Il crespino, medioevale frutto d’inverno
Il crespino è oggi considerato una pianta ornamentale e spesso viene coltivato nei giardini. Ma nel Medioevo era senz’altro una pianta da frutto. Le sue bacche, infatti, maturano tra settembre e ottobre e bisogna attendere le prime gelate, tra novembre e dicembre, perché diventino meno aspre e più dolci.
Si coglievano dunque nel tempo d’Avvento per gustarle direttamente (hanno un sapore acidulo simile a quello del ribes) o per diventare ingrediente nelle ricette natalizie. E si trattava di una raccolta poco agevole, perché è un arbusto assai spinoso, che ferisce facilmente le mani.


Come accadeva pure con i cinorrodi della rosa canina, dalle bacche di crespino si ricavano composte, gelatine e persino sottaceti! Sì, perché usava prepararli come i capperi, per dare un tocco agrodolce alle pietanze.
Era molto richiesta anche la sua corteccia, che si impiegava per tingere le stoffe di un bel colore giallo vivace. Mentre dal succo dei frutti maturi si otteneva un pigmento rosso.


Pianta da vino in Irlanda
Il nome gaelico del crespino è barbróg (che significa sbarra-scarpa o sbarra-piede) e questa pianta vanta in Irlanda una lunga tradizione. Furono i monaci medioevali i primi a coltivarla per ricavare dalle sue bacche un mosto che, fermentato, potesse assomigliare al vino. Usavano tale bevanda pure come medicina, per curare gli stati febbrili.
Secondo tradizione, la tinta giallo brillante della blusa d’ogni capo tribù irlandese, il cosiddetto taoiseach, era proprio dovuto alla corteccia di crespino, quale erba tinctoria. Sostituiva in pratica lo zafferano, di cui vi abbiamo già parlato, che era più caro.


Una breve descrizione botanica
Il crespino, che è stato catalogato come Berberis vulgaris L., appartiene all’omonima famiglia delle Berberidacee. Predilige i terreni calcarei ed è diffuso in tutta Europa, fatta eccezione per i Paesi Scandinavi e per quelli del bacino del Mediterraneo
In Italia, si trova in boschi, siepi e su pendii soleggiati, ma solo nelle regioni settentrionali o sull’Appennino. È un arbusto spinoso che non supera i 3 metri d’altezza con rami rugosi, screpolati e giallastri. Le spine, che presentano tre aculei, sono assai taglienti, lisce e si distinguono per il pallido colore ocra. Le foglie sono alterne o riunite in mazzetti alterni nel punto d’intersezione tra ramo e spina. Sono più larghe alla sommità, mentre si restringono verso il picciolo e hanno margine dentato e pungente.


I fiori sono molto profumati e sbocciano tra maggio e giugno. Sono riuniti in grappoli pendenti, ciascuno dei quali ne contiene sino a trenta. Ogni fiorellino è giallo e ha sei petali e sei stami. Questi stessi stami, al minimo contatto con un corpo esterno, come può essere un piccolo insetto, si contraggono a molla, per facilitare l’impollinazione.
I frutti sono bacche oblunghe, due volte più lunghe di quanto sono larghe, dal colore arancione intenso. Contengono un paio di semi bruni e allungati che, in qualche raro caso, possono essere tre. Consigliamo sempre di ricorrere alle chiavi botaniche, per riconoscere le varie specie in natura, senza limitarsi a trarre ipotesi da una semplice fotografia.


Le ottime virtù del crespino
È un vero peccato che i frutti del crespino siano caduti in disuso, nell’alimentazione umana. Perché sono ricchi di vitamina C. Gli altri componenti sono i carotenoidi, l’acido ossalico, la pectina e gli zuccheri. Le bacche rappresentano la droga medicinale. Sono utili in caso di dilatazioni venose (varici ed emorroidi), reumatismi, gotta, inappetenza, mestruazioni irregolari, infiammazioni epatiche, itterizia, coliche epatiche e renali e scorbuto.


Il decotto si prepara ponendo due cucchiai rasi di frutti sminuzzati in mezzo litro d’acqua fredda. Si fa bollire per 5 minuti e si lascia in infusione per un quarto d’ora. Quindi si filtra e si dolcifica a piacere. Si beve come succedaneo del tè, lungo la giornata.
Anche la corteccia della radice ha interessanti principi attivi, che sono per la maggior parte alcaloidi (assenti nelle bacche), come la berberina, che è velenosa. Non si può quindi utilizzare tale corteccia in preparazioni casalinghe. È piuttosto l’ingrediente di farmaci omeopatici, per curare disturbi epatobiliari, calcoli renali, reumatismi e infezioni dell’epidermide. Studi di Challamel e Brissemoret hanno dimostrato che la berberina agisce con un meccanismo simile a quello della morfina, in cure disintossicanti dalla morfina stessa.


Infine, la berberina è tossica per la leishmania tropica, che è l’agente patogeno del cosiddetto bubbone d’Oriente, ossia del tumore che induce. Jean Valnet ipotizzò di conseguenza che potesse essere preventiva pure del cancro, ma servirebbero approfondite indagini cliniche per avvalorare la sua supposizione.


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