La sagina, che ha scippato il nome alla spergola
La sagina è un’altra piccola Cariofillacea dall’aspetto insignificante. Nulla a che fare, dunque, con la saggina usata per fare le scope, che è una Graminacea. E, per di più, il suo nome non le apparterrebbe neanche. È stata infatti classificata come Sagina procumbens L. e ciò desta qualche perplessità. L’aggettivo procumbens non crea problemi, perché si riferisce alla posizione prostrata della pianta. Il genere Sagina, in realtà, sarebbe stato da attribuire alla spergola, come specie coltivata per ottenerne foraggio. Perché è un sostantivo latino che significa “cibo da ingrasso”. Ma data l’affinità tra le due piante, si fece letteralmente di ogni erba un fascio e la sagina si prese il nome della più degna… cugina!


Una pianta invasiva e un’antica leggenda cristiana
Una leggenda che risale ai primi secoli del Cristianesimo fa riferimento alla facilità con cui la sagina si diffonde ovunque, in bordure e tappeti erbosi. È senz’altro un’infestante, che sottrae terreno alle coltivazioni. Colonizza inoltre speditamente ambienti cui è estranea. I suoi semi, portati con le scarpe e i bagagli dei turisti, hanno determinato una vegetazione ormai fuori controllo alle Isole del Principe Edoardo (Oceano Indiano). E la stessa cosa sta accadendo sull’Isola di Gough (Oceano Atlantico meridionale), che è sito Patrimonio Mondiale dell’Unesco.
Tuttavia, nella leggenda cui facciamo riferimento, quest’erba ha avuto un grande merito. Perché pare che la sagina si fosse miracolosamente moltiplicata intorno al Santo Sepolcro, per attutire come un tappeto il primo passo di Gesù, dopo la Risurrezione. Tale leggenda fu ripresa e avvalorata da due tra i principali santi irlandesi. Si tratta di santa Bríd di Cill Dara, compatrona d’Irlanda insieme con san Pádraig, e san Colm Cille, fondatore e abate di Iona, nelle Isole Ebridi. La convinzione si diffuse soprattutto in Irlanda e in Scozia, dove si ritenne per secoli che fosse una specie dotata di proprietà prodigiose.


Nell’Irlanda delle tradizioni magiche
E siccome, purtroppo, il passaggio dalla devozione religiosa alla superstizione è breve, nell’Isola di Smeraldo la sagina divenne un amuleto contro le streghe. In molte contee, se ne appendeva un mazzolino sopra la porta di casa, per tenerle lontane dalla propria abitazione e dalla propria famiglia. In altre, per tradizione s’infilava negli zoccoli dei tori, per garantire che i vitelli nati dall’accoppiamento con le mucche fossero sani e vigorosi. Non solo, il latte munto da queste vacche avrebbe protetto il contadino e la sua famiglia dagli incantesimi delle streghe.
Infine, le giovani contadine se ne sfregavano le foglie sulle labbra, per attrarre gli innamorati. E se, mentre baciavano un ragazzo per la prima volta, ne avessero tenuto in bocca una foglia, lo avrebbero legato a sé per tutta la vita. La protagonista di questi riti è la foglia della sagina, perché il fiore è quasi inesistente. Assomiglia a una piccola perlina, incastrata nella stella verde dei sepali. Per questo motivo, in inglese è chiamata procumbent pearlworth, o semplicemente pearlworth, come se fosse un fiore di perla. In lingua irlandese è, invece, detta Mongán sinte che possiamo tradurre come “pianta da palude invasiva e allungata”.
Una descrizione botanica essenziale
La sagina è una pianta perenne d’aspetto glabro, ossia non presenta peli sulle sue parti aeree. Predilige come habitat i bordi dei sentieri, le rive dei fossati e i terreni umidi e ghiaiosi. I fusti, piuttosto corti (lunghi una ventina di centimetri al massimo), partono da una fitta rosetta basale e si allargano sul terreno. A intervalli regolari, i fusti stessi emettono nuove radici, nel punto in cui si forma una nuova rosetta. Così riescono a ricoprire rapidamente ampie aree. Le foglie sono piccole, opposte e lineari. Sono distribuite lungo i fusti in coppie ravvicinate. Sempre dai fusti si generano lunghi peduncoli che recano fiorellini minuscoli, dal diametro di un paio di millimetri. Essi sbocciano tra marzo e settembre e sono composti da 4 sepali verdi dalla punta arrotondata e da 4 petali verdini quasi invisibili. A differenza di altre Cariofillacee che vi abbiamo già illustrato, la sagina ha quindi solo 4 petali e non 5 (se non in rari casi). I peduncoli fiorali hanno una caratteristica curiosa: si curvano verso il terreno dopo la fioritura ma ritornano eretti con la maturazione del frutto. Esso è costituito da una capsula che si fende in 4 valve smussate per liberare i semini neri. Per identificare la sagina con certezza in natura, bisogna utilizzare le cosiddette chiavi botaniche.


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Un diuretico di cui si può fare a meno
Come le altre Cariofillacee, pure la sagina contiene le sue insidiose saponine. La sua droga, rappresentata dalle parti aeree della pianta, è più tranquilla, rispetto a specie come il gittaione. Non dà grossi problemi d’ingestione né all’uomo né agli animali domestici. Tuttavia occorre sempre non esagerare. Possiamo prepararci un tè di sagina quale rimedio diuretico casalingo, ma senza i risultati benefici che ci darebbero altre erbe ben più efficaci. In altre parole, il gioco non vale la candela. Al limite, possiamo metterne una foglia in bocca, come le ragazze irlandesi, confidando nell’amore eterno.


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