Primavera d’Irlanda è l’ultimo romanzo della serie dedicata all’isola verde smeraldo, scritto da Maura Maffei ed edito da Parallelo45 . Un libro raccontato con avvincente poesia, e con lo sfondo dei suggestivi paesaggi irlandesi, al tempo del vescovo Patrizio. Maura Maffei è una profonda conoscitrice della storia e della cultura irlandese. Infatti, più di 200 articoli monografici per il mensile Keltika portano la sua firma. Nel 1999 ha pubblicato per i tipi della prestigiosa casa editrice Coiscéim di Dublino un romanzo in gaelico d’Irlanda, intitolato An Fealltóir. il suo romanzo Dietro la tenda (2019), è stata scritto a quattro mani con l’autore dublinese Rónán Ú. Ó Lorcáin.
Non a caso prendiamo spunto per parlarne proprio oggi, 17 marzo, giorno di San Patrizio. Il giorno in cui, ovunque si trovino, tutti gli Irlandesi sono in festa per il loro Santo Patrono.
Primavera d’Irlanda un romanzo che rivive la storia
Pimavera d’Irlanda è un romanzo storico ed è il sedicesimo libro che Maura Maffei dedica a questa nazione. Nonostante i 16 libri editi, il nome Irlanda compare per la prima volta nel titolo, solo in questo ultimo romanzo. Viene affrontata, con un’ attenzione storica molto dettagliata, un’ epoca molto particolare: quella di San Patrizio, evangelizzatore dell’Irlanda.
Una figura , quella del Vescovo Patrizio, che è emigrata fuori dai confini dell’isola, e che affascina e appassiona milioni di persone in tutto il mondo. Abbiamo incontrato la scrittrice e con lei andiamo ad indagare dentro il suo romanzo.


Maura Cosa ti ha spinto a scrivere sul vescovo Patrizio?
Mi occupo d’Irlanda da quarant’anni, prima come appassionata di storia irlandese e poi, da 29 anni (il mio romanzo d’esordio risale al 1993) come autrice di romanzi storici. La figura di Patrizio, il vescovo che evangelizzò l’Isola di Smeraldo, mi ha sempre affascinato, perché unica nella sua grande modernità. Egli convertì in breve tempo tutti gli irlandesi con un messaggio di gioia. Ripeteva spesso, infatti, ai suoi collaboratori che la loro felicità sarebbe stata contagiosa.
“Mostriamo agli altri come noi cristiani siamo pieni di gioia e tutti vorranno essere come noi”. La mia preoccupazione più grande riguardo alla figura di Patrizio, nel renderlo personaggio di un romanzo, è stata per anni quella di dover lottare contro il cumulo di leggende con cui l’hanno sommerso nel corso dei secoli. Complice anche un periodo storico assai remoto, il V secolo, con poche testimonianze scritte, Patrizio era diventato per me quasi inarrivabile. Mi faceva tremare i polsi l’idea di restituirgli una dimensione rigorosamente storica.


La difficoltà più grande che hai incontrato nel raccontare questa storia?
È stata appunto quella di far uscire Patrizio dalla leggenda. Alla fine la soluzione vincente è stata quella di partire dai suoi scritti, che gli studiosi considerano autentici. Si tratta di due lunghe lettere redatte in lat. La Confessio, che è una sorta di autobiografia, e l’Epistola agli uomini di Corotico, in cui supplica questo pirata di smettere di razziare la popolazione irlandese che vive sulle coste per vendere endere donne, uomini e bambini come schiavi.
Lui stesso era stato tratto in Irlanda come schiavo, tanti anni prima, quando era un ragazzo di 16 anni che viveva in Britannia, figlio di un funzionario dell’Impero Romano, e costretto a fare il guardiano di pecore per 8 anni. Fu in quel periodo che il futuro Santo patrono d’Irlanda maturò una profonda conversione.
Dagli scritti di Patrizio, in un certo senso, io sono riuscita a ricostruire la sua voce. Nel romanzo “Primavera d’Irlanda”, nei dialoghi, quando interviene Patrizio, lo faccio esprimere con una specie di collage delle sue frasi, come se le sue parole di un tempo tornassero ad animarsi nella finzione narrativa.
L’ episodio del romanzo che ti è rimasto nel cuore
In “Primavera d’Irlanda” il ruolo del vescovo Patrizio è fondamentale, ma non mi ha spinto a scrivere una sorta di sua biografia romanzata. È invece la storia di un giovane guerriero che si trova a vivere e a lottare in un momento terribile per la sua tribù. È appena morto il suo signore e una tribù confinante la vuole conquistare con l’intrigo, cercando di circuire la donna della quale anche Ruairí, il giovane guerriero dai capelli fulvi e dal fisico possente, si è innamorato.
Sono molto legata, tra le pagine, alla passeggiata in riva al mare dei due protagonisti, Órlaith e Ruairí, in un ‘alba splendente di promesse e d’incanti. Ma forse la scena che preferisco è il sogno del vescovo Pádrai. In una notte tragica, egli vede nella visione due giovani sconosciuti, l’uno è appena stato rapito dai pirati e l’ altro suda freddo nell’insonnia, perché è stato lui a venderlo ai mercanti di schiavi. E il vecchio Pádraig, nella preghiera, intuisce subito che dovrà raggiungere uno dei due giovani per salvare l’altro.


