Davide De Agostini è un pittore, ma è anche uno che nell’anima va a scavare. Uno che ti costringe a colpi di pennello a scendere nel substrato dell’inconscio. A cercare quel sottile equilibrio che sta in bilico tra la ragione e l’impulso, tra i “folli” e i cosiddetti sani, tra la vita e la morte, tra il dentro e il fuori. Perché nella pittura di De Agostini non esistono gli schemi scontati. Esiste una realtà cruda che è raccontata con poetiche visioni di luoghi che sembrano quasi inesistenti. Invece esistono, e sono i luoghi e i momenti da cui tutti rifuggiamo.
Luoghi di dolore, morte, sofferenza. I punti bui dell’anima che viene spinta a compiere omicidi efferati, che viene sbeffeggiata per le sue devianze. Che combatte contro i fantasmi della solitudine, dell’egoismo, della psiche tormentata da problemi: con il cibo, con gli altri, anche con sé stessi. I quadri di Davide De Agostini siamo noi. Colti nelle mille sfaccettature.


La poetica dell’anima
La carriera di Davide è un racconto permeato di una linearità poetica maniacale, che si snoda dagli inizi degli Settanta ad oggi. Un racconto di quelli che non vorresti mai finire perchè in realtà è come se stessi leggendo te stesso. Da fuori e da dentro. Ci sono i morti, le radiografie,le patologie, le malattie, la bellezza, la luce, l’eleganza. C’è la nostra vita.
Ma chi pensa che De Agostini sia una persona cupa si sbaglia. Di gran lunga. È un anima gioiosa, giocosa e briosa. Ama il cinema oltre misura, e ride mentre, parafrasando una citazione di Blade Runner, ci spiega i suoi quadri. “Ho visto cose che voi umani…”


Ho visto cose che voi umani…
“Ho visto cose che tanta gente non vedrà mai. E a cui auguro vivamente di non vedere mai. I miei quadri non sono frutto di immagini che mi devo andare ad inventare. Sono situazioni che difficilmente si inventano. Quelle situazioni si vivono. Molti dei miei quadri rappresentano la mia vita”.
Rappresentano anche la forza, la spinta vitale che è necessaria per andare avanti, racconta ancora Davide. Da ogni frustrazione, delusione, difficoltà è come se fosse nato un quadro, un piccolo fotogramma di vita. “Un qualcosa che, anche se i quadri andranno persi, distrutti, magari anche ridipinti, resterà comunque sempre indelebile nella mia memoria”.
Mi intimorisce più il dolore della morte.
De Agostini non dipinge né per esorcizzare la morte, né per feticismo. Nelle sue opere troviamo eleganza, statuarietà, un senso quasi di altera bellezza. “Non ho bisogno di esorcizzare la morte, ci sono andato così talmente vicino….tanto vicino da vedermi dall’alto, al di fuori di me stesso, steso sul tavolo operatorio.Quindi, sinceramente, la fine non mi spaventa.
Mi intimorisce molto di più il dolore che si prova per la perdita di una persona che non la morte in sé. Forse se non avessi visto così da vicino certe situazioni dipingerei magari altro. Ma non è andata così. Non dipingo paesaggi marini, dipingo cadaveri”.


Gli anni dei corridoi delle Molinette
Ci racconta De Agostini di come, negli anni Cinquanta, sia stato colpito da un male che molte volte non perdona. Non perdona ancora oggi, pensiamo in quegli anni. I suoi ricordi di bambino, quindi, sono dentro i corridoi delle Molinette della metà degli anni Cinquanta. Anni dell’immediato Dopoguerra in cui l’incontro con la morte, in ospedale, è normale, quotidiano, quasi di prassi. Anni in cui le persone hanno ancora a che fare con le bombe. Che esplodono accidentalmente. Davide ha nove, dieci anni allora. Il suo mondo è quello. Infermiere, ospedali, medici, corridoi, disagio.
In tanti chiedono a De Agostini perchè da sempre dipinga e continui a rappresentare cadaveri e sofferenza. In realtà glielo abbiamo chiesto anche noi. Risponde di nuovo con una battuta tratta da un film. Questa volta è Il pianista sull’oceano. “Perché non riesco a scendere. Perchè da questo momento non riesco proprio a scendere”.


La luce intrinseca del dipinto
Davide ha una pittura che affascina, incanta, seduce con quella luce che proviene da dentro il quadro. Non hanno bisogno di grandi illuminazioni i suoi dipinti. Sono loro che emanano luce. È un gioco ottico incredibile. La luce viene sprigionata dai corpi stesi o dalle anime tormentate raffigurate. La luce interna di ognuno? L’aura che permane? Chissà, può darsi. È tutto un può darsi quando si parla con lui.
Si entra in una dinamica filosofica di relatività assoluta. In cui tutto può essere, o anche no. É il suo gioco dell’assurdo. Un gioco vero. In cui si diverte a sparigliare carte, a creare stupori. In cui ti guarda, racconta e ride. In realtà si finisce per ridere con lui. Perchè nulla è più stupefacente della realtà del ciclo vitale.


Una mostra in programma : Ombre Smemori
Nei programmi futuri, entro l’autunno, una mostra, Ombre Smemori. Prevista in un luogo che contiene tutta la poetica e la tragedia di migliaia di anime vissute all’interno: l’ex Ospedale Psichiatrico del Manicomio più grande d’Italia. Quello di Collegno. Ombre Smemori getterà uno sguardo delicato verso tematiche non semplici da affrontare: morte, solitudine e follia. Rappresentate dal linguaggio artistico proprio di Davide De Agostini, permeato da un senso di solitudine e mistero che spinge oltre i limiti del quotidiano per arrivare a una quotidiana “anormalità”. Quella che era ben presente, fino alla legge Basaglia, nei luoghi di cui Collegno si fa memoria.