Il pungitopo, bizzarro arbusto natalizio, nell’almanacco medioevale

Il pungitopo e l’origine del nome

Il pungitopo, che appartiene alla famiglia botanica delle Liliacee, ha il nobile nome scientifico di Ruscus aculeatus L. Perché, allora, lo chiamiamo in maniera tanto prosaica? Per rispondere, occorre risalire a un antico uso contadino. Per evitare che i topi si avventassero sul cibo riposto nelle dispense, esso veniva ricoperto con frasche di rusco. Evidentemente ai roditori non piaceva essere punti dai temibili aculei di questa pianta, così indirizzavano le loro scorribande verso mete più agevoli. Nei secoli, è rimasta la denominazione popolare, al punto che tutti lo chiamiamo pungitopo, mentre rusco è piuttosto un termine da botanici e da erboristi.

pianta di pungitopo immagine da erbario
immagine da erbario di pubblico dominio

Pianta di dicembre nell’almanacco medioevale

Il pungitopo è un sempreverde e reca le bacche scarlatte in inverno. Per questo motivo, già nel Medioevo era scelto per decorare gli altari e le case, a Natale. L’istituzione di tale solennità cristiana risale al IV secolo ma fu particolarmente sentita nel corso di tutto il Medioevo. Il tempo che intercorre tra Natale e l’Epifania era dedicato alle feste e alle sacre rappresentazioni (misteri e miracoli), tra rami di agrifoglio, di abete e dell’immancabile pungitopo. E al Natale si diede un significato anche politico, perché la data del 25 dicembre (codificata dall’imperatore d’Oriente Teodosio II) coincise con diversi importanti eventi.

frutti maturi e acerbi
frutti maturi e acerbi del pungitopo immagine su licenza CC

Perché a Natale tornava a nascere il Re dei Re. Il sovrano dei Franchi Clodoveo si fece battezzare dal vescovo Rémi, nella cattedrale di Reims, la notte di Natale del 496. L’imperatore Carlomagno volle che la sua incoronazione avvenisse di nuovo la notte di Natale dell’anno 800. Sempre il 25 dicembre, ma dell’anno 1066, Guglielmo il Conquistatore fu incoronato re d’Inghilterra nell’abbazia di Westminster. Ed è facile immaginare, in queste regali cerimonie,  le chiese adorne di pungitopo.

La tradizione vuole che in epoca medioevale si mangiassero pure i suoi giovani germogli al posto degli asparagi. In realtà, non è che siano particolarmente appetitosi: si cucinavano, dunque, solo il tempo di carestia. Le bacche sono commestibili (a piccole dosi, altrimenti hanno un effetto nocivo sui reni). Tuttavia hanno un sapore parecchio sgradevole e si consumavano di rado come frutta. I medici dell’epoca ne preparavano una poltiglia da applicare sulle ossa rotte, affinché si rinsaldassero nel miglior modo possibile.

bacca rossa con piccole foglie
immagine su licenza CC

Giolcach nimhe, per gli irlandesi

Nelle Isole Britanniche, il pungitopo è diffuso soltanto nelle contee meridionali e in luoghi ombrosi. E non ha ottenuto neppure qui nomi molto poetici. Per gli inglesi, è butcher’s-broom, ossia “la scopa del macellaio”, perché usata per una pulizia accurata nelle macellerie. In lingua irlandese, è addirittura Giolcach nimhe, che si traduce come “canna di veleno”. Ne consegue che, nell’Isola di Smeraldo, non veniva affatto mangiato. Anche perché il pungitopo era considerato specie sospetta, cui veniva imputato, come già ad altre piante, di essere stata intrecciata nella corona di spine di Gesù. Più che sugli altari, dove si preferivano vischio e agrifoglio, il pungitopo serviva alle massaie per proteggere dai topi pancetta e formaggi destinati al pranzo di Natale.

giovani getti di pungitopo
giovani getti di pungitopo licenza immagine CC

Descrizione di un arbusto alquanto bizzarro

Come anticipato, il rusco predilige i boschi freschi del bacino del Mediterraneo e dell’Europa occidentale. È un piccolo arbusto dioico e sempreverde, che rimane sotto il metro d’altezza e che ha radice a rizoma strisciante. Ha fusto rigido ed eretto, assai ramificato, che presenta fini solchi. I rami sono pungenti e disposti in doppia fila. Le foglie che noi vediamo in realtà foglie non sono, ma rametti appiattiti, detti cladodi, che hanno sviluppato funzioni simili alle foglie. I cladodi sono inspessiti e di colore verde scuro, lunghi sino a 4 centimetri, sessili e di forma ovale-acuta, con punta spinosa.

