L’aquilegia e i quattro Evangelisti
L’aquilegia, come erba selvatica, è oggi specie protetta e piuttosto rara. Chi vi scrive, sebbene abbia erborizzato sin dall’infanzia, seguendo la madre che era una bravissima erborista, ricorda di averla vista una sola volta in natura. Ma fu una delle erbe più amate nel Medioevo, inserita tra quelle dell’almanacco di maggio. Le venivano attribuite molte virtù perché era considerata la pianta prediletta di san Giovanni Evangelista.


Facciamo un piccolo passo indietro: a partire dal IV secolo, si iniziò a rappresentare i quattro Evangelisti attraverso creature simboliche. Si cominciò dunque a raffigurarli in questo modo nelle chiese e sui codici miniati, affinché i fedeli potessero subito identificarli. Per Matteo fu scelto un uomo alato per ricordare l’incarnazione di Gesù, avvalorata dalla genealogia posta all’inizio del suo Vangelo. Marco divenne il leone, per celebrare la regalità del Cristo e perché il suo fu il primo dei quattro Vangeli a essere scritto. Per Luca, che evidenziò nelle sue pagine il sacrificio del Redentore, si ricorse al toro quale animale sacrificale.


Giovanni, infine, fu abbinato all’aquila, i cui occhi non temono di fissare il sole. Il prologo del suo Vangelo, infatti, riguarda il Verbo, che porta la Luce nel mondo. Così gli uomini medioevali pensarono che l’aquilegia, i cui petali si curvano come gli speroni dell’aquila, fosse il fiore ideale da dedicare a san Giovanni. Per questo ricorre spesso quale motivo decorativo negli arazzi, nei libri di preghiera e nei dipinti. Leonardo stesso amava dipingere fiori d’aquilegia nello sfondo paesaggistico dei suoi quadri.


L’Irlanda, l’aquilegia e san Colm
Tuttavia, i petali delicati dell’aquilegia ricordano anche le ali di una colomba. E alla colomba più che all’aquila pensarono gli irlandesi, quando chiamarono questa pianta colaimbín (columbine, in inglese). La legarono alla devozione verso uno dei loro più grandi santi, ossia san Colm (Colomba, per noi italiani), che fondò il monastero scozzese di Iona. Colm Cille, compatrono d’Irlanda con Patrizio e Brigida, è spesso rappresentato con il simbolo di questo candido uccello, che è anche simbolo dello Spirito Santo. Per altri studiosi, l’aquilegia era piuttosto riferita a san Colmán, che per noi italiani è l’irlandese Colombano, fondatore del monastero di Bobbio.


Nella Francia medioevale e nel linguaggio dei fiori
Nella Francia dell’epoca, l’aquilegia era una specie davvero ambivalente, tanto da poter scomodare il binomio “Il diavolo e l’acqua santa”. Fu persino considerata pianta dell’Ascensione, simbolo di Gesù che sale al Cielo e ci lascia come consolatore lo Spirito Santo. Era un fiore attribuito pure alla Vergine Maria, tanto da essere soprannominato gant de Notre Dame, ovvero “guanto della Madonna”. D’altra parte, era anche detto main de sorcière (mano di strega), per l’influenza dell’antica tradizione greco-romana.


Se il Medioevo cristiano nobilita l’aquilegia, nel mondo antico essa veniva guardata con grande sospetto. Essendo sacra a Venere, entrava nella composizione dei filtri d’amore e il suo fiore di sfacciata bellezza alludeva alla lussuria. Il colore viola e la corolla reclinata facevano pensare alla morte e la relegavano al ruolo di pianta funebre.
Per questo, nel linguaggio dei fiori, assume diversi significati. Tradotta in francese come ancolie, per assonanza fa pensare alla mélancolie, ossia alla malinconia e alla nostalgia. È conosciuta persino come amor nascosto e si dona per svelare un segreto d’amore. Nondimeno, con un mazzo d’aquilegia si può accusare chi lo riceve di falsità, di ipocrisia o di capriccio. O si possono sottintendere pensieri lussuriosi.


Santa Ildegarda e i pellerossa d’America
In Germania, l’aquilegia era soprattutto una pianta medicinale. Questo grazie a santa Ildegarda di Bingen (XII secolo), che ne studiò le proprietà per guarire i malati dalla febbre persistente. È curioso notare come pure presso le tribù dei pellerossa d’America si fosse giunti alla medesime conclusioni: la utilizzavano quale rimedio antipiretico. Purtroppo l’aquilegia è tossica, specie se somministrata ai bambini, quindi è meglio sorseggiare una profumata tazza d’infuso di tiglio, quando abbiamo la febbre!


Classificazione e breve descrizione botanica
L’aquilegia appartiene alla famiglia delle Ranuncolacee. È stata classificata da Linneo come aquilegia vulgaris L. e il suo nome è d’incerta etimologia. Può riferirsi alla somiglianza con gli speroni dell’aquila, come abbiamo già visto. Ma può derivare anche dall’aquilegium, che nella Roma antica era una piccola cisterna per l’acqua. In questo caso, si farebbe riferimento alla capacità delle sue foglie concave di trattenere l’acqua piovana.
È una pianta erbacea perenne che predilige come habitat i prati e i boschi soleggiati in Europa e in Asia. Raggiunge un’altezza compresa tra i 30 e gli 80 centimetri. Le foglie basali sono tripartite e lobate e presentano una fogliolina apicale cuneiforme. Ha fusto eretto, piuttosto ramificato, che reca grandi fiori peduncolati, dalla corolla reclinata a 5 petali. Essi sbocciano tra maggio e luglio e hanno il caratteristico colore blu-violaceo. Presentano brattee interne a cappuccio, con lo sperone terminale ricurvo come un uncino. Molte sono le varietà coltivate per i giardini, che offrono un arcobaleno di colori diversi, quando sono in fioritura.


Utilizzo fitoterapico e omeopatico solo sotto stretto controllo medico
La sua tossicità ha purtroppo ridotto gli studi clinici sull’aquilegia. La droga terapeutica è costituita dalla pianta intera, radice compresa. Tra i principi attivi, prevalgono gli alcaloidi (berberina e magnoflorina), ma c’è pure un glucoside che per scissione di un legame forma acido cianidrico. Completano il quadro la vitamina C, gli enzimi, i lipidi e glicosidi cardioattivi. Senza il famigerato acido cianidrico, sarebbe anche una specie utile come astringente, antisettico, lenitivo e depurativo epatico.
Viene quindi impiegata solo sotto stretto controllo medico, soprattutto per uso interno. Nell’uso esterno, il decotto può giovare per detergere ferite o piaghe o per sciacquare la bocca, quando sanguinano le gengive, purché venga rigorosamente sputato. In omeopatia, ci sono preparati a base di aquilegia, prescritti da medici competenti nella cura delle mestruazioni dolorose, delle nevrosi e dell’astenia.


può interessarti leggere anche
Il favagello, che dona i suoi bizzarri nomi all’almanacco medioevale di marzo
L’elleboro nero, la rosa di Natale e le capre di Melampo
La nigella, la vergine del bosco che causò la morte di un imperatore