Badante per assistenza pazienti con Alzheimer: sempre più difficile

Nonostante i progressi nella conoscenza e nella ricerca, il sistema di assistenza per pazienti con Alzheimer rimane fortemente carente, delegando gran parte del carico alle famiglie e ai caregiver che non trovano facilmente badanti e operatori qualificati. Le difficoltà economiche, la solitudine e l’accesso diseguale ai servizi pongono sfide urgenti, mentre le famiglie e i pazienti guardano ai nuovi farmaci come unica vera speranza per un futuro migliore.

Ma esiste anche il problema inverso. Per le badanti è sempre più complicato trovare una famiglia che possa sostenere il costo di un servizio al paziente e che copra l’impegno e il tempo profuso dall’operatore o operatrice.

Il tema della malattia di Alzheimer e del suo impatto sulle persone colpite e sui loro caregiver è estremamente delicato e toccante. Nel corso di questo approfondimento, riporteremo delle testimonianze reali di chi vive quotidianamente questa realtà, sia come paziente che come familiare. Per motivi di privacy e per tutelare l’identità degli intervistati, i nomi sono stati modificati e sostituiti con nomi fittizi. Le storie raccontate riflettono comunque situazioni autentiche e comuni a molte famiglie che si trovano ad affrontare la malattia di Alzheimer.

Perché la solitudine del caregiver è in aumento e cosa sta succedendo con il supporto delle badanti?

Le famiglie che si prendono cura di una persona con Alzheimer spesso si trovano a fare i conti con un senso di solitudine opprimente. Pensiamo a Maria, 58 anni, che da cinque anni si occupa del marito affetto dalla malattia. Nonostante i suoi tre figli adulti vivano a pochi chilometri di distanza, Maria racconta che il peso principale dell’assistenza è tutto sulle sue spalle. “È come vivere in un’isola deserta, ma con il rumore costante della malattia,” dice.

I dati del rapporto Censis-Aima riflettono proprio questa realtà: il 20% dei caregiver non riceve alcun aiuto esterno e solo una minoranza può contare su familiari che partecipano attivamente alla gestione quotidiana del malato.

Anche quando è possibile assumere una badante per un paziente con Alzheimer, la situazione non diventa necessariamente più semplice. Ad esempio, Pietro, un uomo di 62 anni, ha scelto di assumere una badante non convivente per la madre di 85 anni. Sebbene questa figura professionale sollevi in parte il carico, Pietro sottolinea come i costi siano elevatissimi, rappresentando oltre il 75% delle spese dirette. Non sorprende quindi che il costo medio annuo per paziente, che si aggira attorno ai 72.000 euro, sia insostenibile per molte famiglie. A questo si aggiunge un ulteriore peso psicologico: il 68,3% dei caregiver si sente solo, nonostante l’84,9% provi un senso di utilità nell’aiutare il proprio caro.

Questa solitudine porta spesso a tensioni familiari. Maria, per esempio, ammette che discutere con i figli su come dividere le responsabilità è diventato fonte di litigi costanti. Questo riflette il dato secondo cui più della metà delle famiglie convivono con conflitti interni a causa della gestione della malattia. Per molti, vivere questa condizione è come affrontare una battaglia quotidiana senza supporti adeguati.

Badante per pazienti con alzheimer e caregiver - nella foto in un acorsia di ospedale una signora di mezza eta, bionda, accompagna una signora più anziana con capelli bianchi corti che si appoggia a un bastona, le due donne sono di schiena e camminano
Badante per assistenza pazienti con Alzheimer: sempre più difficile – Foto di sarcifilippo da Pixabay

In che modo la pandemia ha influenzato la condizione dei pazienti e dei caregiver?

La pandemia di Covid-19 ha lasciato un’impronta indelebile sulla gestione dell’Alzheimer. Molte famiglie si sono trovate a dover riorganizzare le proprie vite, con conseguenze che vanno ben oltre l’aspetto sanitario. Luigi, un imprenditore di 53 anni, racconta come la diagnosi di Alzheimer del padre sia arrivata pochi mesi dopo l’inizio della pandemia. Luigi si è trovato a dover bilanciare il lavoro in smart working con il ruolo di caregiver, una sfida resa ancora più complessa dal dover gestire una nuova routine domestica per il padre.

