L’albicocco, i cui frutti erano chiamati “mele d’Armenia”
L’albicocco è un alberello della famiglia delle Rosacee che, come molte altre piante da frutto, ha origine asiatica. Ricordate? La scorsa settimana vi abbiamo parlato della marmotta che, secondo alcuni studiosi, potrebbe essere l’unico albicocco europeo. Ma la specie che tutti noi conosciamo proviene dall’Asia centrale. È spontanea in un ampio bacino che si estende dalla Persia alla Manciuria e attecchisce anche alle pendici dell’Himalaia. In Cina, in un testo attribuito all’imperatore Yü intorno al 2200 a.C. viene già citato. La coltivazione, però, venne introdotta a partire dal III secolo a.C. e vennero selezionate migliori varietà da frutto.
I suoi semi, grazie alle carovane dei mercanti, vennero portati poi in Asia occidentale, dove attecchirono e prosperarono soprattutto in Armenia. Per questo, quando giunsero finalmente a Roma, le albicocche furono chiamate con l’epiteto curioso di mele d’Armenia. Ne resta traccia nel nome latino con cui la specie è stata catalogata, ossia Prunus armeniaca L. Nel I secolo, troviamo menzione dell’albicocco negli scritti di Dioscoride e Columella. Il nome comune, tuttavia, va messo in relazione con il greco praikokion, a indicare che i fiori precoci sbocciano a fine inverno. Praikokion influenzò anche l’arabo al-barquq e, con l’invasione araba della penisola iberica, l’albicocca si chiamò abercoqc in catalano e, finalmente, albaricoque in spagnolo. Da tale sostantivo derivano quelli presenti nella maggior parte delle lingue europee.


Piccola storia medicinale dell’albicocca
Nei secoli passati, i frutti deliziosi furono soprattutto apprezzati nell’alimentazione. Eppure non sempre furono considerati salutari. Secondo i medici arabi, che furono tenuti in grande considerazione pure dai contemporanei europei, provocavano febbri perniciose. Erano costretti a prescriverne il consumo soltanto in caso di afonia, perché pare che le albicocche fossero miracolose nel sanare le corde vocali. Ancora nel XVII secolo, eminenti studiosi le eliminavano dalla dieta dei deboli di stomaco e degli afflitti da disturbi epatici e da meteorismo. Altri sostenevano che causassero l’orticaria.
Per fortuna, a dispetto degli antichi dottori, intere generazioni di golosi hanno apprezzato le albicocche, scegliendole quale ingrediente privilegiato di confetture, conserve e canditi. Nel trattato Maison Rustique del 1702, gli autori Charles Estienne e Jean Liebault indicavano il modo per ottenerne un raccolto abbondante. Secondo loro, bastava innaffiare le radici degli alberi con latte di capra, al primo comparire dei fiori.


Una descrizione botanica essenziale
L’albicocco difficilmente supera i 6 metri d’altezza, ha rami angolosi e chioma tondeggiante. Le foglie picciolate sono ovali, a volte cordate alla base, larghe, appuntite all’apice e disposte in modo alterno. I fiori sbocciano tra febbraio e aprile, sono bianchi, con sfumature crema o di pallido rosa, e hanno la corolla a 5 petali delle Rosacee.
Il frutto matura a inizio luglio: è grande, globoso e carnoso, dalla buccia vellutata, di colore giallo-aranciato, spesso spruzzata di macchioline rosse. Racchiude un unico nocciolo ovale legnoso, schiacciato, liscio, con 1 o 2 semi all’interno. Tali semi possono contenere amigdalina, che libera acido cianidrico (o prussico), come avviene per il mandorlo amaro e il pesco. Occorre, pertanto, evitare di ingerirli.


Valore nutritivo di un frutto salutare
La medicina attuale ha completamente rivalutato le albicocche. Sono infatti una fonte privilegiata di vitamina A, oltre che di vitamine B, C e PP. Come zuccheri, contengono sia levulosio sia glucosio, per una percentuale totale compresa tra il 10 e il 13%. Ci sono poi protidi, coloranti affini alla carotina e diversi oligoelementi: ferro, bromo, calcio, cobalto, fosforo, fluoro, magnesio, manganese, potassio, sodio e zolfo. La presenza di ferro è assai interessante, per uno studio clinico che condusse Henri Leclerc. In un’anemia indotta da emorragia, sperimentò che la cura con le albicocche otteneva risultati del tutto simili a quella a base di fegato di vitello. Naturalmente occorre valutarne l’assunzione con il proprio medico, senza interrompere l’assunzione dei farmaci prescritti.
In generale, si tratta di frutti molto energetici e nutritivi, che si digeriscono facilmente quando sono ben maturi. Contribuiscono a rigenerare i tessuti e a tonificare il sistema nervoso e aumentano le difese immunitarie dell’organismo. Sono consigliati anche a chi soffre di insonnia e di nervosismo e in convalescenza, soprattutto per bambini e persone anziane. In applicazione esterna, la polpa ridotta in purea e applicata sul viso è un’ottima maschera rassodante per l’epidermide.


Foto di copertina da Pixabay
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