L’alchechengi, gabbia d’amore, e le altre piante di settembre, nell’almanacco medioevale

Alchechengi, zafferano, nocciolo, vite, colchico, rovo, melo e artemisia: tutte le piante di settembre, nell’almanacco medioevale!

L’alchechengi era descritto tra le piante di settembre, nell’almanacco medioevale. Ma era in ottima compagnia, perché diverse altre specie lo accompagnavano in questo ruolo. Dello zafferano, del nocciolo e della vite abbiamo già trattato in precedenti articoli. Ci limitiamo pertanto ad aggiungere un paio di curiosità.

Lo zafferano aveva, infatti, nel Medioevo, quotazioni che superavano addirittura quelle dell’oro. E non scesero neppure quando, a partire dal X secolo, si cominciò a coltivarlo in Europa, per usarlo come spezia e come erba tinctoria.

Riguardo, invece, al nocciolo, aggiungiamo che i suoi frutti erano alimento abituale sulla tavola medioevale. Inoltre, santa Ildegarda di Bingen ne consigliava l’utilizzo agli uomini che soffrivano d’impotenza.

Quanto poi al colchico, al rovo, all’artemisia e al melo, ve ne parleremo in specifici articoli, nelle prossime settimane. Torniamo, dunque, all’alchechengi, di cui desideriamo svelarvi misteri, virtù e segreti.

L’eleganza dell’alchechengi nel custodire ciò che è più prezioso

I frutti dell’alchechengi sono diversi da tutti gli altri, perché custoditi da un palloncino, simile a una lanterna. Esso è verde, diventa a poco a poco arancione e, a maturazione, di trasforma in una gabbia aerea di nervature secche. Mostra così la bacca vermiglia come attraverso a un velo impalpabile di sogni ed emozioni. Per questo ha assunto il nome popolare e molto poetico di amore in gabbia.

alchechengi in maturazione dentro una fitta rete come in gabbia

Già consigliato da Dioscoride contro l’itterizia, grazie anche agli studi degli antichi medici arabi, divenne assai popolare nel Medioevo. I suoi frutti si facevano candire, s’impiegavano nella preparazione di gelatine e salse oppure venivano conservati sott’aceto. Messi a macerare nel vino, erano ritenuti già allora un rimedio portentoso contro la gotta.

la bacca arancione come una piccola lanterna

Sotto il cuscino delle ragazze irlandesi

Pur essendo una specie originaria dell’Asia, l’alchechengi è stato coltivato in Europa sin dall’antichità, all’inizio come semplice pianta decorativa, per la sua bellezza. In Irlanda è chiamato in inglese winter-cherry e le sue bacche, come nella vicina Gran Bretagna, si usano per aromatizzare il tè. La tradizione vuole che una ragazza irlandese innamorata ne mangi il primo frutto avvistato nelle siepi, a settembre. Dovrà conservarne per tutta la notte il palloncino sotto il cuscino, affinché il suo amato si dichiari e la sposi prima che sia trascorso un anno.

grappoli di bacche arancioni su un ripiano

Un breve ritratto botanico

L’alchechengi, detto anche chichingero o lanterne rosse, appartiene alla famiglia delle Solanacee ed è stato catalogato da Linneo come Physalis alkekengi L. Physalis è un termine greco che vuol dire “vescica”. Alchechengi deriva, invece, dalla parola araba al-kakandi (riferita a sua volta al persiano kukunadj), che associa il palloncino che ingabbia il frutto alla forma di un vascello.

bacca come n piccolo vascello

Si tratta di una pianta erbacea perenne, dalla radice a rizoma sottile e strisciante, con fusto eretto che può raggiungere i 70 centimetri d’altezza. È abbastanza comune in Europa e Asia e predilige come habitat le siepi, i luoghi freschi e umidi e i boschi.

fiore bianco

Le foglie sono picciolate, ovali, appuntite e sono disposte in modo alterno a due a due. I fiori solitari, che sbocciano tra maggio e settembre, hanno una corolla pendula bianco verdastra, con 5 lobi e forma di sottocoppa. Molto interessante per questa specie è il calice verde che, quando si forma il frutto, diventa un involucro rigonfio di colore vermiglio. La bacca, che matura in autunno, è dunque racchiusa nel calice a palloncino e contiene molti piccoli semi, lenticolari e giallastri.