fiore bianco a stella su foglia verde
immagine su licenza CC

La vera foglia è la squametta membranosa che si trova quasi al centro di ogni cladodo, alla cui ascella i fiori sbocciano in due periodi. Compaiono infatti sia a ottobre, sia in primavera, tra febbraio e aprile. Essi sono maschili e femminili, in entrambi i casi piccini e verdastri, a volte con sfumature violacee. Le bacche, che sono pure loro poste al centro del cladodo, sono globose e di colore rosso brillante. Maturano grazie alla fioritura dell’anno precedente. Contengono uno o due semi, relativamente grandi rispetto alla dimensione della bacca stessa, che ha un diametro di poco superiore al centimetro.

sezione del frutto
sezione del frutto immagine su licenza CC

Il miglior vasocostrittore venoso in natura

Già Dioscoride, nel I secolo d.C., consigliava il pungitopo come diuretico e curativo per chi soffriva di calcoli renali. E la sua fama di diuretico ha attraversato i millenni. Sino agli studi più recenti del secolo scorso (derivati da quelli di F. Caujolle), che gli hanno reso finalmente giustizia. Oggi il rusco è, a ragione, considerato il miglior vasocostrittore venoso presente in natura.

arbusto in un bosco

Ciò è dovuto ai notevoli principi attivi, in primo luogo saponine steroidiche che danno origine a due sapogenine, la ruscogenina e la neoruscogenina. Ci sono, inoltre, acidi organici, olio essenziale, sali di potassio e di calcio, fitosteroli, tannino e resine. Tale ricchezza di componenti fa del pungitopo un ottimo rimedio per le vene varicose, per le malattie venose, per le flebiti e le gambe pesanti. Molte ditte farmaceutiche, infatti, producono creme a base di rusco. Serve per gli edemi e i crampi degli arti inferiori, per contrastare le emorroidi croniche, contro la gotta, le adeniti e nella prevenzione delle embolie postoperatorie. Si usa per lenire i dolori mestruali e i disturbi collegati alla menopausa e come buon diuretico in caso di oliguria e uremia. Ha dato infine risultati interessanti pure nella cura dell’itterizia.

Ci sono medicinali farmaceutici per uso orale o esterno, che vi potrà consigliare il medico. Noi vi indichiamo come preparare la tisana casalinga che, essendo una bevanda alimentare, si può bere a volontà, come sosteneva Jean Valnet. In fitoterapia, la droga è rappresentata dal rizoma essiccato e tagliato. Se ne prende una manciata, si versa in un litro d’acqua e si fa bollire per un paio di minuti. Si tiene in infusione per una decina di minuti, si filtra e si dolcifica. Si può sorseggiare a piacere, magari davanti al camino acceso, decorato con il pungitopo per le feste natalizie. Auguri!

ramo con bacche rosse
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Maura Maffei
Maura Maffei
Maura Maffei è da trent’anni autrice di romanzi storici ambientati in Irlanda, con 17 pubblicazioni all’attivo, in Italia e all’estero: è tra i pochi autori italiani a essere tradotti in gaelico d’Irlanda (“An Fealltóir”, Coisceim, Dublino, 1999). Ha vinto numerosi premi a livello nazionale e internazionale, tra i quali ci tiene a ricordare il primo premio assoluto al 56° Concorso Letterario Internazionale San Domenichino – Città di Massa, con il romanzo “La Sinfonia del Vento” (Parallelo45 Edizioni, Piacenza, 2017) e il primo premio Sezione Romanzo Storico al Rotary Bormio Contea2019, con il romanzo “Quel che abisso tace” (Parallelo45 Edizioni, Piacenza, 2019). È a sua volta attualmente membro della Giuria del Premio Letterario “Lorenzo Alessandri”. Il suo romanzo più recente è “Quel che onda divide” (Parallelo45 Edizioni, Piacenza 2022) che, come il precedente “Quel che abisso tace”, narra ai lettori il dramma degli emigrati italiani nel Regno Unito, dopo la dichiarazione di Mussolini alla Gran Bretagna, e in particolare l’affondamento dell’Arandora Star, avvenuto il 2 luglio 1940, al largo delle coste irlandesi. In questa tragedia morirono da innocenti 446 nostri connazionali internati civili che, purtroppo, a distanza di più di ottant’anni, non sono ancora menzionati sui libri di storia. Ha frequentato il corso di Erboristeria presso la Facoltà di Farmacia di Urbino, conseguendo la massima votazione e la lode. È anche soprano lirico, con un diploma di compimento in Conservatorio. Ama dipingere, ha una vasta collezione di giochi di società e un’altrettanto vasta cineteca. È appassionata di vecchi film di Hollywood, quelli che si giravano tra gli Anni Trenta e gli Anni Sessanta del secolo scorso. Tra i registi di allora, adora Hawks, Leisen e Capra. Mette sempre la famiglia al primo posto, moglie di Paolo dal 1994 e madre di Maria Eloisa.