“Mi piacciono i luoghi che puzzano di umanità. La strada e il suo universo, Tokyo e la sua terra promessa“. Se esiste un fotografo che odia gli studi fotografici quello è proprio Daido Moriyama. Da sessant’anni il maestro della fotografia di strada giapponese si aggira nella metropoli che non dorme mai: Tokyo.
Ha immortalato i lavoratori della notte, il fascino magnetico della città degli incanti e i suoi segreti più nascosti. Una rivoluzione fotografica che abbatte i cliché tradizionali legati al Giappone e ne mette in rilievo la parte oscura e allo stesso tempo brillante: il Giappone ribelle del dopoguerra.


Kamagasaki il quartiere degli affamati.
Daido Moriyama nasce a Osaka nel 1938, in un paese distrutto dalla guerra. Distrutto come il quartiere di Kamagasaki, che un tempo era il quartiere della mafia, dei lavoratori a giornata, di tutti gli affamati del paese. E’ proprio qui che alla fine degli anni Cinquanta Daido Moriyama realizza le sue prime uscite per scattare delle fotografie.
Ancora oggi, Kamagasaki è popolato da anime perse. Una visione rara in un paese in cui la povertà è quasi sempre invisibile. Persone che non si sono adattate alla società arrivano qui da ogni parte del paese. Tutti hanno un motivo per cui vivere a Kamagasaki. E Daido Moriyama ama perdersi nel movimento infinito delle strade, lo emoziona. Ama i quartieri sensuali e selvaggi che non hanno subito trasformazioni.


Moryama, predestinato dal nome
Il vero nome di Moriyama è in realtà Hiromichi, che nella lingua giapponese è composto da due caratteri. Hiro, ovvero “ampio”, e michi, che significa “strada”. Pare, dunque, che il destino di questo artista sia stato scritto fin dalla nascita. Predestinato a un vagabondaggio urbano, tra viuzze sudice che immortala in scatti rapidi e discreti.
Shinjuku
Nel 1961 si traferisce a Tokyo. E’ qui che scopre il quartiere di Shinjuku .”Il mio piccolo villaggio, come si dice in giapponese, è dove si ammassa l’umanità. A Shinjuku non ci sono nato, ma è diventato un pò la mia patria“. A Shinjuku c’è la più alta concentrazione mondiale di bar, ristoranti e club di ogni tipo. E’ la terra promessa del piacere e del divertimento. Toshio Hashinguchi, direttore del museo di SHinjuku racconta che ” nell’ epoca Edo, nel XVIII secolo, era un quartiere di prostituzione per i Samurai. Questo “divertimento” dura ancora oggi.


Ora qui sono stati trasferiti gli uffici comunali di Tokyo, e Shinjuku si è imposta come un grande quartiere d’affari. Nel dopoguerra il denaro score a fiumi e,.in pochi decenni,.il quartiere diventa l’emblema del Giappone moderno. Prima di tutto grazie alla sua stazione che ospita ogni giorno tre milioni di viaggiatori. E’ questa umanità ingolfata nella più grande metropoli del mondo che Moryama fa emergere in un turbinio crescente di luci e colori.
Un miscuglio di chiaroscuro e luci brillanti
Shinjuku è quindi per l’obiettivo di Moryama un teatro, i grattacieli sono la scena e le viuzze il backstage. Lo incanta il miscuglio di strade illuminate come Broadway e di vicoli in chiaroscuro, brulicanti di ristoranti e rosticcerie di pochi metri quadri dove si trovano sulle graticole spiedini di colli di pollo. Cacciatore di immagini spesso sfocate, fuori quadro, colte al volo, si appassiona soprattutto agli emarginati e ai nottambuli.
In questa società così conservatrice è uno dei primi a scoprire il volto alternativo del Giappone. Ballerine, call-girl, prostitute tatuate in un paese dove il tatuaggio è ancora molto legato alla mafia e quindi malvisto. Le foto di Moryama rappresentano spesso persone anticonformiste. Shinjuku è la terra che li accoglie, dove si sentono a casa.


Kabukicho, l’ispirazione del desiderio
E’ nel più grande quartiere a luci rosse del Gaippone, Kabukicho, che Moryama si tuffa ad incontrarle. Qui, dove ogni metro quadrato è dedicato all’approccio. Dove i bar propongono ore di conversazione con hostess a pagamento e dove gigolò in vetrina si offrono in ogni stile, dal più elegante al più sexy alle donne. Qui il fotografo Moryama coglie ciò che per lui è sottinteso in ogni suo scatto: il desiderio.


Per lui fotografare significa desiderare: un desiderio grezzo, sfocato e sgranato. Queste sono le parole d’ordine della rivista Provoke di cui entra a far parte nel 1969. I fotografi di Provoke si permettono di tutto: immagini sovraesposte, sgranate, contrasti, velocità e giochi d’ombre. Esperienze caotiche, crude espressioni della modernità.


Daido Moryama ha scattato anche diverse foto nei cosiddetti Love Hotel, luoghi dove si soggiorna solo ed esclusivamente qualche ora per vivere esperienze sessuali tra coppie clandestine e non. Sono foto di donne icone sessuali, spesso nude, colte nella loro intimità. Immagini provocatorie per abbattere i tabù sulla sessualità e offrirne il suo sguardo da fotografo poetico.
Anche le foto dei love Hotel sono incredibili. Un orgia di stravaganze, di camere ultra kitsch, di colori fiabeschi alle facciate. A 84 anni Daido Moryama continua a scattare un Giappone in costante mutamento.