Ci troviamo di fronte a un simbolo molto antico e suggestivo, un serpente o un drago che si morde la coda, formando un cerchio senza inizio e senza fine. Immobile? in eterno movimento? Chi può dirlo. Eccco perchè rappresenta l’eternità, la vita eterna, la totalità del tutto. Il ritorno ciclico che eternamente si rigenera. E’ l’ uroboro, emblema primordiale della creazione e della perfezione.
Per gli antichi l’uroboro, il re serpente, definisce il concetto ciclico del tempo. Secondo cui il tempo cosmico si compie ogni volta che gli astri fanno ritorno al punto di partenza. Nulla si crea. Nulla si distrugge. Tutto si trasforma. In pratica ogni 15.000 anni, secondo il calcolo medioevale, il tempo inverte il proprio giro e si procede in direzione opposta.
Dai Faraoni alla tradizione alchemica
La più antica rappresentazione occidentale di un Uroboro si trova in un antico testo funerario egizio, The Enigmatic Book of the Netherworld, ritrovato nella tomba del Faraone Tutankhamon della XVIII Dinastia. A ruota l’Uroboro compare nello gnosticismo, un importante movimento del cristianesimo delle Origini. Gli vengono attribuite proprietà curative, e diventa simbolo dell’oceano primordiale che separa il regno superiore dalle tenebrose acque del mondo inferiore.
L’uroboto rappresenta anche il processo alchemico, il ciclico susseguirsi di distillazioni e condensazioni. Un processo che, secondo la tradizione alchemica, porta la Materia Prima a riunirsi con il suo residuo fisso. Da questa ri-unione ecco derivare la pietra filosofale, il “grande elisir” o “quintessenza”.
Influenza nell’arte dal Rinascimento a Canova
L’ uroboro ha lasciato tracce ben visibili, sia nell’arte classica, sia nella cultura di massa. L”uroboro si trova nel monumento funebre a Maria Cristina d’Austria del 1805, a Vienna. Qui, Antonio Canova, pone sul vertice della piramide un medaglione col busto della regina racchiuso in un uroboro.
Ma già da prima è presente in moltissime rappresentazioni dell’Arte rinascimentale. Quindi ecco il pittore Giulio Romano, che nella sua Allegoria rappresentativa dell’ Immortalità, del 1520, piazza, proprio al centro un uroboro. Molti principi e Signori dell’epoca inseriscono questo animale nelle loro medaglie. Questo per rimarcare la loro forza intellettuale, politica e morale.
Magia, bellezza e alchimia da Piero di Cosimo a Waterhouse al Pantheon
L’uroboro, associato alla morte, in realtà ci anticipa la vita e la rinascita nella vita eterna. Ed ecco Simonetta Vespucci, nobildonna genovese, considerata all’epoca la più bella donna italiana, ritratta da Piero di Cosimo, nelle vesti di Cleopatra con tanto di aspide al collo che tanto è simile a un uroboro.
Per il pittore Waterhouse si torna alla magia. E la strega, bellissima ed elegante, ha un cerchio magico inciso per terra e, di fatto anche uno vivo appeso al collo che si morde la coda. Nascita eterna, pratiche magiche e pratiche alchemiche. Di nuovo lo troviamo nel Pantheon di Roma. Sul monumento funebre al cardinale Consalvi. Qui lo scultore Bertel Thorvaldsen rappresenta l’uroboro che circonda il cristogramma.
In tv e nei romanzi da Lost a Ende
Il simbolo dell’uroboro è ricorrente, in era moderna anche in ambito letterario, cinematografico e televisivo. Specie nei generi fantasy o del mistero. Lo troviamo nelle serie televisive Teen Wolf, Freaks!, Millennium, The Lost World, Hemlock Grove e X Files. Nel celebre romanzo di Michael Ende La storia infinita, il talismano Auryn è basato sull’uroboro.
Come dicevamo nulla si crea, nulla si ditrugge, tutto si trasforma. tranne l’uroboro che passa immutato attraverso i secoli.