Il rapporto evidenzia un aumento di pazienti più giovani e ancora lavorativamente attivi. Questo cambiamento richiede una riorganizzazione completa della vita, sia per il paziente che per i caregiver. Nel caso di Anna, una madre di 47 anni, il marito ha ricevuto una diagnosi di Alzheimer precoce. Con due figli adolescenti e un lavoro a tempo pieno, Anna ha dovuto rivedere completamente le sue giornate, affidandosi a soluzioni come la riduzione dell’orario lavorativo, con ripercussioni sul bilancio familiare.

Anche i caregiver, spesso tra i 46 e i 60 anni, vivono un doppio carico: lavorano e assistono il proprio caro. La prevalenza femminile nel ruolo di caregiver è ancora evidente: più del 70% sono donne. È il caso di Roberta, che si occupa della madre 80enne. Roberta racconta come le sue giornate siano scandite da telefonate di controllo, visite mediche e l’organizzazione della badante, il tutto mentre cerca di mantenere il suo lavoro part-time.

Badante per pazienti con alzheimer e caregiver - una donna anziana con capelli bianchi corti è seduta su una sedia a rotelle e vicino a lei un letto con  le sbarre da ospedale
Badante per assistenza pazienti con Alzheimer: sempre più difficile – Foto di Gerd Altmann da Pixabay

Servizi pubblici insufficienti: la famiglia come unico pilastro

Le famiglie di persone con Alzheimer si sentono abbandonate da un sistema di servizi pubblici che non risponde alle loro necessità. Carla, 64 anni, si occupa del marito con Alzheimer da oltre sei anni. “Avevamo sperato che il nostro Comune ci offrisse qualche sostegno, ma al di là di un’assistente sociale che viene una volta al mese, tutto il resto è sulle mie spalle,” racconta. Questo senso di abbandono emerge anche dai dati: solo il 36,2% dei caregiver ritiene l’assistenza pubblica adeguata.

La pandemia non ha fatto che peggiorare una situazione già critica. Per il 42,3% dei caregiver, i servizi pubblici non sono cambiati negli ultimi anni, mentre quasi un terzo ritiene che siano peggiorati. Pensiamo a Giovanni, che vive in una zona rurale. Dopo la pandemia, il medico di base ha ridotto le visite domiciliari, costringendo Giovanni a portare sua madre in città per ogni controllo. Questa mancanza di supporto aggrava il modello assistenziale attuale, basato quasi interamente sulle famiglie.

Il ricorso a badanti per pazienti con Alzheimer è una soluzione frequente, ma spesso non sufficiente a compensare le carenze del sistema. Inoltre, il passaggio da badanti conviventi a non conviventi, rilevato dal rapporto, può indicare una scelta dettata dai costi, ma anche dall’isolamento che la convivenza comporta. In ogni caso, il quadro che emerge è quello di una sanità pubblica percepita come inadeguata a rispondere alle esigenze crescenti di queste famiglie.

Come si distribuiscono i servizi sanitari tra Nord e Sud e quali disparità emergono?

L’accesso ai servizi varia drasticamente tra Nord e Sud, creando una disparità che penalizza molte famiglie. Al Sud, quasi il 60% dei pazienti con Alzheimer non ha mai effettuato una visita presso un Centro per i disturbi cognitivi e le demenze (Cdcd), contro percentuali decisamente inferiori al Nord. Francesca, 35 anni, che vive in una città del Sud Italia, racconta: “Abbiamo dovuto aspettare mesi per una visita specialistica. Alla fine, siamo andati a Napoli, pagando tutto di tasca nostra.”

Anche al Nord, però, i caregiver si trovano a lottare contro tempi di attesa eccessivi. Marco, che vive in Lombardia, ha dovuto attendere due anni per una diagnosi formale per suo padre. Questo dato è confermato dal rapporto, che registra un aumento dei tempi medi di diagnosi da 1,8 a 2 anni tra il 2015 e il 2023.