bacche nere

Principi attivi e impiego fitoterapico

La droga medicinale dell’alchechengi, pianta di grande bellezza e suggestione, piccole lanterne arancioni che hanno creato mille leggende. E’ ottima in fitoterapia. è rappresentata dal frutto e non ha particolari controindicazioni, se non dovute al fatto che contiene alcaloidi nelle parti verdi. Avviene la stessa cosa per il pomodoro, che non va mai consumato acerbo perché l’alcaloide solanina, che è concentrato appunto nelle parti verdi delle Solanacee, è tossica. È quindi una pessima abitudine per la nostra salute mangiare pomodori verdi in insalata o preparare marmellate di pomodori verdi.

alchechengi verde

I principi attivi specifici del chichingero sono fisalina, mucillagini, sostanze amare, tannini e, soprattutto, vitamina C, in quantità doppia rispetto al limone. Il decotto delle bacche essiccate si prepara mettendone una manciata in un litro d’acqua, si fa bollire per 5 minuti e si lascia in infusione sino a raffreddamento. Si filtra e si dolcifica a piacere. Si bene lungo la giornata, anche freddo, quale sostitutivo del tè. In alternativa, in stagione si può mangiare una piccola manciata di bacche al mattino a digiuno, prima di colazione. Se non sono coltivate, ma raccolte in natura, è sempre meglio identificare la pianta con le chiavi botaniche.

piccole campanelline verdi in boccio

Grazie ai suoi componenti, l’alchechengi giova negli stati influenzali, perché compensa la carenza di acido ascorbico. È un ottimo diuretico perché, come pure il frassino, è l’unica specie medicinale che agisce a livello dei tessuti organici, eliminando l’acido urico, senza effetti secondari. È utile per contrastare la ritenzione idrica, gli edemi sierosi da disturbi metabolici, l’itterizia e la sabbia nei reni. Si usa anche in caso di reumatismi di origine gottosa, di idropisia e di disturbi epatici.

bacca e gabbietta dorata

I deliziosi dolcetti lombardi

È tipico della cucina lombarda preparare, in stagione, i chichingeri al cioccolato. Adagiati nei loro pirottini, fanno bella mostra di sé nelle vetrine delle pasticcerie. Ma sono molto facili da fare persino in casa. Basta tirare completamente indietro l’involucro a palloncino e tuffare la bacca nel cioccolato fondente, tolto dal fuoco. Si lascia raffreddare e solidificare e si offre come un cioccolatino insolito, dal cuore morbido e fresco.

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Maura Maffei
Maura Maffei
Maura Maffei è da trent’anni autrice di romanzi storici ambientati in Irlanda, con 17 pubblicazioni all’attivo, in Italia e all’estero: è tra i pochi autori italiani a essere tradotti in gaelico d’Irlanda (“An Fealltóir”, Coisceim, Dublino, 1999). Ha vinto numerosi premi a livello nazionale e internazionale, tra i quali ci tiene a ricordare il primo premio assoluto al 56° Concorso Letterario Internazionale San Domenichino – Città di Massa, con il romanzo “La Sinfonia del Vento” (Parallelo45 Edizioni, Piacenza, 2017) e il primo premio Sezione Romanzo Storico al Rotary Bormio Contea2019, con il romanzo “Quel che abisso tace” (Parallelo45 Edizioni, Piacenza, 2019). È a sua volta attualmente membro della Giuria del Premio Letterario “Lorenzo Alessandri”. Il suo romanzo più recente è “Quel che onda divide” (Parallelo45 Edizioni, Piacenza 2022) che, come il precedente “Quel che abisso tace”, narra ai lettori il dramma degli emigrati italiani nel Regno Unito, dopo la dichiarazione di Mussolini alla Gran Bretagna, e in particolare l’affondamento dell’Arandora Star, avvenuto il 2 luglio 1940, al largo delle coste irlandesi. In questa tragedia morirono da innocenti 446 nostri connazionali internati civili che, purtroppo, a distanza di più di ottant’anni, non sono ancora menzionati sui libri di storia. Ha frequentato il corso di Erboristeria presso la Facoltà di Farmacia di Urbino, conseguendo la massima votazione e la lode. È anche soprano lirico, con un diploma di compimento in Conservatorio. Ama dipingere, ha una vasta collezione di giochi di società e un’altrettanto vasta cineteca. È appassionata di vecchi film di Hollywood, quelli che si giravano tra gli Anni Trenta e gli Anni Sessanta del secolo scorso. Tra i registi di allora, adora Hawks, Leisen e Capra. Mette sempre la famiglia al primo posto, moglie di Paolo dal 1994 e madre di Maria Eloisa.