per l’emozione di poterlo giocare.

Oggi, dopo aver platinato l’edizione in PS4 ed in procinto di giocare la versione per realtà virtuale VR, devo dire che l’effetto è ancora lo stesso.

Certo, dici Rockstar e dici un colosso diventato una multinazionale del videogioco, capace di investire milioni in una produzione, quasi ridicolizzando la potenza di fuoco di una major cinematografica.

Capace in una sola giornata di vendite di accaparrarsi un fatturato 6 volte tanto il denaro speso.

Una casa passata attraverso lavori colossali, spesso attesi come l’acqua nel deserto, come la serie GTA, Red Dead Redemption, ma anche attraverso episodi meno conosciuti come Bully, o classici settoriali.

Come L.A. NOIRE appunto.

Sgombriamo il campo dalle incomprensioni, immediatamente. L.A. NOIRE è stato il videogioco più bello che abbia mai giocato. E, giunto alla veneranda età di 52, qualche cosa è sfilata di fronte ai miei occhi.

Per questo, a quasi 11 anni dalla sua uscita, non posso che non rattristarmi per il fatto che questo capolavoro non sia diventato famoso al pari dei suoi fratelli maggiori e soprattutto non abbia avuto un seguito, anche se non è mai detta l’ultima parola.

Why?

I motivi? Sin troppo facili da comprendere. Un open world ambientato nella Los Angeles del 1947, dove non si potevano fare carneficine, ma inserirsi rispettosamente in un codice comportamentale e soprattutto in una storia per nulla banale, poteva non essere di appeal immediato per chi desiderava gettare nel video quintalate di piombo o scudisciare mefistofelici e prevedibili mostri.

Sin dalla sua genesi tormentata, L.A. NOIRE aveva fatto comprendere che il prodotto sarebbe stato discusso e non avrebbe trovato omogeneità di consensi, essendosi trattato di un unicum mai più ripetuto.

Ancora adesso, rigiocando per la terza o quarta volta nei panni di Cole Phelps, ci si immerge capo e collo in un film virtuale, un amaro e disincantato viaggio nella costruzione del sogno americano, tra pozzi di petrolio ai margini della città e interi quartieri in espansione nella zona Ovest, a porto di scintillanti e affascinanti macchine della fine di quel decennio.

Per molti forse; sicuramente non per tutti.

L.A. is my lady

Los Angeles è senza dubbio la protagonista del gioco, ricostruita secondo foto e immagini di allora, con la possibilità di visitarne i luoghi di maggiori interessi, anche quando si è in free roaming, ovvero quando il nostro peregrinare per la città non è dipendente da una meta da raggiungere ad ogni costo, essendo questa la libertà di movimento data da un vero open world.

La storia di Cole Phelps si snoda attraverso 26 casi, tutti uniti tra di loro e testimoniano l’ascesa dell’agente da semplice agente di pattuglia fino al servizio Narcotici, passando per traffico e Omicidi, arrivando poi a un altro settore che non svelo per non spoilerare nulla sulla trama.

Più una serie di casi liberi, spesso brevi inseguimenti, slegati dalla storia, che rimpolpano ulteriormente un video dramma che richiede dalle 20 alle 25 ore per essere completato, tra interrogatori, indagini, scene di intermezzo e colpi di scena.

Freedom

Ricordo il senso di libertà che mi dava fermare la macchina che Phelps stava guidando e saltare su un vecchio camion, o una scintillante Cadillac e percorrere le vie alla ricerca degli infiniti collezionabili del gioco (oltre 100 rulli di film dell’epoca).

Senso di libertà che ancora mi dà, nonostante conosca quasi tutto del gioco e, da platinatore indefesso (ossia un giocatore che completa tutte le sfide e gli achievements del gioco, con ricompensa sotto forma di trofei) abbia sezionato gli angoli più remoti alla ricerca dei tanti segreti del gioco.

La bellezza di questo gioco, che ancora lo rende affascinante, sono punti di forza inamovibili, quali essersi ispirato nella sua sceneggiatura di ferro ai lavori di James Ellroy, resi poi alla perfezione dal film L.A. Confidential, del compianto Curtis Hanson.

Da Ella Fitzgerald a Hank Williams

Oppure alla avvolgente colonna sonora Jazz-Blues, suonata interamente senza ricorrere al digitale e con strumenti dell’epoca, nella quale fa la sua comparsa una rediviva Claudia Brücken, che doppia anche uno dei personaggi del gioco. Pensa un po’ te, la cantante dei Propaganda, gruppo teutonico salito alla ribalta negli anni ’80 per hits come Duel e P-Machinery.

Brani che si alternano a classici dell’epoca, suonati dalle radio delle svariate autovetture (ce ne sono 100 guidabili) che incontreremo per le strade della città, quali Stone cold dead in the market di Ella Fitzgerald, o altri di Peggy Lee, Hank Williams, Dinah Shore, Tex Williams e Martha Tilton, soltanto per citare qualche interprete.

Dunque perché, a distanza di anni, dare una chance a questo gioco?

Prima di tutto perché è un capolavoro che vi conquisterà per la sua capacità di immergervi in un mondo diverso, e tutti sappiamo quanto ne avremmo bisogno.

Un mondo, benché corrotto, diventato malinconia e quindi facile da governare e a cui abbandonarsi nei nostri viaggi senza fine tra Hollywood e downtown.

In secondo luogo perché è ancora disponibile (e lo sarà ancora per molti anni credo) sul portale Playstation Store. Benché originariamente sviluppato per PS3, la rimasterizzazione per PS4 gli ha donato nuova vita.

Inoltre, e siete appassionati di realtà virtuale, è stata creata una versione speciale, con 7 casi giocabili col casco VR della PS4.

Un one shot game, un momento di follia malinconica nel quale forse fuggire amaramente, anche se il mondo dal quale stiamo fuggendo, a livello di corruzione e cinismo, non gli è poi così distante.

Sì, sono alla squadra Incendi, la squadra dei reietti, e so troppo bene come ci sono finito.

Lei, Elsa… è rimasta soltanto lei a capirmi.

So che riuscirò a salvarla… se soltanto mi fossi fisato delle persone giuste…

Mauro Saglietti
Mauro Saglietti
Mauro Saglietti nasce a Torino il 25 maggio 1968, già appassionato di musica. Troppo piccolo per andare a Woodstock l’anno seguente, nonostante i suoi ripetuti strilli in tal senso, tenta comunque di imbarcarsi su di un volo intercontinentale, ma la statura e l’andatura tremolante lo tradiscono. Trascorre con inconsapevole disinvoltura gli anni dell’adolescenza attraverso la Guerra Fredda e la paura dell’atomica, gli anni della tempesta ormonale attraverso la paura dell’AIDS e gli anni del lavoro attraverso crisi economiche di ogni portata. Appassionato di montagna, del Toro di una volta e di scrittura, ha pubblicato tre romanzi: Hurricanes, ballammo una sola estate (2006), 3 minuti e 40 secondi (2016) e Paradise (2019). Primo in classifica con larga distanza sul secondo su Marte, Giove e Urano. Qualche difficoltà di affermazione soltanto sul pianeta Terra.