Queste disparità regionali si riflettono anche nell’assistenza successiva alla diagnosi. Solo il 37,7% dei pazienti è seguito da un Cdcd. Al Nord, questa percentuale sale al 48,2%, mentre al Centro e al Sud scende a circa un terzo. Questo squilibrio evidenzia la necessità di un intervento strutturale per garantire pari accesso alle cure su tutto il territorio nazionale, un passo fondamentale per ridurre l’ineguaglianza e migliorare la qualità della vita dei pazienti e delle loro famiglie.

Pazienti con disturbi cognitivi lievi (Mci): una battaglia silenziosa

I pazienti con disturbi cognitivi lievi (Mci) rappresentano una categoria spesso trascurata, ma il loro numero è in aumento. Maria Teresa, 67 anni, racconta che per mesi ha notato piccoli problemi di memoria e difficoltà a concentrarsi. Dopo la diagnosi di Mci, ha vissuto un mix di paura e speranza. “La mia paura più grande è che peggiorerò, ma i medici mi hanno parlato di nuovi farmaci che potrebbero aiutarmi,” dice.

Il rapporto evidenzia che il 90,1% dei pazienti Mci vive con il timore del peggioramento. Per molti, come Maria Teresa, la speranza risiede nelle nuove terapie farmacologiche. Tuttavia, solo il 6,9% dei pazienti si rivolge inizialmente a un Cdcd per la diagnosi, mentre il medico di base rimane il primo punto di riferimento. Questo dimostra quanto sia fondamentale potenziare la formazione dei medici di famiglia e migliorare la rete di supporto per individuare i pazienti in modo tempestivo.

Nonostante le difficoltà, alcuni pazienti vedono miglioramenti. Circa il 54,4% ha ricevuto consigli su stili di vita sani, e il 38,2% segue terapie farmacologiche specifiche. Tuttavia, molti lamentano la mancanza di supporto psicologico, che potrebbe aiutarli a gestire le difficoltà quotidiane. Per persone come Maria Teresa, l’accesso a gruppi di supporto o percorsi sperimentali potrebbe fare la differenza tra lottare da soli e sentirsi parte di una comunità.

Perfetto, allora integro le dichiarazioni nel paragrafo “Speranze e sfide per il futuro” esattamente come riportate nel testo originale. Ecco come risulterebbe il paragrafo aggiornato:

Speranze e sfide per il futuro

La ricerca offre nuove speranze per i pazienti con Alzheimer e le loro famiglie, ma la strada da percorrere è ancora lunga. Patrizia Spadin, Presidente di Aima, ha dichiarato: «È grande l’amarezza nel constatare che la condizione delle famiglie colpite dalla malattia di Alzheimer continua ad essere drammatica. Ancora una volta il Paese si è arenato sui “pannicelli caldi”. Politica e istituzioni non riescono a intervenire adeguatamente nonostante gli incessanti appelli che Aima, in 40 anni di pressante attività, ha continuato a lanciare.

La preoccupazione aumenta di fronte ad una vasta platea di persone con deterioramento cognitivo lieve (Mci) che vanno individuate, valutate e prese in carico. Il nostro sistema di servizi non ha né personale, né spazi temporali e fisici, per accogliere altri pazienti. La politica si trincera dietro le solite scuse, le istituzioni divagano e traccheggiano, le famiglie sono sole. Eppure, la ricerca ci ha condotto ad un passo dal futuro: chissà quando riusciremo a fare questo passo».

Questo grido di denuncia trova eco nelle parole di Ketty Vaccaro, Responsabile Ricerca biomedica e Salute del Censis, che sottolinea: «Nonostante gli innegabili progressi nella conoscenza della malattia e della ricerca di questi 25 anni, quel che colpisce è la sostanziale staticità della condizione dei pazienti e dei loro caregiver: i 2 anni per arrivare alla diagnosi, le difficoltà ad avere un punto di ricevimento unico e costante nelle cure, l’accesso limitato ai farmaci, la carenza storica di servizi di assistenza a domicilio e sul territorio, la crescente solitudine dei caregiver.

