L ‘Arte Povera nasce nel 1967, proprio a seguito di una mostra, che darà poi il nome all’intero movimento, curata dallo storico dell’arte Germano Celant. La mostra si tiene a Genova, alla Galleria La Bertesca e partecipano molti autori dell’ambito torinese. Sono 13 artisti che hanno iniziato a lavorare, già dall’inizio dei anni Sessanta, producendo delle opere che escono un po’ dai confini tradizionali del “mood” artistico fino ad allora utilizzato. Essenzialmente perchè utilizzano materiali di tutti i tipi.
Sono materiali decisamente fuori dal comune. Che l’arte, fino ad allora non aveva mai visto sul proprio palcoscenico. Acqua, carbone, fuoco, scarti industriali, plastica, animali vivi, neve, deserti … Tutta una serie di elementi che si possono trovare in natura come per strada. Una caratteristica in comune: non costano.
Arte povera, opere che si arrampicano ovunque
In realtà hanno anche un altro elemento in comune “chiunque può farli” come spiega lo stesso Celant. Non bisogna per forza avere la possibilità economica di comprare certi materiali, ma si possono facilmente reperire ovunque. Quindi all’interno della storia dell’arte contemporanea è un grande strappo. Via marmi, oli, tessere preziose, damaschi… Tutto si trova dappertutto.
L’arte povera permette anche la realizzazione di opere “effimere”, che possono scomparire dopo poco, andando così a scardinare un assioma fino al quel momento incontrovertibile sull’arte: la durata nel tempo, il tramandarsi ai posteri. Questo ermette alle opere di andare ovunque perchè, sempre per citare Celant, queste opere si arrampicano in qualsiasi tipo di spazio.
Da Kounellis a Merz passano per Calzolari
L’obiettivo comune è quello di entrare in aperto contrasto con l’arte tradizionale, di cui si rifiutano supporti e tecniche. Kounellis, Pistoletto, Anselmo, Boetti, Fabro, Paolini, Zorio, Calzolari, Merz e Prini sono tra i maggiori esponenti dell’arte povera. Le opere assumono una valenza da avanguardia e provocano scalpore.


Due esempi tra tutti. Giovanni Anselmo con Scultura che mangia (1968, collezione Sonnabend, New York) rappresenta due blocchi di pietra che schiacciano un cespo di lattuga vero, per cui soggetto a marcire. Oppure Kounellis, che fissa un pappagallo vero su una tela dipinta. La dimostrazione perfetta che la natura dispone di più colori di qualsiasi pittore.
Un’ arte democratica
Vivono a terra o anche agganciate ai soffitti. Non hanno bisogno di un contenitore tradizionale, ma, fondamentalmente, sono fluide. Si muovono nello spazio liberarmente, lo attivano, lo caricano di energia. Ci sono canoe di 11 metri, ad esempio, che volano completamente nelle cupole. Ci sono dei numeri di Fibonacci che segnano l’architettura esterna di certi edifici come la Mole Antonelliana a Torino.


E un modo completamente libero e aperto. Un arte che lavora con tutte le situazioni, con il sito in cui si colloca, con tutti i tipi di materiali, in totale democrazia. L’arte povera esprime il concetto che tutte le materie possono raccontare un modo diverso di intervenire.
Artisti superstar.. Una ricca arte Povera
L’arte povera è comunque, indiscutibilmente, un lusso per ricchi. Sembra un paradosso, anche e soprattutto perché i suoi materiali non sono di certo preziosi. Il suo mercato inizia a crescere in modo esponenziale raggiungendo uno dei momenti più importanti nel febbraio 2014. A Londra, con l’asta Eyes Wide Open: An Italian Vision.
In catalogo, la più grande collezione di opere di Arte Povera. Quindici record d’artista stabiliti in una sola sessione, tra i quali quelli di Alighiero Boetti, Michelangelo Pistoletto, Pino Pascali e Luciano Fabro.