Romanzo storico… è un romanzo per tutti? Lo possono leggere anche dei ragazzi?
Da anni, ormai, io ripeto che il romanzo storico, anzi, che un buon romanzo storico è come… la maglia Jacquard! Sì, perché quello che si ammira è un disegno geometrico di punti perfetti, di colori armonizzati e vari, di arditi sviluppi, mentre sul retro, che non è visibile, che resta doverosamente nascosto, corrono i fili del faticoso lavoro d’intreccio.
Allo stesso modo, un buon romanzo storico deve prendere per mano il lettore e accompagnarlo in un’altra epoca. Farlo sentire partecipe della vita quotidiana e dei grandi eventi, come se ne fosse davvero coinvolto, come se tutto avvenisse intorno a lui nel presente. Non bisogna mai annoiarlo con la propria erudizione o schiacciarlo con il peso nozionistico d’usi e costumi remoti. Tutto deve saltar fuori dalla vita dei personaggi, in armonia, rendendo appunto il lettore loro contemporaneo.
Il romanzo storico deve essere avvincente
Il pregiudizio sul romanzo storico nasce dal fatto che molti scrittori ne hanno fatto una sorta di saggio pedante, dilungandosi su aspetti puramente nozionistici e didascalici, che appesantiscono la narrazione, oppure puntando solo su eventi violenti e truculenti. Il romanzo storico, al contrario, deve essere avvincente, ti deve tenere incollato alle pagine. Da quasi trent’anni, io ce la metto tutta perché i miei libri siano così. Per questo “Primavera d’Irlanda” è assolutamente una lettura adatta a tutti. Una bella storia d’amore e di amicizia, diversi colpi di scena, l’intrigo, l’equivoco, il mistero.
È adatto anche a una lettura giovanile perché, essendo ambientato in un’epoca assai arcaica (siamo alla fine della storia antica e al principio del medioevo), ho volutamente introdotto alcuni elementi tipici del genere fantasy, come ad esempio la figura del vecchio saggio che affianca il giovane eroe. E poi vi sono tutti i valori formativi che educano e fanno crescere i ragazzi. La lealtà, la generosità, il rispetto delle promesse, il desiderio di bene che vince sul male. C’è soprattutto il tema del perdono, perché senza perdono non ci può essere pace.


Hai scritto circa 16 romanzi ambientati in Irlanda per chi volesse accostarsi a una prima lettura quale o quali consiglieresti e perché.
Per chi non mi conosce come autrice e volesse provare a leggere un mio romanzo, consiglierei senz’altro “La Sinfonia del Vento“. È il mio longseller, perché da più di quattro anni è uno dei libri più venduti della mia casa editrice, Parallelo45 Edizioni.
È forse il romanzo più amato dai miei lettori. Ha un’ambientazione più recente (tra il 1915 e il 1920), che può piacere anche a chi non è appassionato di romanzo storico. Come autrice di questo genere letterario, io non ho un’epoca prediletta e narro storie ambientate tra il medioevo e il Novecento, purché si parli d’Irlanda.


Nel romanzo ci sono capitoli ambientati a Dublino, durante l’Easter Rising, ossia la Rivolta di Pasqua degli intellettuali del 1916; altri sono ambientati in Italia, alla fine della Prima Guerra Mondiale, in Liguria (che è la mia terra natale), in un borgo che io ricostruisco esattamente com’era nel 1919 ma che tocca al lettore scoprire quale in realtà sia…
Ne “La Sinfonia del Vento”, c’è una storia d’amore per nulla scontata e c’è il tema potente della speranza. C’è Ciarán, un giovane musicista irlandese cui la vita aveva donato tutto: ricchezza, bellezza e straordinario talento. Perde tutto da un giorno all’altro e dovrà affrontare una lenta risalita per risorgere dalle proprie ceneri come l’araba fenice, per capire che la vita di prima, considerata perfetta, non valeva nulla, era fango in contronto alla vita nuova che giorno dopo giorno viene conquistata con fatica, avendo il coraggio di trasformare i propri limiti in occasioni di riscatto“.
Insomma non è facile resistere al fascino dell’Irlanda e della sua storia raccontata dalla penna di Maura Maffei.
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