È poi emersa tutta la complessità della condizione delle persone che già sperimentano un disturbo cognitivo e che vivono nella costante paura di un peggioramento, e che hanno nei nuovi farmaci, che dovrebbero essere presto disponibili, l’unica speranza concreta».

Qualche numero

Queste dichiarazioni mettono in luce il divario tra il progresso scientifico e la realtà quotidiana vissuta dai pazienti con Alzheimer e dai loro familiari. Il futuro appare promettente dal punto di vista medico, ma richiede un cambio di paradigma nei servizi sociali e sanitari. È necessario intervenire con urgenza per evitare che questi progressi restino solo sulla carta e per dare alle famiglie non solo speranza, ma anche risposte concrete.

Dopo venticinque anni dalla prima ricerca sul tema, il rapporto Censis-Aima del 2024 conferma quanto la gestione dell’Alzheimer continui a pesare sulle famiglie. Per molti caregiver, l’assistenza al proprio caro significa affrontare quotidianamente una solitudine profonda. Uno su cinque dichiara di non ricevere alcun tipo di aiuto, un dato in crescita rispetto al passato. Persino il sostegno da parte di altri familiari risulta sempre più scarso, e si nota una riduzione della presenza continuativa di badanti. Le famiglie sono il pilastro dell’assistenza, ma a un costo altissimo: il 41,1% ricorre a una badante, con un peso economico che arriva a rappresentare il 75% delle spese dirette. I numeri parlano chiaro: il costo medio annuo per un paziente ha raggiunto i 72.000 euro, un aumento significativo rispetto ai dati del 2015.

Questa situazione economica drammatica colpisce non solo il bilancio delle famiglie ma anche il loro equilibrio interno. In oltre la metà dei casi, si registrano tensioni familiari, segno di quanto la malattia influenzi tutti gli aspetti della vita domestica. Eppure, il senso di responsabilità è una costante: nonostante il 68,3% dei caregiver si senta solo, l’84,9% trova comunque una motivazione nel sentirsi utile per il proprio caro.

badanti per pazienti con Alzheimer e caregiver - la scritta alzheimer fatta con pezzi di puzzle che mancano
Badante per assistenza pazienti con Alzheimer: sempre più difficile – Foto di Gerd Altmann da Pixabay

Credit

Questi sono i principali risultati della ricerca «L’impatto economico e sociale della malattia di Alzheimer dopo la pandemia da Covid-19» che è stata presentata oggi a Roma da Ketty Vaccaro, Responsabile Ricerca biomedica e Salute del Censis, e discussa da Patrizia Spadin, Presidente Associazione italiana Malattia Alzheimer (Aima), Carmine Basilicata, Direzione Programmazione sanitaria del Ministero della Salute, Giovambattista Desideri, Società Italiana di Gerontologia e Geriatria (Sigg), Marcello Gemmato, Sottosegretario Ministero della Salute, Beatrice Lorenzin, Presidente Intergruppo parlamentare Alzheimer e Neuroscienze, Camillo Marra, Presidente Società italiana di Neurologia per le Demenze (Sindem), Alessandro Padovani, Presidente della Società italiana di Neurologia (Sin), Annarita Patriarca, Presidente Intergruppo parlamentare Alzheimer e Neuroscienze, Paolo Maria Rossini, Coordinatore Progetto Interceptor, Giuseppe De Rita, Presidente Censis

Foto copertina di Rudy and Peter Skitterians da Pixabay

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Tina Rossi
Tina Rossi
(a.k.a. Fulvia Andreatta) Editrice. Una, nessuna e centomila, il suo motto è “è meglio fingersi acrobati, che sentirsi dei nani” Dice di sé:” Per attimi rimango sospeso nel vuoto,giuro qualche volta mi sento perduto, io mi fido solo del mio strano istinto, non mi ha mai tradito, non mi sento vinto, volo sul trapezio rischiando ogni giorno, eroe per un minuto e poi...bestia ritorno...poi ancora sul trapezio ad inventare un amore magari...è solo invenzione, per non lasciarsi morire...”